PSICANALISI E CIFREMATICA IN SVEZIA
Da una ricerca della London School
of Economics and Political Science, pubblicata sulla rivista online “PLoS” (plosone.org), nel
periodo tra il 1995 e il 2009, risulta un aumento annuo del 20 per cento del
consumo di farmaci antidepressivi in tutta Europa. In questo scenario
inquietante, la Svezia risulta il paese con il maggiore incremento: oltre il
1000 per cento tra il 1980 e il 2009. A che cosa può essere attribuita questa
medicalizzazione della società?
In Svezia c’è una tendenza a
chiedere soluzioni rapide e semplici, e taluni accusano la psicoterapia
di non aiutare abbastanza le persone che hanno un disagio. Ma, oltre alla
medicalizzazione, assistiamo a una sorta di secolarizzazione della società,
seguita alla diminuzione della centralità della religione. Già da
cinquant’anni, si sta diffondendo in Svezia una tendenza a sostituire la
religione anche con la medicina e molte persone perseguono la salute del corpo
come una volta perseguivano quella dell’anima: la palestra è il nuovo altare e
gli esercizi fisici hanno soppiantato quelli spirituali. Tutti devono apparire
in forma, per molte persone oggi la cosa più importante è la perfetta forma
fisica.
L’imperativo della rapidità, a
discapito della ricerca e di tutto ciò che è ritenuto difficile e richiede uno
sforzo intellettuale, è riscontrabile in molti paesi occidentali. Ma nella sua
pratica clinica e attraverso i seminari dell’istituto da lei presieduto (Göteborgs
Kliniska Seminarium), lei contribuisce alla diffusione della lettura di autori
come Lacan, Freud, Verdiglione e altri, che non sono certo facili, eppure hanno
un’importanza capitale per l’avvenire della civiltà, non solo della
psicanalisi. Ci sono altri psicanalisti, filosofi, scrittori o artisti
interessati alla promozione di un itinerario intellettuale nella sua città?
Qui a Göteborg stiamo lavorando
con un’associazione costituita da molti giovani intellettuali, fra cui molti psicologi
e filosofi, che organizza dibattiti e conferenze intorno alla letteratura e
alla psicanalisi. Alcuni di loro frequentano i nostri seminari e hanno intrapreso
un itinerario analitico e clinico con me.
In che modo tiene conto delle
acquisizioni della cifrematica nella sua pratica clinica?
Soprattutto quando lavoro con
persone che svolgono la loro attività in ospedali o nelle istituzioni, ho
rilevato nel corso di molti anni quanto la cifrematica sia efficace nel momento
in cui c’è una situazione di incertezza o ci sono reticenze da parte delle
persone in cura. Ci sono casi in cui un medico non ha idea di ciò che sarebbe
interessante dire al paziente, per esempio quando la diagnosi è incerta. In un
grande ospedale svedese, un medico raccontava di una persona che assumeva
morfina a sua insaputa, oltre ad altri farmaci da lui prescritti. In molti
casi, ho individuato la tendenza dei pazienti a non voler confrontarsi con la
malattia, anche perché magari è il prodotto della storia con l’ospedale
e con il medico (in altre parole, la causa della malattia è nella
medicalizzazione della sua vita): ne parliamo con i medici e cerchiamo di
capire insieme cosa dire e come intervenire, perché s’instauri un dispositivo
di parola con quelli che si chiamano pazienti.
È importante che un medico abbia modo
di parlare di questi casi particolari, anziché agire in modo automatico. E la
cifrematica, come scienza della parola, è di grande aiuto in questo senso.
E magari sarebbe interessante se i
medici intraprendessero anche un itinerario intellettuale…
Anche perché a volte sono in serie
difficoltà. Ricordo il caso di una psichiatra che, quando ha incominciato
l’analisi, aveva un tumore al seno. Mentre due sue colleghe con la stessa
patologia hanno seguito le indicazioni dei medici e purtroppo sono morte nel
giro di un anno, lei ha lavorato con me per vent’anni, finché è partita per andare
sull’Himalaya. In seguito ho saputo della sua morte, che tuttavia non è stata
causata dall’aggravarsi del tumore, ma ovviamente dagli effetti collaterali a
lungo termine dei farmaci che aveva assunto.
È importante il collegamento della
psicanalisi e della cifrematica con la realtà, e la medicina offre un terreno vastissimo:
una collaboratrice psicologa, per esempio, ha approfondito alcuni casi di
tossicodipendenza nei pazienti con problemi reumatologici.
Attualmente, sto lavorando come supervisore in
un programma di formazione di alcuni psicanalisti molto interessati e felici
degli argomenti che propongo loro. Dobbiamo cercare di colmare il grande
divario che si pone fra l’esperienza della parola, la scienza della parola, che
è alla base del nostro lavoro di clinica, e le droghe psicotrope, gli
psicofarmaci: dobbiamo limitare il più possibile la tendenza ad assumere
pillole da parte di chi soffre d’ansia o ha ricevuto una diagnosi che non è
chiara.