LA SIRIA, IL TERRORISMO E LO SCACCO DELL'OCCIDENTE
Quali sono i prodromi della situazione che si è creata in Siria? Il 15
marzo 2011, sui muri della città di Der'ah, alcuni dodicenni si erano divertiti
a scrivere frasi del tipo: “Abbasso il regime”. Poteva sembrare una
ragazzata, in realtà era una richiesta di maggiore
apertura al governo. Questa protesta sarebbe potuta sembrare legittima, ma non
per chi, come me, ha potuto verificare non solo l’apertura del governo di
Bashar Assad verso le riforme sociali, ma soprattutto
il benessere che le riforme avevano portato e continuavano a portare al popolo
siriano.
Naturalmente la polizia si rese subito conto che dietro i graffiti di
Der'ah c’erano dei mandanti. La settimana dopo, a Damasco, alcune
manifestazioni di piazza rivendicarono l’abolizione
della legge di emergenza (che risaliva agli inizi degli anni Sessanta e non
veniva più applicata), una nuova costituzione, un’università islamica, il velo
alle donne negli uffici governativi e il pluripartitismo. La risposta del governo ai richiedenti fu immediata, concesse tutto ciò che
avevano richiesto, spiazzandoli. Evidentemente non si attendevano un esito
positivo, non avevano capito che Assad aveva intenzione di portare gradualmente
il paese verso la libertà. Non lo avevano capito
nemmeno gli altri paesi della comunità internazionale, perché non avevano
voluto capirlo.
Le manifestazioni di piazza continuarono, ma poco dopo iniziarono le
azioni terroristiche, prima con l’attentato a Damasco, contro una caserma nel
centro della città, in pieno quartiere cristiano, poi
con un altro attentato, in un crocevia frequentatissimo della stessa città.
Entrambi gli attentati lasciarono per terra decine e decine di morti. Dal sud
del paese, e precisamente dalla vicina Giordania, dove avevano i loro campi di addestramento, entrarono i combattenti
salafiti. Attaccarono la città di Baniyas, sulla costa mediterranea, nel cuore
della regione a maggioranza alawita, dove combatterono per oltre due mesi.
Sconfitti dall'esercito, abbandonarono Baniyas e si
diressero verso città dell’interno, quali Homs e Hamah.
La città di Aleppo, che è sempre stata il motore dell’economia del paese,
con più di millecinquecento fabbriche, all'inizio non partecipò alla rivolta
contro il governo. Cominciarono alcune manifestazioni
per le strade, dopo la preghiera del venerdì, alle quali partecipavano i fedeli
delle moschee con un Imam mohabita, cioè pro Arabia Saudita, paese che, tra
l’altro, forniva dollari agli Imam mohabiti che ne davano dieci a chi avesse
manifestato per almeno un’ora, gridando “Abbasso il regime”. In molte zone di
Aleppo la gente scese per le strade per protestare contro questi prezzolati, ai
quali si erano mescolati gruppi guerriglieri, che combattevano contro tutto e
tutti; l’esercito, non essendo preparato alla
guerriglia cittadina, intervenne con armi pesanti. In questo modo furono
distrutte molte case e molti quartieri periferici di Aleppo. Dal canto loro, i
ribelli incendiarono, distruggendolo, il famoso suk coperto della città, lungo quindici chilometri, dopo averlo saccheggiato dei suoi tesori. Alcuni
di questi guerriglieri, venuti dall'estero, furono arrestati. Molti di loro
confessarono di essere stati prigionieri della reale prigione dell’Arabia
Saudita ed essere stati scarcerati perché andassero a
liberare la città santa di Gerusalemme, passando prima per la Siria.
Con l’avvento dei terroristi stranieri comparirono anche formazioni
terroristiche vere e proprie, quali Jabhat al Nusra, Daish e Al Qaeda, che si
divisero le zone d’influenza e competenza. Jabhat al
Nusra si schierò nel governatorato di Idlib, a sud di Aleppo, e controlla
ancora il territorio tra Aleppo e la città portuale di Lattakia. Daish e Al
Qaeda si schierarono nel governatorato di Raqqah, a est di Aleppo, controllando
tutta la zona fino al confine con l’Iraq. I
terroristi di Jabhat al Nusra, all'inizio del 2012, fecero un’incursione
notturna nel villaggio cristiano di Ghassanieh, costringendo gli abitanti a
lasciare le loro case, altrimenti sarebbero stati tutti decapitati. Le stesse Jabhat al Nusra, il 2 giugno 2012, decapitarono
centoventi poliziotti nella città di Jisr Ash-Shughur, nella provincia di
Idlib. Testimoni oculari affermano che le teste di questi uomini furono affisse
sul frontespizio della caserma o issate sulla torre
pubblica e i loro corpi furono gettati nel fiume Oronte. Il 23 giugno 2013,
sempre i guerriglieri della Jabhat al Nusra uccisero a Ghassanieh il
francescano François Mourad. Avevo visitato questo villaggio il 22 marzo 2013 e
vi avevo trovato meno di venti persone, tra cui due
sacerdoti e tre suore. In seguito all'uccisione di padre François furono tutti
evacuati. Oggi il villaggio è totalmente in mano ai terroristi. Le
decapitazioni sono cominciate due anni fa e nessuno ne ha mai tenuto conto. Io
l’ho denunciato al mondo intero, ma non è mai stato
dato credito alle mie parole.
Chi sta dietro ai terroristi? Alcuni paesi arabi sicuramente, come hanno
ammesso i terroristi stessi. In gioco ci sono anche i conflitti tra sciiti e
sunniti. Poi, gli interessi economici tra i potenti
della regione, che chiedevano alla Siria di far passare sul proprio territorio
il gasdotto verso l’Europa e il pipeline dell’oro nero fino alla Turchia e al Mediterraneo. Questa è
una delle ragioni per cui la Turchia è contro la
Siria: avrebbe voluto il pipeline e il gasdotto sul suo territorio, ma Bashar Assad lo ha
impedito, per proteggere la propria produzione. In ogni caso la Russia, amica
della Siria, non avrebbe approvato queste concessioni.
In Siria non c’erano minoranze schiacciate, come gli sciiti nel Bahrein.
Il presidente è alawita, ma nei ministeri tutti erano rappresentati. Il
problema dei diritti umani e della dittatura era sicuramente meno grave
rispetto a moltissimi altri paesi. Ma il grande
paladino delle libertà democratiche è dovuto intervenire e dettare la sua
legge. Ecco allora che approfitta del malessere nel paese, arma i malcontenti,
determinando la creazione di una guerriglia nelle strade cittadine. Tra i
malcontenti c’erano persone che si rifacevano ad Al
Qaeda, Jabhat al Nusra, Daish: gente che non aveva nulla da perdere, era in
Siria per i soldi, ma anche per trovare in una guerriglia nuove emozioni per
una vita altrimenti fallita. Oggi sul suolo siriano si contano terroristi di oltre 80 paesi, che contribuiscono alla
distruzione di un paese straordinariamente bello e ricco, per i suoi paesaggi
naturali, la ricchezza del sottosuolo, la sua storia, ma soprattutto la
ricchezza d’animo, l’ospitalità e il rispetto per gli
altri. Tutti hanno fatto del proprio meglio per armare questi signori venuti da
lontano. D’altro canto, ci sono anche coloro che sostengono il governo e lo
forniscono di armi. In questa bolgia infernale tutti sparano e ammazzano. Le
armi che abbiamo regalato hanno fatto il loro dovere,
hanno distrutto tutto, col nostro aiuto. Arriverà il momento in cui gli
armatori usciranno allo scoperto per presentarsi come grandi benefattori per
ricostruire. La Siria non dovrà preoccuparsi di nulla, i siriani saranno esonerati dal pagare il conto, mentre si chiederà loro di
lavorare per un certo numero di anni nelle fabbriche ricostruite. Sarà loro
fornito tutto il materiale necessario per la produzione, sarà loro pagato
addirittura un salario, perché possano vivere e produrre.
Dopo un certo numero di anni verranno ringraziati e li si lascerà soli, con le
fabbriche già diventate vecchie. Tutto questo in nome della democrazia. Ma non
si tratta di altro che di una neo-colonizzazione, una neo-schiavitù.
Aleppo, una volta città opulenta per le sue
fabbriche, per il suo suk e il suo commercio, oggi è prostrata, la gente è affamata,
gli unici che dispongono di qualche soldo sono coloro che lavorano con il
governo, tutto il settore privato è morto. Oggi Aleppo e tutto il paese vivono una situazione davvero tragica, la gente teme
l’avanzata dei terroristi tagliagole dell'Isis. L’esercito governativo è
riuscito a creare un varco abbastanza sicuro per approvvigionare le città, ma
quanti possono comperare? La Chiesa, grazie agli aiuti
economici che riusciamo a raccogliere e far arrivare, riesce a sollevare un po’
le pene di coloro che altrimenti morirebbero di fame. La comunità cristiana di
Aleppo si è ridotta del 60 per cento, resistono i missionari cristiani e le
suore. Tra gli abitanti, sono rimasti coloro che non
hanno alcuna possibilità di trasferirsi perché privi di mezzi o senza parenti
da raggiungere altrove.
I mass media non sempre hanno reso un buon servizio all'umanità a
proposito di questa guerra. Hanno sempre insistito a
colpevolizzare soltanto il dittatore e il suo esercito, come se i terroristi
armati da questo paese e dai loro alleati non fossero mai esistiti, oppure
combattessero contro l’esercito con armi giocattolo e non facessero vittime.
Non potendo scostarsi dal palinsesto voluto dai
potenti, i media non dicono che i terroristi si sono serviti di scudi umani,
cosa caratteristica di quei popoli.
Quanti hanno realmente compreso che fin dal primo anno e mezzo di guerra
la cosiddetta opposizione siriana non esisteva più?
Chi comandava e dirigeva le operazioni erano solo le organizzazioni
terroristiche venute dall'estero, e tutto andava verso una direzione che prima
è sfociata nella creazione del Califfato del Levante e poi in quella attuale
del Califfato di al Bagdadi, e l’esercito dei
tagliagole dell'Isis. L'Isis ha fatto e continua a fare il bello e il cattivo
tempo in Siria e in Iraq, creando migliaia e migliaia di sfollati, tagliando
gole a centinaia di persone, cristiani, sunniti, sciiti, che non sono del loro
stesso parere. Vendono le donne come schiave o per
altro scopo, soprattutto se vergini. Noi di tutto questo siamo stati edotti dai
mass media, abbiamo gridato condannando con ottima retorica questi orrori, ma
non abbiamo fatto tanto di più, perché i nostri interessi
non erano toccati. Solo quando i tagliagole dell'Isis hanno osato avvicinarsi
ai nostri interessi, ai pozzi petroliferi vicini al Kurdistan, quando hanno
ucciso due o tre persone occidentali, allora immediatamente si è gridato allo
scandalo. Questo è inammissibile. Ora si vuole agire.
E prima? Le teste tagliate di prima non ci avevano fatto riflettere? I
centoventi poliziotti del 2 giugno 2012, non ci avevano fatto riflettere? Tutti
gli altri a cui è stata tagliata la testa, o che sono stati crocifissi? Niente. Sono bastati due americani perché l’Occidente
intervenisse. Il personaggio che fino a due anni prima era l’esperto
incontrastato delle politiche in Medio Oriente, e ha cavalcato il cavallo delle
cosiddette Primavere Arabe a suo piacimento, oggi,
dinanzi al potere sfrenato dell'Isis dichiara: “Ora dobbiamo
combattere ciò che abbiamo creato”.
Il progetto di questi gruppi terroristici islamici è che dal 2030 non ci
siano più cristiani in Medio Oriente. Ma chi sta aiutando questi musulmani a
cacciarci? Noi stessi, gli occidentali. Noi guardiamo
la cosa dal punto di vista economico, loro la guardano dal punto di vista
religioso. Quando ci fu la guerra nei Balcani in Terra Santa si gridava alla
guerra di religione, perché la Bosnia è musulmana, mentre in Europa si parlava di guerra tra etnie, e di fatto la Jugoslavia si è
poi smembrata in stati a carattere etnico. Invece per i musulmani il mondo è
diviso tra cristiani e musulmani, Occidente cristiano e Medio Oriente
musulmano. Quando l’Occidente è in guerra con un
paese mediorientale, è normale che i musulmani se la prendano con i cristiani
del posto. Allora noi siamo costretti a scappare, senza nemmeno poterci portare
dietro le nostre cose. I cristiani che sono scappati dall'Iraq e dalla Siria
hanno dovuto lasciare lì tutte le loro cose.
Se cade la Siria, il prossimo obiettivo sarà la Turchia. E se dovesse
cadere la Siria, sarebbe senz'altro la fine del cristianesimo in Medio Oriente,
anche in Palestina.
Pubblichiamo alcuni brani della relazione di Mons. Giuseppe Nazzaro al Convegno dell’associazione Impegno Civico di Bologna dal titolo Siria, ascoltiamo la gente (Istituto Veritatis Splendor, Bologna, 31 ottobre 2014)