L'INCLINAZIONE
Nel saggio Introduzione alla
psicanalisi, Sigmund Freud annota che “ciò che caratterizza l’Io in modo del tutto
particolare, differenziandolo dall'Es, è una tendenza a sintetizzare i propri
contenuti, a riassumere e unificare i propri processi
psichici, tendenza che manca completamente all'Es”. Nessuna tendenza alla
sintesi o all'unificazione nell'inconscio per Freud, che scrive, qualche pagina
dopo, di “due pulsioni originarie”, di cui “la prima tende ad agglomerare tutto
ciò che esiste in unità sempre più vaste, mentre
l’altra a dissolvere queste combinazioni e a distruggere le strutture cui esse
hanno dato luogo”. Parlando di pulsioni originarie, Freud sottolinea che la
tendenza poggia su una dualità irriducibile, che non si risolve in quella tendenza unificante che il pensiero
occidentale attribuisce al divenire e all'avvenire.
Per costituire idealmente questa
tendenza sintetica, il discorso occidentale postula il soggetto, volgendo la
tendenza in attitudine o propensione, fino alla
predestinazione. Ogni soggetto deve agire in base alle proprie tendenze, innate
o acquisite, che devono però armonizzarsi alle tendenze sociali in voga, si
chiamino morale o mode, con i loro canoni e i loro standard. Cosa fa tendenza?
Questa tendenza culmina nell'uniforme, nell'assenza
di differenza e di varietà che non siano consentite, cioè codificate e
disciplinate dal sistema, dalla comunità, dal gruppo. Qual è il trend, la
tendenza del mercato? Nell'economicismo, il mercato diviene sistema, si anima, entra nel determinismo, magari tenuto e diretto dalla
mano invisibile di Adam Smith. Questa tendenza deterministica viene nutrita
dalla statistica, supporto di ogni previsione, di ogni visione che deve
rappresentarsi l’avvenire.
Ma ogni rappresentazione dell'avvenire si basa sul ricordo, sul dejà vu, su ciò
che si presume sia stato, per questo si preclude l'intendimento, quindi la
riuscita. L’avvenire poggia sulla tendenza dell’attuale, per questo non può
basarsi sulla predisposizione, sull'idea di origine
che fonda la finalità delle cose. E come potrebbe essere la finalità delle
cose, se non buona? A cosa potrebbe tendere il fare, se non al bene? Nell'Etica Nicomachea Aristotele scrive che il bene è ciò verso cui tutto tende,
in particolare “ogni arte e ogni metodo, come pure
l’azione e la scelta, sembrano tendere al bene”. Da Aristotele in poi,
importerebbe non come pensare, ma come pensare bene, non come fare, ma come
fare (il) bene, non come riuscire, ma come riuscire secondo l'idea di bene. E
la tendenza verso il bene è la causa finale, la
realizzazione della finalità: “Il bene è il fine di ogni generazione e di ogni
movimento”, scrive il filosofo. Il bene diventa la misura di una buona
tendenza, di una tendenza che giungerebbe alla riuscita. Ma più che una riuscita, questo può definirsi un successo, la
conferma dell’identità, un ritorno all'origine, il trionfo della genealogia.
Con il successo, nessuna particolarità, nessuna anomalia, nessuna differenza o
varietà che non siano prestabiliti, che non restino
nel solco, salvo l’accusa di delirare, di uscire dal solco, come indica l’etimo
di delirare.
La vita di ciascuno va ben oltre i
precetti del finalismo e del determinismo. Le cose si dicono, dicendosi si
fanno, facendosi si scrivono e giungono alla qualità.
Tra la scrittura delle cose e la loro qualificazione, ciò che si fa s’impiega,
trova la piega per riuscire e per giungere al valore. Questa piega istituisce
un’inclinazione non innata né determinata, un’istanza di compimento della
scrittura del fare, che attesta una clinica (dal
greco klìno, piego, tendo) della
vita, un’arte e una cultura della piega delle cose che non deve nulla alle
patologie della soggettività.
La vita segue la sua tendenza che non è
univoca o lineare perché procede dall'apertura, dal
due, si attiene alla dualità pulsionale, alla tensione intellettuale. Senza
questa intensità, questa tensione linguistica, questa pressione pulsionale, la
tendenza sarebbe naturale, sarebbe l’inclinazione del soggetto, che
naturalmente tende alla morte, oppure la tendenza
della sostanza, tendenza all'inanimato, principio del Nirvana. Tensione nei
mercati? Tensione in azienda? La tensione non è un male: se venisse tolta,
idealmente, regnerebbe la depressione. Ogni soggettività è depressa e
deprimente, proprio perché mira a sbarazzarsi della
tensione, mira alla scarica, vuole scaricarsi, abbandonare, lasciare. È
delinquente (dal latino linquere, lasciare) per
tendenza. Per questo tende al bene, cioè alla salvezza, anziché alla riuscita e
alla salute: la salvezza, tendenza al miglioramento,
è il colmo dell’economia del male. Invece la salute è l’istanza della qualità
della vita.
La tendenza, la tensione, la direzione.
Tendenza al rialzo o al ribasso? Tendenza al miglioramento o al peggioramento?
Se sono posti a guidare la vita, alto/basso e
meglio/peggio sono dicotomie del successo, non decidono della riuscita.
Nell'impresa, nella famiglia, nel nostro viaggio, nulla riesce senza la
tendenza verso la cifra, verso il caso di qualità, verso il caso di vita e non di morte. Se la vita non diviene cifra, nessuno
spiraglio o ipotesi di luce, ma tanti alti e bassi. La vitalità non basta,
perché la tendenza della vita non è vitale, esige l’infinito della vita, cioè
l’infinito attuale, in atto, non l’infinito potenziale,
che sarebbe il tendere all'infinito partendo dal finito. Proprio la crisi, che
non si accontenta di facili rimedi, non consente altra direzione per l’impresa,
se non quella verso la qualità, per la via dell’internazionalismo e
dell'intersettorialità. Questa è la tendenza in atto:
Leonardo la chiamava forza, Machiavelli virtù e Freud pulsione.