COSTRUIRE, NON SPECULARE

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presidente di Costruzioni E. Dallacasa S.p.A., membro del Consiglio di Presidenza Ance Bologna-Collegio Costruzioni Edili

In questo numero della rivista apriamo il dibattito sull’intervento della mano intellettuale nei diversi settori della città e constatiamo che, senza la mano, intesa non solo come manualità, ma anche come logica e strategia, non c’è costruzione. Quale testimonianza può dare rispetto alla progettazione in una prospettiva di lungo termine oggi?
Per gli imprenditori è fondamentale analizzare quello che accade, per valutare le prospettive future. Questo significa capire quali sono le attività da sviluppare nel medio e lungo periodo. Ciascuno di noi costruttori è stato toccato duramente dalla crisi e credo che il mio pensiero sia lo stesso di tanti imprenditori che hanno l’esigenza di capire se l’attività svolta fino a questo momento abbia un avvenire. Alcuni colleghi hanno deciso di continuare a fare questo mestiere cambiando settore d’intervento, per esempio, incominciando a costruire all’estero; chi faceva l’immobiliarista ora si occupa solo di ristrutturazione; alcune aziende che operavano in zone limitrofe a quelle terremotate si sono dedicate alle attività di recupero, ristrutturazione e messa in sicurezza degli edifici danneggiati; altri costruttori invece ora si occupano della manutenzione di condomini. La mia politica è stata quella di continuare a fare il mestiere che so fare: costruire appartamenti e venderli.
Io lavoro per la riqualificazione del territorio, costruendo in zone che sono densamente abitate. La riqualificazione consente, per esempio, di progettare nuovi edifici con spazi dedicati al verde in precedenza occupati da stabili in degrado, contribuendo alla costruzione di una nuova città. Riqualificare vuol dire aggiungere tante piccole tessere di nuova città, che sostituiscono le aree prima degradate, spesso pericolose per la concentrazione di delinquenza. Ho deciso, quindi, che il mio mestiere non sarebbe stato altro che quello di sempre, con un’attenzione al territorio, riducendo i volumi, ma lavorando in modo sartoriale. Le grandi aziende di abbigliamento tagliano grandi quantità di tessuto, mentre il sarto taglia un abito alla volta, lo cuce in ciascun dettaglio e sta attento a evitare le pieghe che possono compromettere il taglio, in modo che l’abito calzi alla perfezione. L’avvenire della mia azienda è in questa direzione.
Costruire un edificio avvia un processo complesso: dal momento in cui viene progettato a quello in cui il progetto diventa esecutivo per essere cantierabile, fino al momento in cui si imposta il cantiere e si termina la costruzione, trascorrono non meno di ventiquattro mesi. Quindi ciò che penso di progettare oggi, nel 2014, sarà concluso e fatturato solo nel 2016, data in cui sarà parte del mio bilancio. Pertanto, è evidente che la mia attività m’impegna nel medio lungo periodo.
Attualmente, sto cercando di capire quali sono i volumi di produzione, e quindi di vendita, adeguati alla mia struttura, in modo da essere in sintonia con le opportunità del mercato e del territorio, Questo comporta un impegno preciso almeno da qui ai prossimi cinque anni.
L’obiezione più comune che spesso si sente quando si avviano nuovi cantieri edilizi riguarda il consumo del territorio…
Secondo me, bisogna distinguere: un conto sono le aree dimesse da riqualificare, in zone densamente abitate – come i vecchi capannoni oggi decisamente incongruenti con la vita della città –, o le zone abbandonate perché non più appetibili rispetto alla destinazione d’uso originaria. In questi casi, costruire comporta sostituire l’edificio ormai inadeguato con uno nuovo che, non solo è abitabile, ma ha anche caratteristiche costruttive più innovative. L’esempio classico è quello del capannone con la copertura in Eternit che si estende fino a occupare l’intera area, il cui volume viene recuperato in altezza con un edificio nuovo, liberando e riqualificando nuovi spazi. Tutto questo non può essere assimilato a quello che generalmente viene definito colata di cemento o consumo di territorio.
Diverso è invece il caso dell’ampliamento della città, nel momento in cui vengono messe in gioco aree verdi, quello è consumo di territorio. Ma anche in questo caso occorre fare i dovuti distinguo. Nel territorio ci sono situazioni che richiedono di essere ampliate, come parchi, piste ciclabili o scuole, che sono nell’interesse del cittadino ed è la stessa amministrazione comunale che le promuove. La critica dunque non può essere generalizzata, con l’idea romantica secondo cui tutto ciò che è costruito deturpa, inquina ed è un attentato alla natura. Significare l’attività del costruire come qualcosa di negativo diventa ideologico.
Fra gli oneri del costruttore, molti non hanno nulla a che fare con il suo intervento. Ad esempio, gli appartamenti costano di più al costruttore, e dunque anche a chi li acquista, perché una parte del progetto deve essere messa a disposizione del cosiddetto sociale…
Tecnicamente, si tratta di edilizia sociale. Nei grandi comparti, o comunque nelle aree di riqualificazione, per la cui attuazione occorre una delibera che le faccia entrare nel Piano Operativo Comunale, POC, viene imposta dal comune una parte di edilizia sociale. Il Piano Strutturale Comunale individua le aree che hanno la possibilità di diventare edificabili, ma occorre che vengano inserite nel POC. Quindi, è il comune a decidere quali tra le aree virtualmente edificabili possono esserlo effettivamente. Sempre il comune definisce le capacità edificatorie, anche sulla base delle dotazioni offerte dal costruttore, quindi di scuole, parchi e anche in termini di edilizia sociale. Si tratta di appartamenti in edilizia convenzionata o di appartamenti destinati all’affitto permanente, che il costruttore edifica ma non possono essere compravenduti. Questo è un onere per l’azienda costruttrice, che determina un costo più elevato per gli appartamenti da vendere a causa di quelli che devono rimanere a reddito, avendo tutti i rischi e i pericoli di una non locazione. Dunque, gli appartamenti messi in vendita devono avere prezzi superiori e il privato paga in quota parte l’appartamento destinato a edilizia sociale. Così come tutte le opere di urbanizzazione che vengono realizzate e imposte dall’amministrazione comportano costi che necessariamente si ripercuotono sugli appartamenti in vendita. A volte si verificano situazioni che sono anche abbastanza onerose per l’azienda costruttrice, come la realizzazione di una scuola, di piste ciclabili o di strade.
Cosa succede, invece, quando ai cittadini che abitano nelle zone limitrofe a quelle oggetto di riqualificazione ad esempio si limita la vista panoramica a causa della costruzione di nuovi edifici?
Quando s’interviene in situazioni di questo tipo, si trovano sempre confinanti che hanno qualcosa da obiettare, spesso e volentieri perché viene modificato uno status quo. Così è stato, ad esempio, nell’ultimo intervento che ho realizzato, la demolizione di un capannone con il coperto in Eternit che non liberava nulla in termini di verde. La sua sostituzione con un edificio di dieci piani dello stesso volume, ma sviluppato in verticale, pur garantendo intorno ampi spazi verdi non sembrava gradita. Nel caso dell’intervento di via Adige, ho realizzato un evento prima dell’inizio del cantiere e prima ancora di demolire il capannone, semplicemente invitando i cittadini a vedere cosa avrei realizzato, in modo che le critiche si misurassero concretamente con i miei progetti e i vantaggi della riqualificazione. Risultato: sono cessate le obiezioni.
Occorre far capire alle persone che lo speculatore è una figura molto diversa dal costruttore. Il concetto di speculazione implica la non produzione, ovvero l’acquisto di un bene per rivenderlo a un prezzo molto superiore. Lo speculatore di iniziative immobiliari che acquisisce un’area, la rende edificabile con un progetto urbanistico spesso di ampio raggio, dopodiché o vende i singoli lotti di terreno o appalta alle imprese di costruzione. Un’impresa di costruzioni ha due possibilità: o lavora per conto terzi, tra cui lo sviluppatore, o svolge al proprio interno tutto il processo, ossia compra l’area, costruisce e vende. Quest’ultimo è il nostro caso. Tra le imprese che acquisiscono l’area e costruiscono, alcune non si occupano della vendita, conferendo mandato a vendere a mediatori immobiliari. Noi, ad esempio, ci occupiamo anche della vendita diretta sia per salvaguardare la valorizzazione del nostro prodotto, ma anche per avere un dialogo diretto con il cliente finale, che tra le altre cose non solo può più semplicemente sentirsi ascoltato nelle proprie esigenze, ma evita l’esborso della provvigione.
Quando si parla dei cosiddetti palazzinari spesso non si coglie l’enorme differenza fra chi produce e chi specula. Noi produciamo, abbiamo maestranze che con il loro guadagno mantengono le loro famiglie. Alcune volte ricordo ai miei figli che io non devo pensare solo a loro, ma anche alle famiglie dei nostri operai, è una questione etica per me. Completamente diversa è l’attività speculativa, in cui l’oggetto della speculazione non ha valore in sé, nel senso che potrebbe essere acquistata o venduta qualsiasi cosa, purché dia quel margine speculativo che è l’obiettivo dell’operazione. L’oggetto vale nella misura del margine che si ricava dalla vendita. Chi progetta un bene e lo produce crea ricchezza per tutti, per le famiglie di chi lavora con il costruttore, per il territorio e per l’azienda che ha bisogno di trarre profitto per assicurarsi l’avvenire.