L’INTERNAZIONALISMO NELLA VENDITA E NELL’IMPRESA

Qualifiche dell'autore: 
imprenditore e inventore, fondatore della Biomedical Valley di Mirandola

All’estero l’Italia è nota principalmente per due settori: il tessile, in particolare della moda, e l’agroalimentare. La nostra però è una nazione che ha anche una lunga tradizione nell’ambito della meccanica…
Se lei per esempio va alla Covidien, l’azienda che ha sostituito la Dar, da me fondata nell’82, vedrà un’industria fondata sull’automazione. Questo è possibile perché il fatturato lo consente. Per fare automazione, per giustificare un investimento in macchinari tecnologicamente avanzati, occorre che l’impresa sia nelle condizioni di avere alti margini. Le aziende italiane spesso non hanno la forza per fare automazione perché manca l’organizzazione commerciale, che invece hanno per esempio le multinazionali. La difficoltà reale è quella di riuscire a essere presenti con i punti vendita in tutti i paesi del mondo, cosa che riescono a fare le multinazionali. Fino al 2000, la Dar fatturava 40 miliardi, di cui 20 all’estero e 20 in Italia. Dopo sette anni, quando ho deciso di cederla alla multinazionale Mallinckrodt, pur avendo continuato a gestirla io, il fatturato raggiunto contava 120 miliardi, 40 in Italia e 80 all’estero. La forza finanziaria della Mallinckrodt stava nel fatto che aveva buoni prodotti che vendeva in tutto il mondo. La vendita in un solo paese non è sufficiente per mantenere la produzione.
Secondo lei le imprese italiane dovrebbero potenziare questo aspetto?
È molto difficile calcolare la vita di un prodotto. Tanto per farle un esempio: se io decidessi di aprire una filiale nel settore medicale a Parigi, con le regole vigenti in Francia, costerebbe almeno mezzo milione di euro l’anno. Questo perché in Francia i venditori non sono a provvigione, ma stipendiati, hanno l’auto aziendale e oltre all’amministratore delegato responsabile è richiesta, nelle aziende del settore, la figura del farmacista. Ammortizzare quel mezzo milione sulle vendite in Francia risulterebbe molto difficile. Nel mio caso ho fatto crescere l’azienda e i venditori fino a un certo punto e poi ho venduto alla multinazionale. Baxter, per esempio, ha acquistato la Gambro, un’altra delle imprese che ho fondato, e sta realizzando uno stabilimento da 30.000 metri quadri, per sostituire quello danneggiato dal terremoto, aumentando la superficie del 30-40 per cento.
Nel libro La plastica della vita, in cui ripercorre la sua storia di imprenditore pioniere nel biomedicale in Italia, afferma che prima di diventare imprenditori occorre avere fatto i venditori e che bisogna prima andare a vendere il prodotto e solo dopo realizzarlo…
Il venditore deve confrontarsi con il rischio di non vendere. Il rischio è uno stimolo in più, che si riduce molto quando si ha un prodotto finito. Per realizzare un prodotto basta avere le capacità e le competenze e, se qualcosa non funziona, si può cambiare il tecnico e trovarne uno più capace. Per vendere, invece, bisogna avere l’intuito di capire come può essere utile il prodotto, bisogna sperimentare la sua applicazione inizialmente su un ridotto numero di ospedali e, se funziona alla perfezione, lo si vende in tutta Italia e poi anche all’estero. I venditori spesso però non accettano rischi e quindi finiscono per vendere un prodotto che, per dir così, si venda da solo.
Lei ha venduto i suoi dispositivi in tutto il mondo e ha constatato una grande differenza fra America e Europa…
In America ci sono milioni di persone che parlano la stessa lingua, usano la stessa moneta e hanno la stessa mentalità, l’Europa invece è fatta di tanti piccoli stati, ciascuno con le sue tradizioni. In America, nel nostro settore si registrano prezzi molto più bassi perché c’è una grande quantità di consumatori e le grandi aziende che aumentano i loro fatturati sono premiate con un ridotto carico fiscale. In Italia invece le aziende sono pressate da mille oneri, soprattutto le piccole aziende che sono circa l’85 per cento, in cui spesso un impiegato deve svolgere diverse mansioni, pur non essendo specializzato in nessuna. Vorrei specificare che io baso queste considerazioni sulla mia esperienza e che non parlo da esperto in politica aziendale. Quando alcuni professori della Bocconi hanno voluto incontrarmi per intervistarmi, il linguaggio che hanno utilizzato è risultato per me quasi incomprensibile. Ho potuto scrivere il libro della mia esperienza di imprenditore perché ho venduto nel mondo i miei prodotti in un momento in cui ce n’era bisogno. Anche adesso non manca certo la domanda nel biomedicale, la tecnica medica progredisce molto velocemente, quindi la necessità di cambiare qualcosa nelle linee di produzione ci sarà sempre.