ECCELLENZA E CRITICITÀ DEL MANIFATTURIERO ITALIANO

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presidente di Sefa Holding Group S.p.A., Bologna

Nel dibattito che avviamo in questo numero della rivista, ospitiamo testimonianze di imprenditori che constatano l’intervento della mano intellettuale nelle eccellenze del manifatturiero italiano. In che termini il vostro intervento è nell’ordine della mano intellettuale?
Il nostro gruppo si qualifica perché è impegnato costantemente nel dare valore aggiunto al prodotto che fornisce, ciascun servizio che offriamo è il risultato di un apporto d’intelligenza e l’intelligenza sta innanzitutto nella manualità. Abbiamo messo a punto un nuovo servizio, Sefa Machining Center (SMC), che consentirà di avvalersi di un unico interlocutore per gli acciai, offrendo non solo acciaio grezzo di qualità, ma anche semi-lavorati con alto grado di finitura superficiale, nelle dimensioni richieste dal cliente e con tempi di consegna paragonabili a quelli del materiale grezzo, già pronti per successive fasi in cui la lavorazione è più sofisticata. In passato, l’acciaio come materia prima entrava in azienda grezzo e usciva tagliato e in grandi volumi. Oggi il pezzo in acciaio entra grezzo in medi e grossi volumi ed esce da Sefa in tanti piccoli volumi, spesso valorizzato da servizi come la squadratura e la fresatura e altre lavorazioni primarie. Lavoriamo il prodotto in modo che sia pronto per la realizzazione dell’albero di una macchina, di un ingranaggio o di uno stampo, per esempio. Il nostro lavoro si è raffinato per accorciare la filiera e arrivare prima al fornitore finale. Spesso sono i nostri clienti a chiedere quale materiale è meglio impiegare, tenendo conto di determinate caratteristiche meccaniche e fisiche di quello che devono produrre e noi diamo consulenza anche sul tipo di lavorazione che la materia prima deve avere.
Noi commerciamo tutte le tipologie di acciai, da quelli detti volgarmente poveri a quelli più sofisticati, fatti con la metallurgia delle polveri che oggi trovano largo impiego per esempio nella produzione di stampi per tappi, per le bottiglie in PET, per il settore medicale e per le parti di stampo che occorrono per produrre ad esempio le cinture di sicurezza delle automobili. Questo tipo di acciai garantisce grande rendimento, sicurezza, riduzione dei tempi di lavorazione e la produzione in serie di grandi quantità. Lo sviluppo della manifattura italiana oggi è concentrato sull’alta tecnologia impiegata per pochi pezzi. Le tecnologie necessarie per grandi volumi invece non si trovano più in Italia, ma all’estero, dove si avvalgono di costi di produzione minori. Il manifatturiero potrebbe essere molto più avanzato, ma non è più conveniente produrre nel nostro paese. Il problema è che le aziende italiane fanno ricerca e realizzano prodotti innovativi, che però vengono esportati in altre aree del pianeta, soprattutto laddove i processi produttivi richiedono grandi volumi.
Nel nostro paese alcune eccellenze sono rimaste, ma le imprese hanno cicli produttivi ridotti. I grandi gruppi industriali si avvalgono della cultura del nostro manifatturiero e delle tecniche che nascono in Italia grazie all’intelligenza manuale dei nostri artigiani per poi esportarle all’estero. Il radiatore in alluminio, per esempio, è nato a Bologna, ma ormai credo che in Emilia se ne producano pochi. La stessa cosa vale per alcuni presidi medicali che non è più conveniente stampare in Italia, oppure, se si fanno prodotti che vengono impiegati maggiormente in altre parti del mondo, finiscono per essere stampati in quei territori. Per l’automobile è successo così. Molte aziende manifatturiere hanno avviato la produzione nei paesi in cui investiva la casa madre. In aree dove non esisteva prima, la manifattura per l’auto è stata creata, la Serbia ne è un esempio. Poi sono emigrati i cosiddetti cervelli italiani, esportando la capacità di realizzare il prodotto e insegnando agli operai del nuovo paese di produzione come lavorare. Della fuga dei cervelli che ha prodotto una mancanza di competenza nel nostro sistema non si parla abbastanza. Questo depauperamento di risorse d’intelligenza e manodopera, a forza di cassa integrazione e di sospensione della produzione, comporta che si perda la cultura manifatturiera che ha fatto la storia della nostra economia. Le macchine si possono comprare, ma l’intelligenza e la cultura manuale no, benché siano strategiche nel manifatturiero.
Questa mano intellettuale è costitutiva del manifatturiero…
È alla base di ciascun manufatto, per cui l’Italia ha molte cose da dare, anche se negli ultimi anni sembra che siano prevalse logiche finanziarie. Gli scambi con l’estero sono buoni, ma l’Italia ha svenduto il suo cervello e la situazione economica attuale è dovuta anche a questo. Il caso della siderurgia è sotto gli occhi di tutti. In questi settori strategici manca la forza del rinnovamento a causa di scelte politiche, soprattutto nei servizi di trasporto e di logistica globale, secondo cui è più facile farsi comprare piuttosto che acquisire e rilanciare nuovi comparti di produzione.
Noi combattiamo per la riuscita perché i nostri collaboratori e le loro famiglie scommettono nel futuro dell’azienda in Emilia Romagna e in Toscana. Aziende come le nostre, per un paese che era la settima potenza economica mondiale, dovevano essere il fiore all’occhiello. Invece ci confrontiamo con la difficoltà di redigere e di presentare bilanci veritieri, in cui gli utili effettivi corrispondano agli sforzi profusi. Anche quando l’azienda fattura, infatti, può esserci il problema dei mancati pagamenti, come nel caso di aziende statali o partecipate, che si arrogano il diritto di spostare di mesi tutti i pagamenti, rovinando il rating dell’azienda fornitrice e rendendo difficile la programmazione di nuovi investimenti.
Per di più, la difficoltà di fare una programmazione determina l’aumento dei costi e, se poi il lavoro è interrotto per esigenze dell’azienda committente, si creano insicurezze che determinano necessariamente una perdita di entusiasmo e di partecipazione attiva da parte delle persone coinvolte, da chi ha preso la commessa al progettista, fino all’operaio. È stata dimenticata l’importanza del lavoro manifatturiero perché non è tangibile nel prodotto finito, mentre invece la materia prima e la sua lavorazione sono l’ossatura senza la quale il prodotto non esisterebbe.
Qual è l’indicazione per il rilancio del manifatturiero?
Bisognerebbe favorire chi produce, consentendogli di guadagnare, in modo che sia motivato a produrre sempre meglio. Oggi, invece, l’impresa è stata intesa come un modo per fare finanza, dimenticando la sua vocazione a costruire la città e a dare un contributo di civiltà. Per questo l’italianità, a mio parere, è rimasta nel vero manifatturiero e non a caso ci sono cose che non si trovano altrove, ma solamente in Italia. Però tutti i giorni una piccola fetta di industria si perde per strada e con essa anche la cultura, i cervelli, i figli, la speranza. È un dramma sia per chi parte sia per chi rimane. Sentiamo il peso di non lavorare più per i nostri figli o i nostri nipoti, che emigrano, mentre abbiamo una responsabilità morale anche verso i nostri collaboratori e le loro famiglie. Posso testimoniare che le piccole e medie imprese vivono ciascun giorno questo senso di responsabilità.
Ai paesi esteri, intanto, conviene moltissimo importare questa manualità e favorire le condizioni migliori per i lavoratori già formati. In Italia, se il fornitore fa bene il suo lavoro, è un interlocutore importantissimo per le altre aziende, poiché siamo rimasti in pochi e dobbiamo fare squadra. Non a caso SEFA gode di ottima stima tra le imprese della filiera e le viene riconosciuta un’importanza fondamentale nel processo produttivo industriale. Ma questa filiera di sub-fornitura non è amata e non è riconosciuta nel suo ruolo trainante.
Bisogna rilanciare l’industria meccanica con incentivi all’acquisto e al rinnovamento di macchine utensili, ma anche all’assunzione di giovani da formare e favorire l’investimento in stock di materia prima. Da questo trarrebbero benefici anche tutti gli altri settori industriali, come quelli della moda, del bio-medicale e, in modo meno significativo ma sempre importante, quelli elettronico e chimico. Occorre destinare risorse intellettuali verso settori nei quali è difficile raccogliere immediatamente i risultati, ma favoriscono la ripresa complessiva del paese nel lungo periodo. La nostra industria è frutto delle scelte degli anni settanta e ottanta in cui si puntava sull’acciaio, sulla chimica, si estrudeva alluminio per infissi e abitazioni. Adesso si potrebbero realizzare altre cose, per le automobili, per gli elicotteri o gli aerei, questa necessità c’è ancora. Il problema è che il risultato non si vede il giorno dopo, perché oggi noi avremmo dovuto essere un paese che costruisce automobili con lo stesso impegno che ci mettono le aziende tedesche.