IN IRAN È CAMBIATO IL PRESIDENTE, MA NON IL REGIME

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
giornalista e scrittore, esperto di vicende iraniane e mediorientali

Dopo che Hassan Rouhani è divenuto presidente dell’Iran, succedendo a Ahlmadinejad, dai giornali occidentali sembra emergere che in questo paese la repressione e il controllo politico abbiano allentato la loro presa, in particolare rispetto alle libertà personali e ai diritti civili e religiosi. Qual è la sua valutazione?
Durante la campagna elettorale, Rouhani ha fatto molte promesse alle donne, agli studenti, agli ecologisti e agli economisti, esponenti di settori dove negli anni di Ahlmadinejad era intervenuta una chiusura. In realtà, in quest’anno di presidenza, Rouhani ha lanciato alcuni segnali, per esempio ha nominato un consigliere sociale della Presidenza per le libertà religiose, ma in altri ambiti non è riuscito. Per esempio, è fallito il tentativo d’inserire un ministro sunnita, perché l’opposizione sciita è stata insormontabile. Aveva promesso che le donne non sarebbero state più molestate per la strada per controllare se il foulard in testa lasciasse intravedere troppi capelli, ma nemmeno in questo è riuscito, perché la polizia ha raddoppiato i controlli. Aveva dichiarato che Internet e la banda larga non sarebbero stati un problema, ma proprio alcuni giorni un religioso molto vicino a Ali Khamenei, la Guida Suprema dell’Iran, ha lanciato una fatwa secondo cui la banda larga permette di peccare molto più facilmente, perciò è stata dichiarata haram, cioè non ammissibile. Avrebbe dovuto togliere i controlli sulle antenne satellitari e invece hanno ricominciato a farli. Rouhani ha fatto molte promesse, ma quando qualcuno ha cercato di attuarle ha trovato un muro davanti, come il ministro dell’Alta istruzione, che si occupa dell’Università, che ha riammesso gli studenti espulsi per ragioni politiche durante il governo di Ahlmadinejad e ha ripreso i professori prepensionati per motivi politici, ma il Parlamento gli ha votato la sfiducia e questo ministro si è dovuto dimettere una settimana fa. Rouhani sa che deve mantenere le promesse, altrimenti perderà l’appoggio che ha ottenuto, ma in questo primo anno non c’è riuscito.
È vero che è stata adottata una politica più restrittiva per l’accesso delle donne all’università?
Sì, sono state vietate alcune facoltà alle donne, come per esempio l’ingegneria mineraria e civile. La ragione sarebbe quella di non consentire alle ragazze di studiare quelle materie che in seguito le porterebbero a lavorare in ambiti riservati agli uomini. Nel campo educativo assistiamo anche anche alla riduzione o all’abolizione di alcune materie ritenute troppo laiche e poco islamiche, come filosofia e scienze politiche. Non a caso il ministro dell’Università del governo Rouhani è stato proprio in questi giorni costretto alle dimissioni: era ritenuto troppo liberale dagli ambienti religiosi e conservatori che dominano il Parlamento.
Ci sono stati miglioramenti per i dissidenti e i prigionieri politici?
Non direi. Chi era in carcere ingiustamente è ancora lì e quest’anno altri giornalisti e dissidenti hanno varcato la soglia delle prigioni. Il numero delle esecuzioni è aumentato e ha battuto tutti i nefasti record degli anni precedenti. Non è chiaro se Rouhani non abbia il potere necessario per esercitare pressioni sul potere giudiziario e sui pasdaran (le Guardie della rivoluzione), oppure, come dicevano i nativi americani, se sia “una lingua biforcuta”.
Rouhani ha parlato telefonicamente con Obama, ha riconosciuto l’esistenza dell’Olocausto, rispetto a Ahlmadinejad ha sfumato gli attacchi all’Occidente. Sono indizi di una svolta più moderata?
In politica estera, ha moderato e cambiato il linguaggio diplomatico, riuscendo a dialogare di più, anche se questi dialoghi non hanno portato finora una trasformazione effettiva della politica estera iraniana. Il dossier nucleare è ancora aperto e i negoziati per un accordo definitivo hanno incontrato non poche difficoltà.
Qual è la posizione dell’Iran rispetto all’Isis?
L’Iran, in gran parte sciita, considera l’Isis, sunnita, un suo nemico, per cui ha inviato soldati per combatterlo sia in Iraq che in Siria, e ha fornito armi ai curdi iracheni. Ma bisogna tenere conto che la crescita dell’integralismo sunnita è una risposta all’integralismo sciita propagandato, sostenuto e finanziato dall’Iran. La Repubblica Islamica sostiene con ogni mezzo gli sciiti radicali nello Yemen, nel Libano o in Iraq. In altre parole, l’Iran combatte l’integralismo sunnita, ma sostiene nello stesso tempo l’estremismo sciita. La ragione della vittoria dell’estremismo sunnita in Iraq è lo scontento nei confronti del Primo ministro sciita Nuri al-Maliki e del suo governo che, con le loro politiche settarie e discriminatorie, hanno creato terreno fertile per il terrorismo sunnita.
Paradossalmente, questo terrorismo islamista ha avvicinato Stati Uniti e Iran...
In effetti, l’estremismo sunnita, che è molto più radicale di quello sciita, ha permesso all’Iran di proporsi all’Occidente come un islam più accettabile e un alleato affidabile nella lotta con l’Isis e formazioni simili.
Fino al punto che l’Iran potrebbe porsi come mediatore tra Isis e Occidente, magari in cambio di un allentamento delle sanzioni o della possibilità d’incrementare l’arricchimento dell’uranio, programma che Rouhani non ha abbandonato?
Parlare della possibilità che l’Iran possa mediare tra l’Occidente e l’Isis non ha senso. È più facile pensare a una mediazione occidentale tra l’Iran e l’Isis. L’Isis è una reazione sunnita all’estremismo sciita sostenuto da Teheran.