OMAGGIO A BRUNO GNUDI
Nel nostro viaggio incontriamo interlocutori che risultano veri maestri e il loro caso diviene per noi paradigma di cifra. Quanto vale una parola nel momento della formazione, per esempio, o nel momento in cui incomincia una sfida e poi una scommessa? L’apporto dell’interlocutore può decidere il progetto di una vita. Questo valore non si può quantificare, anche se il bilancio non può prescinderne.
Bruno Gnudi era un interlocutore vero. Era nell’accoglienza incessante, con il sorriso e l’ascolto, due qualità rare oggi. Non è un caso che alcuni dei suoi collaboratori siano rimasti al suo fianco per quasi cinquant’anni. Ha iniziato a collaborare con la nostra rivista quando aveva più di ottant’anni e l’entusiasmo di chi deve ancora incontrare molte persone. La prima volta in cui lo incontrammo, ebbe cura di affidarci la fotografia di Antonio Martelli, figura determinante nel suo itinerario, che nel 1949 costituì la Costruzioni Meccaniche Martelli, poi divenuta C.A.M.
Le cose procedono dall’alleanza. Spesso si crede il contrario. Invece non si giunge all’alleanza, si procede dall’alleanza come apertura. E questa era una qualità di Bruno Gnudi, che gli valse la stima degli operai, anche quando, nei cruenti anni settanta in cui gli imprenditori di Bologna e altrove erano quotidianamente assediati a causa delle rivendicazioni sociali, fece notare con ironia e fermezza che nelle aziende, del settore meccanico in particolare, “tante persone stringono i bulloni insieme”. E ciascuno ha il suo compito.
Bruno Gnudi era un combattente. Un anno, quando ancora non c’erano i cellulari e si comunicava con le lettere, era così impegnato ad attraversare lingue, culture e continenti diversi, che per trecentocinquanta giorni non mise piede in casa, pur avendo una moglie e due figli. Come egli dice testualmente nell’intervista da noi pubblicata nella rivista “La città del secondo rinascimento”: “Dovevo affrontare i diversi problemi e parlare con tante persone, dovevo imparare molte cose”.
Bruno Gnudi si atteneva al compito di annunciare la rivoluzione delle macchine automatiche nel pianeta, con lo stesso spirito degli uomini del rinascimento che, da Marco Polo a Cristoforo Colombo, annunciavano la novella italiana, ovvero il rinascimento delle arti e delle invenzioni.
Cosa ci lascia oggi Bruno Gnudi? Cosa resta di lui? Nessuna reliquia, nessun rimpianto. Restano le parole e le opere, la sua opera di costruzione, che non ha conosciuto risparmio.
Chi combatte compie una battaglia per la riuscita, senza ideologie e facendo quello che occorre, non dimenticando che siamo piccoli uomini sulle spalle di giganti, come ci suggeriva Isaac Newton.
Bruno Gnudi, lui, era e resta un gigante, non solo nel settore della meccanica e delle macchine automatiche, in questa regione foriera di talenti straordinari, ma anche per la sua umiltà. Humilitas propria della terra. Il termine deriva infatti dal latino humus, terra. Humilitas, senza cui non c’è ascolto. Humilitas, materia della parola, strumento di costruzione.
La parola non si vede, ma se ne constatano gli effetti, di cui è intessuta la città e anche le macchine automatiche. Bruno Gnudi aveva colto che le cose si dicono e dicendosi si fanno, aveva inteso che s’impara facendo e non viceversa.
Oggi, i suoi figli, che hanno avuto la fortuna di camminare negli anni di lavoro in azienda insieme a lui, hanno la chance di proseguire e rilanciare l’opera del padre.
Il padre non muore nella misura in cui il suo nome funziona nella parola, nel mito. Nella nostra parola, nel nostro racconto, nel nostro fare, il padre è immortale.
Caro Bruno Gnudi, Le siamo grati. Le siamo grati per aver accolto con gioia e grazia la partita che Le abbiamo proposto. “La città del secondo rinascimento” è cresciuta anche grazie a Lei e in questa città, con il Suo nome e con il Suo esempio, noi e i suoi figli, Gabriele e Gabriella, continueremo a camminare sulla strada da Lei tracciata.