FLESSIBILITÀ E VELOCITÀ AL SERVIZIO DELLA QUALITÀ
Secondo la sua esperienza ultraventennale maturata in una storica azienda meccanica italiana, in particolare nel settore dei sottocarri cingolati, quanto incide oggi l’investimento nel marchio made in Italy e quali effetti sta producendo nel nostro paese?
Fino a dieci anni fa il mercato favoriva la produzione delle aziende italiane con sede all’estero, nel cosiddetto Far East. Il calo del PIL, che è avvenuto in seguito in paesi come la Cina e l’India, ha fatto sì che gli imprenditori asiatici capissero che vendevano di più e meglio con il marchio made in Italy impresso sui loro prodotti. Oggi, costoro acquistano aziende italiane in crisi in modo da ultimare la produzione in Italia e esportare con il nostro marchio. Per lo stesso motivo, soprattutto nel campo della moda ad esempio, anche i francesi hanno acquistato diversi marchi italiani perché non basta più il nome dei loro stilisti più prestigiosi. Questo è il valore aggiunto che noi abbiamo sempre ignorato e che, invece, attualmente può costituire un’opportunità per muoverci da protagonisti nel mercato.
Orientare la produzione alla qualità assoluta è una scelta che Tracmec ha fatto già molti anni fa…
Il Gruppo Bauer, di cui siamo consociata, ha sempre sostenuto politiche improntate alla qualità della produzione, non a caso è leader nella trivellazione per qualità e innovazione tecnologica. Fare le cose in modo eccellente è uno stile di vita e spesso decide il futuro di un’azienda, soprattutto se fa parte di un Gruppo di un settore in cui è molto forte la concorrenza. Noi abbiamo molte frecce al nostro arco, per esempio nel trovare combinazioni nuove che favoriscono flessibilità e velocità nelle procedure, mantenendo un buon rapporto fra prezzo e qualità. In Germania, invece, spesso la carta vincente delle imprese è nell’organizzazione che pianifica anche le cose più semplici, ma non sempre garantisce risultati di qualità del prodotto. Quello che dobbiamo fare, in Italia, è essere più pronti, più flessibili, più ricettivi e innovativi dei concorrenti, piuttosto che elogiare il modo di lavorare d’Oltralpe. La vera nuova frontiera è questa. Qualità e flessibilità non sono contrapposti, soprattutto se ci confrontiamo con mercati come quello degli Stati Uniti, in cui opera il leader mondiale del settore, che però è tanto importante quanto mastodontico – con la sua produzione di mille o duemila carri uguali in un anno– e ha tempi di produzione biblici. Noi riusciamo a costruire un carro su misura in appena due o tre mesi, inclusa la progettazione, mentre la media dei concorrenti è di sei o sette mesi per ciascuno, e il nostro studio di fattibilità viene effettuato in appena cinque giorni lavorativi. Abbiamo all’attivo circa trecento progetti già pronti, anche per questo con piccole modifiche riusciamo a soddisfare le richieste più varie del cliente e in tempi brevi. Inoltre, la qualità Bauer è ampiamente riconosciuta. Se è facile produrre macchine che trivellino nella terra o nella sabbia, quando occorre farlo in profondità e soprattutto nella roccia, Bauer è il partner migliore in assoluto. La potenza e la solidità delle sue macchine consentono anche di entrare in mercati laddove gli altri non arrivano.
A proposito di made in Italy, Leonardo da Vinci ha inventato il primo carro armato al mondo. Quanto è importante che il nostro paese valorizzi la cultura tecnica nella costruzione della macchina?
Indubbiamente in Italia abbiamo la capacità di inventare cose nuove, ma vorrei sottolineare anche il contributo importante che può dare la manodopera specializzata nel settore. In particolare, assumere operai che hanno maturato professionalità ed esperienza comporta anche un valore aggiunto immediato, soprattutto se si tiene conto che la formazione di giovani esige tempi troppo lunghi per un’impresa come la nostra.
Spesso accade di confrontarsi con problematiche ulteriori a quelle della formazione…
Nel 2005, quando è stata fondata Tracmec, i colleghi tedeschi hanno chiesto di esporre alcune bandiere con il marchio dell’azienda, che abbiamo predisposto a una distanza dal ciglio della strada così come richiesto dal regolamento provinciale. Oggi, dopo nove anni dal momento in cui abbiamo avuto l’autorizzazione e pagato i relativi oneri, dobbiamo preoccuparci di arretrare la postazione delle bandiere, a causa di un’errata segnalazione della norma indicata dalle autorità provinciali. Si parla tanto di tagli alla burocrazia però le aziende italiane sono costrette a ottemperare quotidianamente a nuove normative burocratiche, per di più con valore retroattivo, che di fatto ostacolano la prospettiva di investimenti. Come possiamo rendere appetibile il nostro made in Italy, in particolare quello del settore metalmeccanico, agli imprenditori che vogliono tornare a produrre in Italia?