IL VIAGGIO DELLA VITA
Spetta al filosofo Vittorio Mathieu aver notato che l’Europa non è l’espressione di un territorio bensì di un incessante viaggio, e di come esso si scriva in un romanzo: Ulisse e Alessandro, Mosé e Dante, Edipo e Cristo, Polo e Colombo ne sono emblemi, o testimoni. Viaggio intellettuale, viaggio di arte e cultura, viaggio di civiltà. Che è stato costituito anche dal viaggio dei Vichinghi e da quello dei Vandali o di altri chiamati barbari, cui Roma ha offerto un centro, che mai è venuto meno, semmai con il viaggio del civis romanus si è situato ovunque. Da allora l’Europa è viaggio ma anche centro, centro come punto mobile, vuoto, insituabile, come condizione del viaggio di chi si spaesa o si sprovincializza ma non si perde né si abbandona; viaggio di chi pensa, come Carlo Sini, che la civiltà planetaria non c’è ancora, ma proprio per questo va inventata, non distrutta.
“Viaggiare è il paradiso degli sciocchi” scrisse Ralph Emerson nel 1840. E ancora oggi c’è chi si dedica al viaggio conformista e voyeristico, cioè senza tempo e senza ascolto, al viaggio festivo per riconfermare la fissità feriale, al viaggio della droga e dell’alternativa: modi della mortificazione, viaggi della morte. Come instaurare il viaggio della vita? Prima di tutto una constatazione, cui alludono i testi degli imprenditori qui raccolti: niente riuscita se dal viaggio vengono tolti l’audacia, ovvero il rigore e la follia, e il rischio, che è di verità e di riso; e importano la cultura come invenzione e la tecnica come arte, perché questo viaggio non ha precedenti, cioè non è naturale, né fondamenti, cioè non è facile. Ma la chance è che, in ciascun caso, la difficoltà è di parola, per cui diventa paralizzante solo se rappresentata, ed è difficoltà sempre alla nostra portata, proprio perché specifica del viaggio in cui ciascuno esiste. Portata linguistica, portata pulsionale, portata intellettuale.
Il nostro viaggio non ci fa paura perché procede dall’apertura intellettuale anziché dalla copertura sociale, dal due originario anziché dall’unità, cui magari dovrebbe ritornare, compiendo un viaggio universo, circolare, con la capsula spaziale. Ci vuol cervello per non aver paura, ma non il cervello proprio, non il capo, bensì il cervello come dispositivo intellettuale: dispositivo imprenditoriale, finanziario, di scrittura, perché, come dice qui Armando Verdiglione, la scrittura, in quanto scrittura della parola, è qualificante.
Il viaggio della vita è il viaggio della scrittura che diviene qualità, cui ciascuno è convocato dalla cifrematica, la scienza della parola, con i suoi dispositivi con cui l’esperienza di ciascuno trova un’integrazione e può giungere alla restituzione in cifra del proprio testo.