IL NUOVO MUSEO FERRUCCIO LAMBORGHINI: QUANDO L'AUTO È UN'OPERA D'ARTE
Il 27 maggio scorso è stato presentato, in anteprima per la stampa, il nuovo Museo Ferruccio Lamborghini, che sarà inaugurato ufficialmente in settembre di quest’anno. Perché ha deciso di spostare il meraviglioso Museo dedicato a suo padre nel 1995 da Dosso di Ferrara a Funo di Argelato, alle porte di Bologna, nel cuore della Motor Valley?
Mi sembra un’opportunità da dare a Bologna e ai comuni dell’Unione Reno Galliera, soprattutto in un momento in cui il territorio ha bisogno di segnali forti per il rilancio dell’economia. Se consideriamo che il museo di Dosso, di grande bellezza ma molto più piccolo (appena 1500 metri quadrati), ha avuto migliaia di visitatori da tutto il mondo, prevediamo che il nuovo, con i suoi 9000 metri quadrati e il contesto in cui è inserito – lo spazio polifunzionale, Forum Tonino Lamborghini –, porti circa 100.000 visitatori all’anno, con tutto il vantaggio delle attività che dovranno sorgere per accogliere questo flusso.
Un altro motivo che mi ha spinto a compiere questa operazione, che ha richiesto un investimento notevole, è stata la volontà di valorizzare l’ex stabilimento Lamborghini, ora sede del museo, in cui ho lavorato, insieme a 109 persone di Argelato, per ben quarantacinque anni, tanto più perché la sua posizione strategica consente di portare il museo più vicino alla città, all’arrivo dell’autostrada (a cinque minuti dall’uscita Bologna Interporto) e a pochi chilometri dell’ente fiera.
Nel 1968, gli appassionati della Miura d’oltreoceano potevano ammirarla tra le opere d’arte del MOMA di New York. Oggi, oltre alla Miura personale di suo padre, che cosa potranno apprezzare i visitatori del nuovo Museo Ferruccio Lamborghini?
Tutta la produzione industriale di mio padre: dal primo trattore Carioca, con cui ha dato il via nel 1947 al suo gruppo industriale, ai modelli degli anni settanta; dal prototipo della 350GTV all’avveniristica Countach; dagli esemplari di Jarama all’Espada, con apertura ad ali di gabbiano che ha ispirato l’auto del film Ritorno al futuro; e poi l’offshore Fast 45 Diablo Classe 1 di 13,5 metri con motori Lamborghini, undici volte campioni del mondo; uno splendido esemplare omologato di elicottero Lamborghini; bruciatori, caldaie e sistemi di raffreddamento Lamborghini; uno spazio dedicato ad altre auto e moto di quel periodo in un contesto di comparazione; riconoscimenti ufficiali e foto dell’epoca per ricordare non solo le vicende di mio padre, ma anche quelle della nostra famiglia e di migliaia di persone che hanno ruotato attorno a noi.
Volevo una struttura dinamica, che esaltasse l’intelligenza, la genialità e la particolarità dell’uomo a cui è dedicata; un autentico spaccato di civiltà industriale e della società italiana del secondo dopoguerra, in cui tutto ciò che è esposto viene esaltato da un’architettura di design post-industriale.
Ma com’è nata l’idea del primo museo?
Fin da ragazzino collezionavo oggetti che oggi troviamo esposti nel museo. A sedici anni, andavo in giro per le campagne con il mosquito per chiedere ai contadini di vendere i loro vecchi trattori abbandonati sotto i fienili. Un segno del destino: ho trovato i primi otto in ordine cronologico, dal primo modello all’ottavo, alcuni dei quali costruiti in soli uno o due esemplari.
Un giorno mostrai questa mini raccolta a mio padre che, anziché apprezzare, mi beffeggiò: “Secondo me, tu devi pensare a lavorare, non a queste robe vecchie”. Un po’ imbarazzato, misi in moto uno dei trattori. Allora i suoi occhi azzurri cominciarono a brillare, si emozionò e mi disse: “Avevo la tua età e neanche un soldo in tasca. Vai avanti così”.
Lei narra questo episodio nel libro Ferruccio Lamborghini: la storia ufficiale, appena uscito, con un vasto corredo fotografico e numerosi aneddoti divertenti sulle “trovate” di Ferruccio, a prova del fatto che il suo spirito costruttivo andava oltre l’invenzione motoristica…
Leggendo il libro, si può capire come mio padre abbia dato un contributo notevole in vari ambiti, per esempio alla meccanizzazione dell’agricoltura in Italia. Il suo primo trattore, il Carioca, utilizzava i residuati bellici: gli americani avevano lasciato chilometri di materiale bellico ancora imballato. Esistevano già i trattori costruiti utilizzando pezzi di vecchie Fiat, ma erano deboli. I trattori Lamborghini invece erano potentissimi e costavano poco, grazie all’uso di quel materiale. Era l’epoca in cui l’America finanziava la ricostruzione del nostro paese, ma anche mio padre attuava un suo piano Marshall: vendeva ai contadini i suoi trattori meravigliosi, chiedendo solo un anticipo, il resto potevano darglielo non appena il nuovo acquisto avrebbe portato un aumento della produttività e quindi del reddito.
Ma un altro contributo inestimabile lo ha dato con la Miura, che ha stravolto la meccanica automobilstica: così come nella religione c’è il prima e il dopo Cristo, nel mondo delle automobili c’è il prima e il dopo Miura. Non a caso, fu l’auto con cui mio padre incominciò a fare davvero paura a Ferrari.