LA SIGNORA DEI VINI
Lei è l’unica agente donna di una delle più importanti aziende italiane del settore dei vini...
Nel mio settore sono molte le donne che si occupano dell’immagine, del marketing e della comunicazione, mentre gli ambiti tecnici sono riservati quasi esclusivamente agli uomini. Io, però, sono diventata sommelier, perché volevo approfondire la conoscenza del prodotto che propongo, anche se devo constatare che non è facile, bisogna mantenere alta la guardia e proseguire con tenacia. Ma per me rappresenta una sfida, per di più in una congiuntura economica sfavorevole anche per i consumi di beni di prima necessità.
Tuttavia, qualche piccolo vantaggio per la “Signora dei vini”, come mi chiamano, ogni tanto arriva: come per esempio essere ricevuta dai clienti prima dei colleghi uomini. È una forma di riconoscimento che ripaga in parte per il maggiore sforzo che le donne devono compiere per gestire più problemi in simultanea, trovando soluzioni ingegnose.
C’è un contributo che le donne possono dare per una maggiore e proficua collaborazione fra vari ambiti del commercio?
Certamente. Le donne possono favorire la cultura dell’integrazione. Per esempio, una persona molto brava nelle composizioni floreali potrebbe abbinare le sue proposte a quelle di un wedding planner, di un ristorante e di un fotografo e costruire insieme l’offerta a seconda delle esigenze dei clienti. Tuttavia, la spinta alla collaborazione ancora non è molto diffusa nel commercio, permane la gelosia, come se occorresse custodire chissà quale segreto. La riuscita nella vendita invece ha bisogno dello scambio costante, perché un patrimonio non trasmesso non è valorizzato. Forse le donne hanno il vantaggio di una maggiore capacità di ascolto, ma la gelosia resta uno scoglio da superare che impedisce di essere unite: gli uomini hanno il bello della solidarietà fra compagni di squadra, mentre le donne a volte rischiano di litigare persino con loro stesse. Per questo una delle cose che dovremmo imparare da loro è non prendersi troppo sul serio da una parte e combattere unite dall’altra. Anche perché di battaglie da fare ne abbiamo: basti pensare al paradosso che lo stato chiede le tasse sul presunto ricavo a una lavoratrice indipendente che, dopo aver versato i contributi per vent’anni, percepisce solo 2.000 euro di maternità, lavorando fino a una settimana prima di partorire e tornando a lavorare subito dopo, mentre sta ancora allattando.