LE DONNE E IL SECONDO RINASCIMENTO
Lei è stata di recente rieletta, per il terzo mandato, presidente dell’AIDDA (Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti d’Azienda) Delegazione Emilia Romagna, dopo aver svolto il ruolo di vice presidente nazionale negli ultimi tre anni. Quali sono le principali attività della sua associazione?
L’AIDDA è nata cinquant’anni fa a Torino per consentire alle socie di essere rappresentate nelle istituzioni e formulare proposte che fossero ascoltate da chi ci governa. Nel 2000, per esempio, abbiamo redatto, insieme al Ministero del Lavoro, la Carta delle Pari Opportunità, che è stata recepita anche a Bruxelles, dove sono andata personalmente. Da allora, le consigliere per le Pari opportunità regionali e provinciali hanno compiuto veramente un grande lavoro per intervenire ovunque si siano verificate discriminazioni, non solo verso le donne, ma in generale. Abbiamo ottenuto tanti risultati: oggi le discriminazioni sul lavoro sono molto meno rispetto al passato, ma è chiaro che bisogna sempre fare di più, lavorare di più, perché in alcuni ambiti sembra di lottare contro i mulini a vento.
Può fare qualche esempio?
I problemi che oggi stanno affrontando le imprese sono tanti – dalla pressione fiscale alla burocrazia –, ma per le donne si aggiunge la difficoltà di conciliare lavoro e famiglia, soprattutto perché mancano le strutture che potrebbero dare un supporto inestimabile in questo senso. C’è carenza di asili nido e di servizi, non soltanto per le imprenditrici, ma anche per le lavoratrici che operano nel commercio. Per esempio, non ci sono asili nido che coprano la fascia oraria dalle 17.30 alle 19.30, per cui chi lavora in un negozio, se non ha un aiuto in casa, non sa dove portare i bambini. Ne parliamo da anni, ma finora non ci siamo sentiti affatto ascoltati. Già quindici anni fa, con i negozianti del centro storico di Bologna, proponemmo di aprire un asilo in centro per le lavoratrici, ma abbiamo avuto tanti di quei problemi con la burocrazia che l’asilo sta ancora aspettando. E che dire della maternità delle imprenditrici? Una dipendente in qualche modo è tutelata, ma una commerciante, un’artigiana che lavora per conto proprio non ha cinque mesi di maternità stipendiati, ma neppure uno. Un governo attento dovrebbe in qualche modo tenerne conto, perché aiutando le donne si aiuta anche la famiglia e quindi l’intera società.
Il negozio Zinelli di Bologna è rinomato in tutto il mondo per i suoi tessuti made in Italy ed è una prova che il commercio di qualità resiste anche alle difficoltà dell’economia…
Abbiamo clienti che vengono dagli Stati Uniti per farsi confezionare camicie, abiti e biancheria per la casa su misura. Abbiamo anche molti clienti giapponesi e cinesi che, durante alcune fiere, tutti gli anni vengono a comprare le sete di Como. È paradossale che acquistino proprio le sete, ma è straordinario che, in un momento in cui tanti comprano dalla Cina, i cinesi cerchino i tessuti più belli in Italia. Comunque, le stesse sartorie italiane fanno fatica a trovare alcuni prodotti come per esempio il cashmere, non sono rimasti molti negozi che lo vendono, noi siamo fra i pochi, sperando di continuare.
Ma oggi non è facile. Se parliamo del centro storico di Bologna, non solo il commercio non ha agevolazioni e sostegno, ma non c’è neppure una particolare attenzione ai problemi del traffico e alla cura dell’aspetto estetico, che sono invece fondamentali per invogliare i cittadini e i turisti a passeggiare e acquistare in una città che potrebbe essere un salotto all’aperto, con i suoi portici che sono candidati come “patrimonio dell’umanità” Unesco. A livello nazionale non ne parliamo: non è un caso se nel 2013 sono stati chiusi ben 167 negozi al giorno. La recente manifestazione di Confcommercio a Roma rappresenta la realtà: lavoratori autonomi, commercianti, artigiani non vanno in piazza facilmente, se ci vanno vuol dire che sono proprio arrivati all’esasperazione, siamo arrivati all’esasperazione. Quando il numero delle chiusure supera quello delle aperture, l’allarme dovrebbe scattare subito per chi sta al governo, non ci vuole molto a capire che – se l’Italia si regge sulle piccole e medie imprese di produzione e del terziario, mentre le grandi aziende sono poche e stanno prendendo la strada della proprietà estera – è estremamente urgente incentivare i mestieri legati all’artigianato e al commercio. Le nostre radici sono nella bottega rinascimentale, qui sta il nostro valore aggiunto ancora oggi: nella particolarità dei nostri prodotti inconfondibili che non temono concorrenza, perché l’artista non ha concorrenti, ma solo clienti. Allora, non si può ignorare il declino in cui oggi versano quelle scuole artigianali in cui si sono formate intere generazioni di imprenditori di successo nella nostra provincia. Occorre ripartire da lì, ricominciare dalla scuola, dall’apprendistato nella bottega, che è luogo di incontro, di scambio e di arricchimento costante e dovrebbe essere il fiore all’occhiello del nostro paese per valorizzare il nostro patrimonio intellettuale. In questo senso, se si organizzano per rilanciare i mestieri che le hanno sempre viste protagoniste, le donne possono dare un contributo inestimabile al secondo rinascimento.