DA BOLOGNA, ESEMPLARI UNICI NELLA PRODUZIONE DI STAMPI

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presidente di Officina Meccanica Marchetti Srl, Bologna

Solido partner di aziende italiane nei settori medicale, tecnico, automotive e cleaning di alta qualità, Officina Meccanica Marchetti festeggia quarant’anni di attività nel settore degli stampi ad iniezione per la produzione di particolari termoplastici e siliconi liquidi. Com’è incominciato il vostro viaggio?

Negli anni settanta, dirigevo una piccola azienda che costruiva stampi, ma ero dipendente e in questa condizione lavorativa mi sentivo penalizzato, anche perché in quel periodo l’entusiasmo per il lavoro era quasi inteso come un demerito, chi si prodigava per dare il proprio contributo cercando di trarne soddisfazione veniva considerato un diverso.

Così decisi di incominciare a costruire stampi aprendo un’azienda per mio conto. In quel periodo, tuttavia, la pressofusione stava per essere surclassata da un nuovo materiale come la plastica. A metà degli anni settanta, il polistirolo, il moplen e il nylon erano i soli materiali plastici in commercio. Tuttavia, poiché era in atto un notevole sviluppo, incominciai a fare esperienza nel settore degli stampi per termoplastica, inventando nuove combinazioni nella loro progettazione.

Complice la prossimità geografica del distretto biomedicale di Mirandola, incominciammo a costruire stampi per questo settore, in particolare per piccoli apparati per fleboclisi, per la respirazione e la rianimazione, per prelievi di sangue e strumenti analoghi. L’azienda aumentava le commesse e le assunzioni, ma nel 2000 il medicale entrò in crisi. Poi, com’è noto, arrivarono sul mercato i paesi emergenti, con costi di manodopera e regole notevolmente ridotti. Fu in quel momento che c’interessammo a una tecnologia nuova, lo stampaggio a iniezione del silicone liquido, che passa dallo stato pastoso a quello solido attraverso il calore. Occorreva produrre stampi che consentissero questo processo di trasformazione in tempi brevi, così come era avvenuto per il settore termoplastico. Nel 2007 incominciammo a sentire in modo pressante la concorrenza estera, poiché i paesi che fino ad allora avevano acquistato i nostri stampi migliori diventarono anch’essi costruttori. Questo fenomeno si è verificato anche per tanti altri articoli, come le macchine utensili, che per di più sono state vendute dai produttori italiani con i loro impianti, trasmettendo la tecnologia e anche gli elementi essenziali per la produzione. Oggi questi paesi, pur essendo meno esperti nella progettazione, producono a costi inferiori, con una qualità medio alta, e hanno i mezzi e la quantità di manodopera per colmare presto il loro divario. Anche in virtù di queste considerazioni, abbiamo deciso d’investire nell’automazione dei nostri processi produttivi. L’automazione è sempre stata una carta vincente nella produzione, ma applicarla nel nostro campo era problematico, perché occorrevano sistemi d’automazione talmente flessibili da potere essere utilizzati anche per un limitato numero di particolari produzioni non ripetibili. Negli ultimi anni, il 50 per cento dello stampo può essere prodotto senza l’apporto dell’operatore, in maniera automatica. Questo ci ha permesso di rimetterci in gioco per affrontare le nuove sfide del mercato.

Inoltre, simultaneamente all’avvio di questo nuovo processo, siamo intervenuti sulla progettazione dello stampo. A differenza di una volta, quando nella maggior parte dei casi era il cliente a fornirci il progetto dello stampo, avvalendosi di studi professionali esterni, oggi discute con noi addirittura la funzionalità dell’oggetto progettato – di cui noi ingegnerizziamo i processi in modo che sia riproducibile con i sistemi d’iniezione, sia in termoplastica sia in silicone –, cercando di capire quali sono le sue esigenze in termini di produzione, di tempi di stampaggio e di costi.

Oggi, il nostro know-how ci consente di operare in nicchie di mercato che richiedono notevole esperienza nella costruzione degli stampi. Il microstampaggio, per esempio, è un settore difficile, poco sperimentato e che richiede ricerca costante. Non abbiamo concorrenza in questo ambito e conduciamo la nostra battaglia scommettendo sulla ricerca e sull’innovazione, ponendoci sempre nuovi traguardi da raggiungere.

Negli anni ottanta, Bologna e la sua provincia erano leader mondiali nella produzione di stampi. Perché non è più così?

Nella nostra regione siamo rimasti in pochi a produrre stampi per il settore medicale. In Emilia Romagna, come nel resto d’Italia, molti imprenditori hanno preferito spostare la produzione dei prodotti medicali, non degli stampi per produrli, in paesi dove la manodopera e i materiali hanno costi inferiori.

Fino agli anni novanta a Bologna c’era veramente una concentrazione di industrie di stampi. Ma, mentre negli anni precedenti era prevalentemente la manualità degli operatori a eccellere, l’introduzione in azienda delle macchine a controllo numerico e di quelle automatiche ha comportato novità rilevanti anche in campo amministrativo e contabile, nel calcolo degli investimenti e dei tempi di ammortamento dei macchinari. Non bastava essere bravi operai, occorreva divenire imprenditori, inventare e progettare con lungimiranza. Poi, oltre all’ingresso prepotente nel mercato dei paesi emergenti, è intervenuto un altro problema specifico del territorio bolognese: la difficoltà di trasmettere l’attività a chi avrebbe potuto proseguirla. I fondatori delle più importanti imprese erano più o meno della stessa età e la maggior parte di loro non aveva trovato chi ne avrebbe rilanciato le sorti. D’altra parte, per fare il nostro lavoro, occorrono grande entusiasmo e impegno nell’affrontare i problemi, e occorre anche molta determinazione, che spesso i figli dei titolari non avevano, orientati prevalentemente al rendimento economico. Ma se ci limitiamo a considerare soltanto l’utile, la costruzione di stampi risulta sempre perdente. Il bello del nostro mestiere è invece privilegiare una speculazione costante nell’invenzione. In ciascun caso, infatti, si tratta di avviare uno studio e una ricerca unici per quello stampo. In questo senso dovremmo fare brevetti ogni volta che produciamo ciascuno stampo, che è un esemplare unico.

Come valorizzare il vostro lavoro e rilanciare questa antica arte?

Non c’è niente da inventare, abbiamo già quello che occorre: basterebbe rilanciare le condizioni che negli anni settanta portarono alla formazione tecnica di tanti giovani. A Bologna, per esempio, divenne celebre l’Istituto tecnico industriale Aldini Valeriani, in cui si diplomavano ragazzi con una formazione di stampisti già sufficiente per essere avviati al lavoro nelle aziende. Qui, venivano affiancati da personale esperto e, dopo due anni, erano già mediamente capaci di gestire il processo di costruzione. Poi è intervenuto un grande cambiamento, soprattutto culturale: abbiamo avuto sempre più difficoltà a reperire ragazzi che dopo gli studi fossero disposti a fare questo lavoro. I nuovi sistemi di produzione, i modelli che la televisione trasmetteva e perfino i genitori hanno sempre più considerato il lavoro in officina come troppo impegnativo e hanno incentivato percorsi più facili. Purtroppo, esistono ancora posti di lavoro in cui si percepisce uno stipendio inferiore a quello dei nostri operatori, ma in cui non si fa quasi nulla di produttivo. Questo ha falsato notevolmente le aspettative e le scuole tecniche hanno avuto sempre meno iscritti, con la conseguenza che ora sono in stallo. In passato, gli stessi insegnanti sapevano eseguire lavori tecnici e ci formavano sul banco di lavoro, mentre ora tendono sempre più a fornire informazioni teoriche, spesso lontane dalle esigenze delle aziende. È altrettanto vero che le imprese hanno privilegiato sempre più l’automazione e l’impiego dell’informatica su larga scala, per cui quella manualità che una volta era necessaria ora non lo è più. Ma sarebbe sufficiente che facessimo come in altri paesi, per esempio la Germania, dove gli studenti svolgono un lavoro in fabbrica simultaneamente alle lezioni in aula. E si tratta di un lavoro vero e proprio, non qualcosa di alternativo o di parziale.

Ancora una volta vince la pratica in bottega, come indica il Rinascimento italiano. È estremamente interessante vedere nelle aziende ragazzi giovanissimi, tra i 14 e i 18 anni, che studiano e imparano presto a lavorare. Anni fa un esperimento simile fu tentato anche in Italia, ma fu subito bloccato con l’accusa di strumentalizzare i giovani, impedendo loro di effettuare liberamente una scelta lavorativa futura. Invece dovremmo considerare il disagio che oggi prova un giovane non appena conclude gli studi e deve entrare nel mondo del lavoro. E, parimenti, quello di un imprenditore quando deve assumere un giovane da formare con un carico di pratiche burocratiche che distraggono spesso e volentieri la sua tensione a produrre.

Per non parlare di attività di formazione organizzate in modo avvilente che le imprese sono obbligate a seguire come, per esempio, quella sulla sicurezza, che favorisce sprechi di tutti i tipi, oltre a scoraggiare l’entusiasmo di un giovane che si rivolge all’impresa per imparare un mestiere più che per divenire esperto nella sicurezza. Ma l’aspetto peggiore è l’assenza di valorizzazione dei migliori talenti. In Italia, i danni di questa mentalità livellatrice, che si traducono per esempio nel pretendere di pagare gli stipendi in modo uguale per tutti, sono enormi. Se non cambiamo queste condizioni di lavoro – cosa che auspico, tant’è che sto continuando a fare questo mestiere e a investire in Italia –, non usciremo mai da una situazione come quella attuale.