LA TRASFORMAZIONE DEVE ESSERE INNANZITUTTO CULTURALE

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presidente di TEC Eurolab, Campogalliano (MO)

Il titolo di questo numero è Lembi di luce. Che cosa può dirci a questo proposito, in qualità di presidente di un’azienda come TEC Eurolab, che ha un ruolo importante nel miglioramento di prodotto, di processo e d’innovazione per aziende dei settori aeronautico, aerospaziale, dell’automotive e della meccanica in generale?
Alcuni lembi di luce s’intravedono: c’è chi è stato bravo e chi ha avuto la “fortuna” di operare in un settore anticiclico, o che non è stato particolarmente toccato dalla crisi, come invece è accaduto a quasi tutto il manifatturiero. Qualcuno ha addirittura potuto rafforzare la sua posizione grazie alla perdita di qualche competitor. Le imprese che hanno potuto e saputo guardare al nuovo futuro hanno reagito con decisione. Devo dire che siamo anche stanchi di sentirci “in crisi”. Come dicevamo qualche anno fa al convegno La riuscita. Quale economia e quale finanza per le imprese dell’Emilia Romagna e del pianeta (27 marzo 2009, Borsa Merci, Modena), era inutile continuare a parlare di crisi come se dovesse finire: il fatto che si è prolungata nel tempo ha indotto gli imprenditori a pensare che le cose semplicemente non fossero più come prima e che occorresse affrontare la trasformazione. Certo, cambiare rotta non è facile e occorre tempo, ma molti hanno iniziato questa manovra con prontezza e oggi cominciano a vedere i risultati.
Bisogna tenere presente, tuttavia, che negli anni precedenti al 2008 si registrava una crescita talmente elevata che molti erano stati indotti a prendere decisioni importanti, sulla base di business plan che prevedevano trend estremamente positivi almeno fino al 2011. Nella nostra azienda, per esempio, avevamo valutato la necessità di fare investimenti adeguati a sostenere l’impatto dell’aumento di produzione previsto per il 2009 e il 2010. Quando, invece, nel 2009 è crollato il fatturato del 30 per cento, quegli investimenti erano già sulle nostre spalle, ecco perché non è stato semplice far cambiare rotta alla nave e abbiamo impiegato un po’ di tempo per capire dove indirizzarla. Oggi però i frutti si cominciano a raccogliere, per noi come per tutte le aziende che hanno reagito. Anche se, purtroppo, lo scenario economico è drammaticamente diviso in due: da una parte, le aziende che hanno un mercato estero o che lavorano per aziende con un mercato estero e, dall’altra, quelle legate al mercato interno, dove le difficoltà sono enormi. Come emerge dalle indagini sull’andamento dei distretti emiliani, l’export è cresciuto dell’8,2 per cento nei primi nove mesi del 2013. Ora occorre assolutamente far ripartire la domanda interna. Quindi, un po’ di luce si vede, ma il problema è che rimane all’interno delle aziende, non è ancora ricaduta sulla società e sulle persone, anzi, il trend occupazionale è ancora negativo e le retribuzioni di base crescono poco.  Questo vuol dire che la ripresa sta iniziando con un’ulteriore divaricazione delle retribuzioni e quindi del potere d’acquisto e in definitiva del tenore di vita. Anche senza pensare ai bonus elargiti di recente ai responsabili finanziari delle grandi società, decine di milioni di dollari dati alle stesse persone che hanno portato alla rovina la nostra economia, notiamo una crescente divaricazione tra le retribuzioni di base e quelle del management.
Se gli stipendi dei grandi manager sono rimasti uguali, è perché vige la sordità, l’arroganza, anziché l’umiltà dell’ascolto…
Il tema è fondamentalmente politico: è logico che ciascuno, e i grandi manager non fanno difetto, punti sempre all’aumento, forse per la propulsione a non sentirsi mai arrivati. Ma la crescita va governata e resa “etica”, compatibile con le dinamiche sociali. Occorre intervenire subito e in modo deciso sul cosiddetto cuneo fiscale, in modo che i lembi di luce che si notano all’interno delle aziende possano essere trasferiti sui lavoratori. Il costo del lavoro non dipende solo dall’azienda, abbiamo coefficienti di moltiplicazione di 2,2 o 2,3 fra il netto in busta e il costo del lavoro: per 1000 euro che vanno in tasca al lavoratore, l’azienda ha un costo di 2300 euro: ecco il cosiddetto “cuneo fiscale”. Allora, il problema è politico e, prima ancora, culturale: c’è una connessione fortissima fra l’indice culturale e la politica di una nazione. Ecco perché la trasformazione dev’essere prima di tutto culturale. Questa è la grande sfida del nostro paese. Deve cambiare anche il modo in cui vengono percepite le aziende nel territorio. Nelle nostre città, i rappresentanti dei cittadini si preoccupano per il posizionamento di un supermercato, ma raramente hanno visioni e politiche per richiamare sul proprio territorio imprese di qualità, aperte al futuro, che possano garantire anche possibilità di bilanciamento vita-lavoro (work life balance), determinanti in una situazione dove ci verrà chiesto di lavorare fino ai 65 anni e oltre. Quando la politica guarderà all’impresa come possibile generatore di “benessere sociale”, e non solo come soggetto fiscale, un po’ di luce si diffonderà anche nella società.