LA MIA CRIMEA
Ogni ottobre, arrivando in Crimea per il festival teatrale di Jalta intitolato a Čechov, i miei amici del luogo mi dicevano scherzosamente che era finalmente giunto nella penisola il suo “vero padrone”.
L’identità fra il mio cognome e la Crimea, in russo Krym, è ovviamente casuale, ma io amo molto quella stupenda perla dell’Ucraina, sulle cui spiagge passava la voglia di pensare alla politica. Ma questo, ahimè, ormai appartiene al passato.
Verrà il momento di fare chiarezza sul governo mediocre di Juščenko e Janukovič, che ci hanno lasciato un mucchio di problemi economici, etnici ed etici, ma proprio questi problemi sono diventati il motivo della rivoluzione ucraina, e l’intervento di truppe russe con la scusa pretestuosa di “difendere i diritti della popolazione russofona” ricorda un cattivo teatro dell’assurdo. Vi immaginate che un bel giorno sbarchi in Sicilia l’esercito ucraino per difendere i diritti dei connazionali che lavorano nell’isola, e pretenda che alla lingua ucraina venga conferito lo status di seconda lingua nazionale accanto all’italiano? Ridicolo? Eppure gli ucraini che lavorano in Italia sono più numerosi dei russi in Crimea, i quali, a proposito, sono arrivati là dopo la deportazione dei tatari di Crimea voluta da Stalin.
Tra l’altro, la popolazione della Crimea non ha mai avuto conflitti su base etnica. La vita scorreva tranquilla in attesa dell’estate, quando i turisti avrebbero portato soldi e buon umore. C’erano tournée di compagnie teatrali e di stelle del varietà. Abbondavano il sole, il vino e l’amore. Adesso invece per le strade delle cittadine della Crimea passeggiano soldati russi, che la stampa del Cremlino definisce pudicamente “distaccamenti di difesa della Crimea”. Dunque difendono anche i miei diritti di scrittore in lingua russa. Ma io mica li ho invitati, perdio! I miei libri in russo si stampano in Ucraina, le mie pièce vanno in scena nei teatri russi di Kiev e Simferopoli, seguo le trasmissioni in russo della televisione ucraina, leggo i giornali russi che si pubblicano qui. Mi piace tutto questo. Solo da un po’ di tempo a questa parte hanno cominciato a non piacermi i fanti di marina russi e la flotta russa nei miei porti.
La libertà ha un sapore amaro. La libertà ucraina ha il sapore del sangue di Maidan, di Piazza dell’Indipendenza a Kiev. Oggi ci lodano per non aver ceduto alle provocazioni, com’era successo in Georgia. Seppure io non comprenda il senso dell’evangelico “porgere l’altra guancia”. A me sembra che oggi il mondo debba attenersi ai valori cristiani basilari che dicono: non uccidere, non mentire, non fare del male al prossimo. La fortuna dell’Europa è che questa volta l’Ucraina l’ha unita. La fortuna dell’Ucraina è che l’Europa l’abbia udita. Ma il mio desiderio è che l’Europa, lacerata talvolta dalle discordie, rifletta sul fatto che da qualche parte, ai suoi confini orientali, c’è un paese che ha pagato con il sangue di giovani vite il suo sogno europeo.
Sono molti i paesi europei che, aderendo all’Unione, hanno pagato tale prezzo?
(Traduzione di Elena Gori Corti)