IL GENERALE RAUL CASTRO NEL LABIRINTO DEI SUOI CAMBIAMENTI A CUBA
A coloro che mi chiedono a che punto sia la democratizzazione del regime cubano sono costretto a rispondere che la strategia del generale Raul Castro consiste nel prendere tempo e, per prendere tempo, non c’è tattica migliore del gattopardismo, quello che troviamo nel romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ben riassunto nel suo più noto dialogo: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”. “E allora che cosa avverrà? Trattative punteggiate da schioppettate quasi innocue e, dopo, tutto sarà lo stesso mentre tutto sarà cambiato”. “…una di quelle battaglie combattute affinché tutto rimanga com’è”.
Come prima mossa di questa strategia, tramite il dialogo con la Chiesa Cattolica, nel 2010 il generale Castro ha accettato di scarcerare ed estradare in Spagna i prigionieri membri del gruppo dei settantacinque arrestati durante la Primavera Nera del 2003. Ma il problema di Cuba non si risolve solo con la scarcerazione e la deportazione dei prigionieri, bensì con la riforma del codice penale cubano, che ancor oggi permette di imprigionare le persone che dissentono dal regime comunista. Così, dopo quasi mezzo secolo di regime castrista nell’isola, le carceri sono state svuotate e nuovamente riempite secondo quel che più conviene alla dittatura.
All’inizio del 2014, la dittatura militare cubana rimane il sistema politico dell’emisfero occidentale con il più alto numero di prigionieri politici. La Commissione Cubana dei Diritti Umani e la Riconciliazione Nazionale (CCDHRN), diretta dal dissidente Elizardo Sanchez, ha documentato ottantasette casi di prigionieri politici che scontano la condanna a Cuba, inclusi sei che nel 2013 sono stati adottati da Amnesty International come prigionieri di coscienza. Secondo la CCDHRN, almeno undici di questi prigionieri sono stati condannati all’ergastolo e “sono rinchiusi in celle d’isolamento in condizioni disumane e degradanti, e totalmente indifesi”.
Secondo la strategia del cambio di facciata, nel 2012 il generale Castro, durante il Congresso del Partito Comunista in febbraio, ha dato il via a una timida riforma che ha permesso la compravendita di case e auto, la flessibilità sui crediti e la creazione di imprese individuali. Questa riforma, insieme a quelle avviate dal 2006, come l’eliminazione della restrizione sulla vendita dei cellulari e dell’ingresso dei cubani negli hotel, ha creato l’impressione, soprattutto all’esterno, che finalmente le cose sull’isola iniziassero a migliorare. Tuttavia, questi miglioramenti risultano ingannevoli, perché nella realtà toccano solo una minima parte della popolazione, per di più vicina agli interessi del regime. I prezzi dei cellulari, degli hotel e delle auto sono proibitivi: le automobili – nuove e di seconda mano – sono vendute direttamente dal Governo e sono tassate al 100 per cento. Per dare un’idea dello squilibrio della riforma raulista, una Peugeot 508 sull’isola costerebbe 262.000 dollari americani, cioè otto volte di più che nel Regno Unito, per esempio. Nel frattempo i piccoli negozi autorizzati sono gravati da pesanti tasse e quando, nonostante tutto, hanno successo, vengono proibiti, com’è successo ultimamente con il cinema 3D e la vendita di abiti importati.
Il regalo di Natale di Raul Castro, durante un recente intervento all’Assemblea del Potere Popolare, è stato un severo rimprovero ai cubani che avessero la speranza di creare ricchezza nella nuova economia riformata. Lo Stato, ha detto, tenterà di impedire che questo accada. In effetti Castro, all’inizio della riforma, aveva ventilato una distensione nelle ferree regole sulla proprietà statale, ma solo perché il governo comunista in bancarotta non poteva più fingere di essere in grado di retribuire le persone, che a loro volta fingevano di lavorare. La dittatura dichiarò che era costretta a licenziare più di mezzo milione di cubani dalle cariche statali e, per prevenire i potenziali disordini sociali, fu stilato un elenco di 178 professioni ammesse alla legalità. I media stranieri sembrarono emozionarsi di fronte alle parole di Castro, così pure la Commissione europea e il governo americano di Obama, come se il generale fosse pronto ad ammettere la sconfitta di cinquantacinque anni di regime comunista e a lasciare che il mercato prendesse il sopravvento. Tuttavia era evidente, guardando la lista delle professioni riconosciute, che la riforma Castro non era altro che una presa in giro. Vediamo alcuni esempi di queste 178 professioni indipendenti: si tratta, tra le altre, della compravendita di libri usati, della riparazione di bagni pubblici, della lavorazione di bottoni in tela, della pulizia delle scarpe, della riparazione di ombrelli e della pelatura della frutta. Vedendo questo elenco, si è tentati di chiedersi se il generale creda davvero che qualcuno possa arricchirsi a Cuba esercitando quel tipo di lavoro. Ulteriore beffa, Castro aggiunse all’Assemblea che non si sarebbe trattato di lasciare “che gli imprenditori privati vadano in giro, creando un clima di impunità e favorendo la concorrenza con imprese statali, che non sarà tollerata”.
I cubani che viaggiano all’estero possono vedere che nelle società capitalistiche si vive molto meglio che sull’isola, ma constatare ciò che già immaginano non li porta a ribellarsi. I cubani non si ribellano, non perché non pensino che il sistema sia un disastro, ma per la feroce repressione e i mezzi di controllo a disposizione della dittatura. Il caso dei dissidenti che viaggiano e ritornano sull’isola non rappresenta alcun pericolo per il regime, dal momento che le accuse formulate nelle sedi internazionali sono le stesse palesate dall’isola, e le stesse che hanno sempre indicato gli esuli, tutte denunce che sono accolte fuori ma non all’interno a causa del controllo dei mezzi di comunicazione. Finisce per essere una situazione che favorisce l’immagine di tolleranza di cui necessita la dittatura, accettata dagli Stati Uniti come un governo legittimo e a parità di condizioni, esattamente come Raul Castro vuole. Nulla impedisce, inoltre, che la dittatura continui a limitare le libertà individuali, così gli arresti politici a Cuba sono aumentati nel mese di agosto, con la più forte repressione governativa nel 2013, secondo la già citata CCDHRN. Secondo il rapporto pubblicato da questa organizzazione indipendente, nel mese di agosto sono stati verificati almeno 547 casi di arresti arbitrari e “337 dissidenti sono stati sottoposti a vari atti di molestie e di minaccia da parte della polizia” nel paese.
La Commissione ha poi constatato che nel mese di ottobre ci sono stati almeno 909 arresti per motivi politici, che sarebbe una delle più alte cifre in un mese negli ultimi vent’anni nel paese. Nel mese di novembre il livello di repressione politica contro gli avversari è rimasto molto elevato e la Commissione ha accertato almeno 761 arresti arbitrari di breve durata, almeno 192 aggressioni fisiche, 119 atti di vandalismo, 94 varie forme di molestia.
Inoltre, è interessante notare che Amnesty International a marzo ha lanciato un’azione urgente per chiedere al regime di Cuba il rilascio immediato e incondizionato di Calixto Ramón Martínez Arias, giornalista freelance e prigioniero politico, arrestato per aver esercitato il suo diritto alla libertà d’espressione. Martinez Arias ha fatto lo sciopero della fame due volte nel carcere Combinado del Este, dal giorno del suo arresto, il 16 settembre 2012, al Jose Marti International Airport a L’Avana, mentre indagava sull’accusa secondo cui i farmaci donati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per combattere il colera a Cuba restavano in aeroporto anziché essere distribuiti. Alla fine il giornalista indipendente è stato rilasciato in aprile.
Il regime militare ha festeggiato il 10 dicembre, Giornata Internazionale dei Diritti Umani, reprimendo duramente i dissidenti che osavano celebrare la ricorrenza, con arresti e pestaggi delle Donne in Bianco e di attivisti in tutta l’isola, tra cui la leader del movimento delle donne Berta Soler, con il marito Angel Moya Acosta.
All’Avana il maggior numero di arresti si è verificato quando gli attivisti, artisti e altri membri della società civile, hanno tentato di arrivare alla sede del Progetto Stato Sats, guidato da Antonio Rodiles, dove ci sono stati più di una dozzina di arresti a partire dal giorno 9 dicembre, in occasione della celebrazione del primo Incontro Internazionale dei Diritti Umani. Questa manifestazione è stata denunciata, assediata dai militari e chiamata atto rivoluzionario.
Tutto questo mentre il generale Raul Castro e il presidente Barack Obama si stringevano calorosamente la mano in occasione del funerale di Nelson Mandela.
Così Raul il riformista ha ordinato nel corso del 2013 più di 6.400 arresti per “motivi politici”, più di un migliaio dei quali sono stati eseguiti nell’ultimo mese dell’anno, secondo quanto riferito dalla CCDHRN. Dicembre è stato il mese con il maggior numero di arresti di dissidenti a Cuba dal marzo 2012, quando ci furono 1.158 arresti. Nel 2013, quindi, c’è stata una media di 536 arresti politici ogni mese.
È un peccato dover deludere tutti quegli analisti, accademici, esperti, mass media in Europa e negli Stati Uniti che, ingenuamente o egoisticamente, si erano bevuti l’immagine di un Raul Castro pragmatico e patriottico, che impostava le cose per una transizione graduale, se non verso la democrazia, almeno verso un paese più prospero e meno repressivo. Nulla di ciò è all’orizzonte. Ripensandoci, non è sorprendente, se si considera che il generale è stato veramente il pilastro del potere sull’isola per più di mezzo secolo di dittatura; mentre Fidel era la figura politica, un uomo di grandi pose e lunghi discorsi, con le rivendicazioni storiche e le proiezioni internazionali, suo fratello Raul era a capo dell’esercito e della temuta polizia politica; se Fidel era il Capo, Raul sarebbe il suo sicario, l’uomo incaricato di contrastare in modo efficiente i complotti contro suo fratello, e orchestrarne altri se necessario; viene da qui, e non da altri aspetti, la fama di efficiente che alcuni media gli hanno attribuito. Quindi ci sono brutte notizie per coloro che erano veramente entusiasti della portata delle riforme rauliste. Se la libertà un giorno dovesse tornare sull'isola, non sarebbe mai per mano del generale.