NASCE L’OLIVE OIL BUTTER DALLE MANDORLE BIOLOGICHE DEI FRATELLI DAMIANO

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direttore F.lli Damiano & C. Srl, Capo d’Orlando

È noto il lavoro svolto dalla Fondazione Francesca Rava di Milano ad Haiti, dove ha costruito strutture considerate un’oasi di efficienza e produttività nel caos che regna sull’isola, ancora a distanza di tre anni dal terremoto. Ma non tutti sanno che la Fondazione Damiano ha contribuito a realizzare un sogno per gli haitiani… 

Tutto è incominciato quando il mio amico Attilio Speciani, allergologo e immunologo, che collabora con la Fondazione Rava, mi chiamò da Haiti due anni fa: “Guarda che qui serve il tuo aiuto; tu sei uno dei massimi esperti europei per i semi oleosi e mi devi aiutare a far sì che questi ragazzi inizino dal nulla a farsi il proprio burro d’arachidi per nutrire i diseredati dei loro slums”. Nel giro di pochi minuti, avevamo già organizzato il percorso che oggi rende indipendenti gli haitiani nella produzione di un ottimo burro di arachidi. Abbiamo comprato i macchinari, abbiamo formato gli haitiani nei nostri stabilimenti in Sicilia e li abbiamo messi in condizione di utilizzare lo zucchero e le arachidi per produrre il burro, chiuderlo nelle latte e conservarlo oltre la stagionalità. Mentre in passato, con le prime piogge, perdevano queste due preziose materie prime e poi morivano di fame per tutto l’anno, adesso le lavorano, le sigillano e scongiurano così gli attacchi parassitari, inevitabili sul prodotto crudo. 

Quali progetti avete portato a termine negli ultimi due anni?

Alcuni numeri rendono l’idea: siamo arrivati a 50 dipendenti, di cui il 65 per cento donne, abbiamo completato la filiera acquisendo altri terreni agricoli: 52 ettari di mandorleto e stiamo per acquistarne altri 80, in modo da coltivare in casa la maggior parte del prodotto. Non a caso siamo passati da dieci a venti milioni di fatturato, in un momento di grande crisi: siamo cresciuti soprattutto sui mercati esteri, dove riusciamo a trasferire il messaggio che con Damiano si passa dal campo al prodotto finito, “From the tree to the fork” (dall’albero alla forchetta), come dicono gli americani. 

L’anno scorso abbiamo ospitato per una settimana i nostri buyers più importanti provenienti da quaranta paesi: hanno visto i mandorleti, hanno piantato un mandorlo ciascuno, hanno raccolto le nocciole insieme agli operai, hanno lavorato con le loro mani producendo nel vero senso della parola. Sono riusciti a capire perfettamente qual è il ciclo di cui beneficiano i prodotti che acquistano: hanno conosciuto i contadini che li coltivano, gli operai che li trasformano e si sono resi conto di come nascono i prodotti che arrivano nei loro supermercati. Si sono anche resi conto che siamo in grado di controllare quindici processi produttivi, dalla A alla Z, e anche per questo hanno allargato la gamma di prodotti che comprano da noi.

Oggi siamo in quindici paesi del mondo e stiamo continuando a crescere, stiamo cercando di diversificare e abbiamo tanti progetti per il futuro. Uno degli elementi che ci ha dato più forza in questo senso è stato l’ottenimento di due importanti certificazioni, l’IFS e il BRC, sono l’International Food Standard e gli standard britannici che, laureando l’azienda, le danno un titolo quasi accademico per il fatto che risponde a standard molto più stringenti di quelli legali: è una normativa volontaria, concertata dai grandi centri di distribuzione, dalle grandi catene di supermercati, diventata normativa. In alcuni casi, per nostra decisione, siamo riusciti anche ad andare oltre gli standard americani ed europei, in alcuni casi siamo dieci volte più restrittivi degli americani. Questo ha portato un’enorme crescita, perché chi si rivolge a noi ha la garanzia di acquistare un prodotto super testato e sa che abbiamo organizzato una serie di controlli, con uomini e donne dedicati, che lo rendono privo di rischi. Per le grandi aziende questo è importante, perché non possono permettersi di avere prodotti non conformi o contenenti corpi estranei. Certo, questo ha comportato per noi grandi investimenti: nel 2014 completeremo un altro milione e mezzo di investimenti, mentre due milioni sono già stati impiegati nell’ultimo anno in macchinari, ricerca e personale per lo sviluppo di nuove ricette, come l’olive oil butter, un burro che ha tutti i benefici di una margarina e tutti quelli di un normale olio di oliva. Siamo riusciti a mischiare olio di oliva e mandorle, che diventano solidi come il burro: l’olive oil butter si preleva dal vasetto per friggere un uovo, condire la pasta o essere spalmato sul pane. È un prodotto unico, di cui abbiamo depositato il marchio, con una forte contribuzione delle proteine della frutta secca, quindi un bel profilo nutrizionale sia crudo che cotto; è chiaro che tutti gli oli perdono quando sono cotti, ma questo perde un po’ meno degli altri. Stiamo uscendo con cinque gusti, fra cui quello al pistacchio, e devo dire che un uovo fritto al pistacchio è molto più buono che con il burro o l’olio d’oliva. È nato dalla collaborazione con uno chef importante, che abbiamo ospitato in azienda per tre mesi e con cui abbiamo fatto tanta ricerca e tanti passi avanti.