L’AMORE E LA BELLA DIFFERENZA
Nel libro In direzione della cifra. La scienza della parola, la clinica, l’impresa (Spirali) Sergio Dalla Val racconta l’itinerario straordinario della sua formazione d’intellettuale e di psicanalista, intrapreso, circa quarant’anni fa, insieme allo scienziato e scrittore Armando Verdiglione. Fin dal suo avvio, l’itinerario procede nell’intersezione di ricerca e impresa, dissipando con ciò l’idea che per cimentarsi, intraprendere e scrivere occorra prima risolvere le questioni personali: la ricerca senza l’impresa comporta attesa, rimando o, peggio, inconcludenza.
Il carattere inedito della pratica psicanalitica porta l’Autore a dichiarare: “la nostra psicanalisi non si rifà a nessun precedente”. Così, nel libro, le affermazioni del buon senso e del senso comune si trovano messe alle corde per la via di un’altra logica: l’inconscio. Sergio Dalla Val scrive dell’inconscio, come logica della parola originaria, e della psicanalisi, che trae il suo statuto intellettuale dalla cifrematica, la scienza della logica e della struttura della parola originaria, la parola non vincolata all’idea di essere o di avere, pertanto libera, arbitraria, dissidente. Dissidenza come “assenza di localizzazione, di sede della parola (da dis-sìdeo, siedo altrove)”: è l’impossibilità di assegnare alla parola un fondamento immaginario per salvaguardarsi dall’inconscio.
“La stessa pratica dell’analista risulta una pratica secondo la dissidenza”, scrive Sergio Dalla Val, ovvero: “lo psicanalista, come statuto intellettuale, non sociale, è proprio chi interviene secondo l’inconscio”.
Importa, nella nostra psicanalisi, tener conto delle istanze di vita che si enunciano nella conversazione, secondo il modo proprio a ciascuno, senza correggere o indurre a pensare seguendo il buon senso o il senso comune. Da qui, il distacco e la distanza assoluti della cifrematica rispetto a quanti mirano a far credere che la psicanalisi coincida con la mitologia medica e che dall’inconscio bisogna guarire poiché foriero di malattia mentale. Citando lo psichiatra Thomas Szasz, Sergio Dalla Val rileva nel concetto di malattia mentale una metafora per pensieri, sentimenti e comportamenti socialmente disapprovati: è la moralizzazione dell’inconscio, e mostra la corda dell’intolleranza verso la differenza.
La stessa intolleranza si ritrova nella pretesa di guarire dall’inconscio tramite la conoscenza di sé: come imbattersi, allora, nella differenza assoluta quando la soluzione proposta è adattarsi ai presunti nuovi confini acquisiti con la conoscenza? E che dire dell’abuso di psicofarmaci e di sedativi, somministrati per stabilire la calma tacendo delle questioni in atto? Sono droghe socialmente accettate, molto comode contro l’inconscio e il dispendio ineconomico che ne deriva.
Ma l’amore, tanto caro alla retorica plebiscitaria, non sfugge forse alla conoscenza e non implica il dispendio, essenziale per un’altra economia? Occorre, allora, sedare anche contro l’amore? Nota Sergio Dalla Val: il pazzo, per Pirandello, scuote dalle fondamenta la logica delle costruzioni socialmente accettabili. Non avviene, forse, lo stesso con l’amore?
La paura dell’inconscio, una volta moralizzato, è paura dell’amore, come ciò che scuote dalle fondamenta, ed è paura della differenza, come ciò che s’instaura in virtù dell’irruzione dell’altro tempo della parola.
Disagio, inquietudine, lutto, dolore, abbandono, vicende amorose e disavventure sessuali esigono di trovare la via della parola in un dispositivo di conversazione e di ascolto, divenendo elementi inediti del racconto. Questo è l’inconscio come risorsa inesauribile, di cui già Freud, a suo modo, si era accorto.
Con la mitologia della conoscenza di sé e con la sedazione, che anestetizza l’intelletto, quanto di essenziale si lascia perdere? Quanto della vita di ciascuno rimane inelaborato e inarticolato, e non giunge a qualificarsi e a valorizzarsi?
La posta in gioco, con la nostra psicanalisi, è divenire caso di qualità, una scommessa che risalta già nel titolo del libro di Sergio Dalla Val. Cifra è qualità.
Essenziali, per l’approdo alla qualità, il progetto di vita, che comporta la ricerca, e il programma di vita, che comporta l’impresa. Essenziale, allora, per ciascuno, l’interlocutore rispetto al progetto e al programma, ovvero l’incontro con il direttore di ricerca e con il brainworker, il cervello dell’impresa. La conversazione con lo psicanalista è già un dispositivo riguardo alla ricerca e all’impresa di ciascuno; ci sono, poi, altri dispositivi per precisare il programma e per giungere alla scrittura dell’impresa.
Qui, la novità assoluta della cifrematica, cui è dedicata la seconda parte del libro. La formazione esige anche la vendita, l’impresa e la scrittura: cose non per addetti ai lavori, ma per ciascuno, giovane e meno giovane, uomo e donna, ciascuno per cui sia intollerabile aspettare che qualcosa accada e consideri più importante, nonché più soddisfacente, far accadere le cose. Quindi, ciascuno per cui sia essenziale divenire caso di qualità.
Solo affrontando la prova di realtà e la prova di verità la credenza nell’essere o nell’avere trova il suo scacco. Altrimenti, rimane l’alternativa tra lo stare bene e lo stare male, tra l’adattarsi e il non adattarsi, rappresentando il rapporto con sé e con gli altri nel bene o nel male.
Scrive Sergio Dalla Val: “il non adattamento comporta che s’instauri il rischio di vita, non il pericolo di morte”. Il rischio di vita è non adattarsi alla normalità, ovvero alla norma che prescrive innanzi tutto il buon rapporto con sé e con gli altri. Rilevarlo è essenziale, tanto più che sia l’amore sia la differenza sessuale, nella loro accezione originaria, esulano dal buon rapporto, come, peraltro, dal conflitto.
***L’articolo di Ornella Cucumazzi è tratto dal dibattito L’amore e la bella differenza, 3 luglio 2013, Libreria Mondadori di Palazzo Monsignani, Imola.