LA CARTA VINCENTE DELLE DONNE
Da oltre cinquant’anni, Costruzioni Dallacasa progetta e costruisce case attenendosi a criteri di qualità, spesso innovando i tradizionali ambiti d’intervento nel settore edilizio. La conduzione diretta del cantiere, la consulenza architettonica nelle personalizzazioni che il cliente richiede, anche quella finanziaria, per valutare gli strumenti più idonei all’acquisto sono solo alcuni degli elementi che fanno dell’azienda un sicuro punto di riferimento, tanto da registrare il record di vendite in un settore, come quello edilizio, che pure oggi sta attraversando cambiamenti epocali…
Era il 1959 quando mio padre, Enrico Dallacasa, fondò l’omonima azienda di costruzioni e certamente non avrebbe mai immaginato che l’unica figlia femmina, per di più laureata in economia e commercio, potesse garantire un futuro solido all’azienda, proseguendone la tradizione. Dopo la laurea, infatti, ho avviato la collaborazione con uno studio professionale di consulenza, occupandomi di riorganizzazione aziendale e marketing strategico. Nel 1992, il mercato della consulenza è però entrato in crisi e, poco dopo la nascita del mio primo figlio, ho deciso di entrare nell’azienda di famiglia. Ho incominciato prima curando gli aspetti amministrativi e poi il settore commerciale finché, nel 1994, mio padre è stato ricoverato in ospedale per un trapianto. Dalla sera alla mattina, letteralmente, mi sono trovata, per la prima volta, a prendere da sola decisioni determinanti per l’azienda, che a quel punto esigeva di essere seguita in modo globale, partendo proprio dall’ambito in cui avevo meno competenze, il cantiere. Le giornate erano un susseguirsi d’incontri con capimastri e carpentieri, ma soprattutto con mio padre, con cui per sei mesi mi sono confrontata su ciascun dettaglio. La mattina presto andavo in cantiere e filmavo lo stato dei lavori, quindi raggiungevo mio padre in ospedale e commentavamo insieme il filmato; tornavo in cantiere e davo le ultime disposizioni; poi, l’appuntamento era con l’ufficio, in cui ordinavo acquisti e vendite e controllavo gli aspetti amministrativi e quelli burocratici. Quando mio padre fu dimesso, purtroppo con un trapianto che aveva dato esito negativo, io avevo avviato uno fra i cantieri più complessi da realizzare, vendendo già i due terzi degli appartamenti che erano in costruzione; avevo in corso, inoltre, una trattativa per l’acquisto di un nuovo lotto di terra. L’azienda stava andando bene e per mio padre fu una bella sorpresa. Ricordo che, quando stava per rientrare in ospedale, gli chiesi con una certa apprensione se dovevo dare inizio ai lavori di un altro cantiere, e lui mi rispose che non capiva dove fosse il problema, dandomi così grande fiducia. In quel momento mio padre intese con una segreta soddisfazione che l’azienda poteva proseguire l’attività.
Intanto, io crescevo professionalmente di pari passo con l’espansione dell’impresa e non ero disposta a fare passi indietro, volevo fare di più e meglio. Nel 1996 è arrivata la seconda figlia, che da subito ho portato con me in ufficio e nei cantieri, facendo la mamma e dirigendo di fatto l’azienda. Dal 1994 fino al 2005, insieme con mio padre ho fatto un bellissimo percorso, in cui ciascun giorno io facevo un passo avanti e lui uno indietro, mentre avveniva di fatto un passaggio di consegne che anni dopo ho capito essere stato perfetto. Lui seguiva i cantieri, che erano la sua vita, fino a quando non è entrato nuovamente in ospedale, da dove purtroppo non è più uscito. Negli anni successivi, ciascun giorno ero in cantiere alle sette di mattina perché volevo monitorare tutti gli aspetti del lavoro. Mi è mancata la sua pacca sulla spalla, anche se non mi mancava il sostegno di mio marito che mi affiancava in azienda. Mi sono trovata spesso a decidere senza il confronto con quel padre che era diventato una figura carismatica non solo per me, ma anche per i nostri collaboratori. Solo nel 2008 ho incominciato a godere di tanti sacrifici, fino a quando è arrivata la crisi e ho ricominciato con i ritmi frenetici e con lo studio di nuovi dispositivi per la riuscita dell’azienda.
Nei momenti di crisi, lei ha interpellato ciascuno degli interlocutori dell’azienda. Perché è partita proprio da questo aspetto in un settore in cui sembra prevalere la tecnica sull’ascolto?
Quando sono entrata nel mio primo cantiere, non avevo competenze tecniche, l’unica cosa che potevo fare era parlare con chi ne aveva e ascoltare con attenzione. Dovevo partire dal carpentiere e trasporre sul piano organizzativo le sue preziose indicazioni; dopo la morte di mio padre, mi accorsi che era importante capire anche quanto questo influiva sui collaboratori. Era fondamentale per me sapere come e dove intervenire, occorreva parlare con ciascuno. Solo attraverso l’ascolto e l’analisi di ciò che avviene è possibile capire come intervenire e in quale direzione.
Questa regola è essenziale anche rispetto alla casa. La casa, infatti, è un prodotto molto complesso, perché è l’integrazione di diverse materie prime, quindi è giusto che venga valutata sul piano tecnico, ma è anche il luogo dove si sceglierà di vivere, è il porto sicuro della giornata. La scelta che si fa è frutto di una valutazione che tiene conto di aspetti sia razionali sia, soprattutto, emotivi, quindi, anche in questo caso l’ascolto è fondamentale. Quando i nostri agenti commerciali incontrano gli eventuali acquirenti, la prima cosa che fanno è l’intervista. È importante che chi compra abbia ben chiaro come vuole vivere e se l’abitazione accoglierà bambini piuttosto che anziani, per esempio.
In questi ultimi anni, le esigenze dei consumatori stanno cambiando. Quali sono gli scenari che si profilano?
Credo che stiamo vivendo in una fase ricca di grandi opportunità. Negli anni precedenti alla crisi, l’edilizia attraversava un momento molto positivo, complice prevalentemente un sistema creditizio che aveva drogato il mercato. Le banche a quell’epoca finanziavano l’acquisto fino al centoventi per cento del valore della casa, pertanto, anche l’utenza che in altri momenti non avrebbe potuto permettersi l’acquisto aveva facile accesso ai mutui. Oggi, assistiamo a un passaggio epocale nel concetto di casa, che torna al centro della vita delle persone. Anche i programmi televisivi si svolgono in contesti che rappresentano la casa, dove spesso è la cucina protagonista perché simbolo di una dimensione conviviale. Inoltre, la casa non si progetta e non si sceglie più solo tenendo conto del numero di camere che occorrono, perché è in questione il modo in cui si vivrà e questo incide necessariamente sullo stile degli appartamenti, sulla loro dimensione e sull’arredamento. Se nell’epoca pre-crisi occorreva realizzare appartamenti con tanti vani in pochi metri, oggi è richiesto anche un soggiorno confortevole in cui ricevere gli amici e le finiture diventano più importanti. Non a caso, in ciascun cantiere, predisponiamo un appartamento già rifinito e arredato, persino con il profumo più adatto e con il tavolo da pranzo pronto come se fosse l’ora della prima colazione, preparando la casa per accogliere chi andrà ad abitarla. Questo allestimento incide molto sulle vendite.
Che cosa è cambiato nel rapporto degli italiani con la casa?
L’idea di comprare casa spesso significa l’inizio di un progetto di vita in comune, dà un senso di solidità diverso dal caso dell’appartamento in affitto, spesso inteso come uno sperpero di denaro. Pertanto, quando l’utente non è nelle condizioni economiche di accedere a un mutuo, utilizziamo lo strumento della locazione con futura vendita, che gli consente per tre anni di entrare nella casa che ha scelto, pagando un canone che costituisce un acconto sul futuro acquisto. Decorso questo termine, si stipula il contratto di mutuo per l’acquisto vero e proprio. Questa modalità indica quanto sia intenso il legame dell’italiano con la casa di proprietà.
Quanto ha inciso nella strategia dell’azienda l’intervento di una donna?
Un aspetto vincente è il fatto che una donna che gestisce famiglia e azienda si trovi ciascun giorno ad affrontare problematiche diverse, sapendo che occorre intervenire ascoltando e ingegnandosi. Questo giova all’invenzione di nuovi dispositivi. Nell’attuale periodo di crisi, è la carta vincente che consente alle donne di intendere il cambiamento come un’opportunità, senza aspettare che arrivino tempi migliori. La donna, tendenzialmente, è interventista e non attendista.
Da alcuni anni lei è l’unica donna nel consiglio di presidenza del Collegio Costruttori Edili di Bologna. Cosa significa oggi essere impegnati anche sul versante associativo?
Sono stato membro della Commissione dei “Saggi” di Ance Bologna e la prima cosa che abbiamo fatto quando occorreva eleggere il nuovo presidente è stata quella di ascoltare tutti gli associati. È stata un’esperienza bellissima, anche per capire come vivevano la crisi e cosa chiedevano. Compito specifico della nostra Associazione è dare rilievo all’interesse del nostro settore, ad esempio, nel sistema bancario. L’accesso al credito infatti è troppo spesso condizionato dalle direttive a noi pregiudizievoli della Banca d’Italia, fermo restando che ciascuna azienda deve lavorare il più possibile con propri capitali e formare gli imprenditori a un approccio più commerciale. Le problematiche di carattere creditizio e fiscale disincentivano l’acquisto della casa, ripercuotendosi nel mercato delle vendite. Se vogliamo che riparta l’economia del paese, dobbiamo rilanciare un settore trainante come l’edilizia.
Quali sono i progetti di Cristina Dallacasa per il futuro?
Nell’azienda è in corso un profondo cambiamento per diversi aspetti. Prima di tutto, per ciò che riguarda il prodotto, nel senso che bisogna intercettare il cambiamento culturale che è in atto da parte dell’utente. Inoltre, occorre un passaggio ulteriore sul piano delle vendite: dobbiamo curare non solo il marketing, ma anche l’offerta di un nuovo modo d’intendere la casa. Un altro aspetto si gioca sul piano produttivo: nel nostro caso, abbiamo mantenuto salda la tradizione di famiglia, cercando di non subappaltare, ma gestendo in modo diretto i vari cantieri. Nel momento del grande boom dell’edilizia, molte aziende concorrenti non avevano propri operai, tendendo a subappaltare, perché era fondamentale costruire velocemente. Oggi serve costruire in qualità e quindi è opportuno tornare a realizzare ciascun aspetto del progetto al proprio interno. Questo, mi ha consentito di non licenziare la manodopera e di proseguire il lavoro nei cantieri.
Il marketing del settore si trova in una grande trasformazione, non solo per la nuova rete di contatti che favorisce il web, ma anche perché diventa sempre più importante scommettere sugli aspetti culturali dell’azienda. Recentemente, ho organizzato due mostre di quadri in alcuni nostri cantieri, inserendo un quadro per ciascun appartamento, così chi ammirava l’opera era portato a visitare l’appartamento. L’arte è entrata così nel cantiere, ma questa è solo una delle modalità che consentono di vivere la casa in modo nuovo. La trasformazione in atto va oltre la crisi e favorisce la sperimentazione di nuove iniziative che mettono al centro valori determinanti come la qualità della vita che la casa può offrire. Credo che questa sia la strada giusta per il cambiamento.