LA CITTÀ È COSTITUITA DALLE SUE FUNZIONI, NON DAL SUO TERRITORIO
Nel libro di Gianni Verga, La cura della città, uno dei temi innovativi che ho molto apprezzato è un mix tra una politica dei piccoli passi e l’affermazione di strumenti estremamente moderni come il project financing. Questa è la chiave del successo di un modo nuovo di governare i fenomeni di una città: da una parte la comprensione di ciò che esiste, di quelle che sono le istanze dei cittadini, e dall’altra un’iniezione robusta di modernismo, di cose nuove. Quasi sempre invece gli strumenti operativi che ci vengono proposti nel governo della città stanno o tutti da una parte o tutti dall’altra.
Una prima considerazione in merito al tema del libro di Verga è che occorre capire che cos’è la città. Ogni città, di qualunque latitudine e cultura, è l’immagine, la fotografia delle funzioni che in essa si svolgono. Spesso i progettisti vivono la città, i pezzi della città, come una scultura, la personalizzano e la modellano secondo propri sentimenti, ma credo che si possa affermare che non esista un edificio, un albero o una piazza che non siano nati originariamente per rispondere a una funzione specifica. Nel tempo chiaramente questa si modifica, ma non c’è dubbio che tutto è nato per rispondere alla realizzazione di una funzione umana che ivi doveva svolgersi. Forse questo è banalizzare il significato di una città, ma credo che di questo si debba essere molto consapevoli perché, volendo riqualificare, riprogettare la città, il soggetto principale deve tornare a essere l’uomo, mentre i territori, gli immobili, per quanto belli, importanti e vivibili, devono esserne semmai il complemento oggetto.
Non è facile come sembra: pensata una funzione, si pensa a un contenitore che possa ospitarla in maniera confortevole, agevole, si vanno a recuperare e a restaurare contenitori che già esistono, in maniera più o meno efficace, e tutto sembra risolto. Invece, esiste un problema: la velocità con cui il tempo cambia la storia e la vita delle funzioni che si svolgono in quei contenitori. Per esprimerci in termini metaforici, ma abbastanza realistici, siamo partiti da funzioni stabilizzate nei decenni, spesso nei secoli, dove l’immagine era pesante, duratura, era un dipinto, occorrevano tanti anni e secoli per stabilizzare quella funzione, in maniera lenta e inesorabile nasceva quel contenitore e, quindi, si stabilizzava un rapporto stretto tra funzione e contenitore. Poi, la modernità ha fatto sì che le funzioni cambiassero in maniera più rapida e quella che era un’immagine dipinta, costruita lentamente, è diventata una fotografia, in cui basta inquadrare e scattare. Inoltre, il fattore tempo ha sempre più accelerato la velocità con cui le funzioni si andavano a modificare e, da una fotografia scattata con una macchina tradizionale, siamo passati al film, a una serie di fotogrammi ancora più veloci, fino ad arrivare all’epoca digitale, in cui non esiste più il fotogramma ma la struttura continua che noi solo simbolicamente fissiamo in fotogrammi, ma in realtà è un continuo. Oggi, quindi, ci troviamo in queste condizioni: le funzioni che attribuiamo a questo o a quel contenitore domani o dopodomani possono essere totalmente modificate, perché il fattore tempo e la comunicazione intervengono più rapidamente: tra l’ideazione di un’iniziativa e la sua realizzazione, talora l’opera è già vecchia, obsoleta.
Ora, se è vero che le norme, quanto più seguono rapidamente lo sviluppo delle funzioni, tanto più sono giuste, e se ci troviamo di fronte a un film in cui non è possibile isolare fotogramma per fotogramma, il problema delle norme e delle leggi diventa considerevole, perché rischiamo di fare leggi e norme che, dal momento in cui le ideiamo al momento in cui le estendiamo sul territorio, sono già divenute vecchie, perché sono già divenute vecchie le funzioni, gli utilizzi che giustificavano l’ideazione delle norme in questione. E allora come possiamo fare? Non facciamo norme, ci deregolamentiamo al cento per cento? Una soluzione che ritengo efficace è quella di avere norme quadro, strategie, per dir così, progetti guida, per avere una maglia molto larga in cui gli amministratori disegnano la strategia futura di una città, in base alle vocazioni che quella città ha, alle produzioni intellettuali, industriali e terziarie che quella città può avere, come strategia a medio termine. A questo punto, le norme specifiche di urbanistica, di natura edilizia, sull’utilizzo di quei contenitori, devono essere norme di riferimento in cui la concertazione con i proponenti, la negoziazione caso per caso fa la differenza tra le iniziative che vengono realizzate e quelle che non vengono realizzate.
Quali tipi d’interventi possono stare sul nostro territorio? Interventi che riguardano lo sviluppo del territorio, la nuova edificazione, e interventi che riguardano l’utilizzo ottimale e il riutilizzo del territorio, la riqualificazione.
A Bologna, la fase espansiva ritengo che sia agli sgoccioli: Bologna ha circa l’ottanta per cento di necessità di ricucitura, di riqualificazione dei propri spazi, e il venti per cento di oggettiva necessità di nuovi insediamenti.
Altro elemento che ritengo caratterizzante di tutte queste iniziative di nuova, per dir così, pianificazione – anche se il termine è discutibile, come abbiamo detto questa sera –, è che dovrebbero essere iniziative a tempo. Il retino sulla cartografia dice che tu devi fare questo e lui deve fare quell’altro, i proprietari cercano naturalmente di valorizzare al massimo i propri beni, alcune previsioni vengono realizzate e altre no, il retino resta fermo anche di fronte all’inerzia della proprietà o alle attese esorbitanti della rendita fondiaria che non riescono ad incontrare le disponibilità del mercato, tutto ciò fa parte di quelle regole vecchie che oggi non possono più esistere.
Oggi, a mio avviso, ciò che conta non è il retino ma la bontà della proposta. In una concertazione sana, non rileva soltanto la previsione urbanistica relativa a quel territorio, fatto salvo il rispetto ambientale e il rispetto dei parametri che fanno parte della più diffusa sensibilità ambientale: importa prima di tutto quale vantaggio deriva alla città e alla pubblica amministrazione, in termini sociali ed economici, dalla realizzazione di un’iniziativa edilizia che pure deve essere condotta con criteri di economicità e redditività.