SE NON PRODUCIAMO, NON ESISTIAMO
Dal 1965, GB Gnudi Bruno Spa commercializza macchine automatiche made in Italy, con una consulenza capillare e qualificata che ne fa un partner affidabile nel tempo. Quali sono le prospettive per il settore del packaging e dell’industria italiana?
Il nostro settore ha ancora tante opportunità perché il confezionamento è un’esigenza irrinunciabile nell’industria moderna, anche se sono in atto profonde trasformazioni, a partire dalla tecnologia, che deve rispondere alle richieste di macchine più efficienti e performanti in termini di risultato a fine giornata, più che di velocità. Le imprese di produzione hanno bisogno di confezionare, ma se calano i consumi per mancanza di lavoro e di liquidità, gli esercizi commerciali chiudono e la produzione si sposta altrove. In Italia ciascun giorno perdiamo decine di aziende che aprono la sede in Canton Ticino. Questo fenomeno non va sottovalutato, poiché non si tratta di investimenti in paesi dalle economie in crescita, la Svizzera non è un paese povero con un basso costo del lavoro, ma attua una politica che favorisce lo sviluppo delle imprese. È vero che su venti imprese che chiudono ne nascono quasi altrettante, ma hanno solo uno o due dipendenti, mentre quelle che hanno chiuso ne avevano almeno dieci. È difficile capire cosa accadrà e non sono certo i giornali e la tv a dircelo, dato che le previsioni sulla ripresa si spostano di anno in anno, ma certo non è il caso di stare ad aspettare o addirittura a rassegnarsi nella decrescita felice. Chi sarebbe felice oggi di rinunciare al riscaldamento in casa, all’automobile, al telefono cellulare o a internet che consente di collegarsi con tutto il mondo? La filosofia della decrescita felice forse può essere solo uno strumento per evitare di soffrire delle limitazioni a cui costringe la crisi.
Se si attuasse una politica a favore dell’industria e per lo sviluppo di nuovi settori, forse non si temerebbe la crisi…
In Italia, lo stato non è mai intervenuto a favore dell’impresa, salvo nel caso dei soliti grandi gruppi, non c’è stata alcuna politica industriale. L’Emilia Romagna è un’isola felice in questo senso, perché si è avvalsa dell’iniziativa di tanti piccoli imprenditori che, con le loro capacità, sono riusciti a costruire realtà di 500 o anche 1000 dipendenti, che sono state un vero e proprio modello studiato anche da altri paesi, la cosiddetta “terza Italia”. Ma se oggi gli imprenditori che hanno costruito il tessuto economico della nostra regione non hanno futuro continueranno a cercare nuovi mercati altrove, dove non saranno vessati dagli eccessi degli adempimenti burocratici e della pressione fiscale.
Come e perché l’Italia ha il compito di rilanciare la produzione industriale?
Se non produciamo non esistiamo. Le nostre fabbriche di trasformazione sono le migliori al mondo, il manifatturiero è ancora la nostra forza, ma il problema del nostro paese è che non ha materie prime e deve acquistarle da altri paesi a costi piuttosto elevati, mentre i paesi produttori di materie prime intanto sono cresciuti e sono diventati capaci di trasformarle e di farci una concorrenza senza pari. Tra parentesi, le imprese italiane sopportano costi di manodopera altissimi, mentre i nostri dipendenti guadagnano ancora molto poco e nessuno ha fatto niente in questa direzione, nonostante se ne discuta da oltre vent’anni. In un simile contesto, si pone anche il problema di trovare un mercato per un prodotto che ha richiesto costi alti e che non può essere acquistato da chi contribuisce alla sua produzione. Per di più, negli ultimi anni, lo stato ha trascurato la necessità di specializzazione e formazione professionale dei giovani, in modo che le aziende potessero disporre di nuove leve, una volta che le vecchie maestranze fossero uscite di scena. Il settore delle macchine automatiche, per esempio, ha avuto un notevole rallentamento già qualche anno fa, per cui alcune aziende sono state assorbite da altre o sono andate incontro a ristrutturazioni ed il tessuto artigianale dei lavoranti e subfornitori ne ha fatto le spese. Quando è ripartita l’economia, in seguito a rilevanti investimenti in Cina, in India e in Russia, abbiamo dovuto fare i conti con un tessuto industriale sfilacciato di artigiani superstiti. In quel momento sono iniziate le prime difficoltà di approvvigionamento con conseguenti ritardi nelle consegne. Il settore meccanico di Bologna si compone di un’infinità di artigiani che si sono industriati e specializzati, hanno acquistato macchine all’avanguardia, producono per tutti indistintamente, anche per aziende concorrenti fra loro, la formazione qui è fondamentale, senza tessuto, senza investimento, crolla la struttura. Se non c’è un programma di rilancio economico e varie ipotesi di sviluppo, l’industria italiana sarà destinata a essere venduta agli stranieri. Del resto, anche l’imprenditore straniero che vorrebbe investire in Italia ha dinanzi il clima d’incertezza di un paese che cambia, in corso d’opera, le regole sulla tassazione o sull’Iva. E questo non aiuta certo gli investimenti, semmai favorisce sempre più l’acquisto a prezzi di svendita del nostro made in Italy.