LA PSICANALISI, L’IMPRESA, LA SCRITTURA
Sono felice e onorata di ospitare a Modena il dibattito con Serge Gavronsky “Words are my life”. La psicanalisi, l’impresa, la scrittura (Corte dei Melograni, 17 luglio 2013). Il mio primo incontro con l’Autore risale al 1993, quando l’editore Spirali mi affidò la traduzione del suo romanzo Il nome del padre, il cui protagonista, un ragazzo di dieci anni, durante una gita con la famiglia, si getta da un dirupo di Les Beaux de Provence. Già nelle prime pagine, trovai la complessità di un testo di grande spessore intellettuale e la semplicità di un romanzo che si legge come un film, per la forza travolgente delle immagini, che s’imprimono nella memoria: sono immagini nella parola, e l’influenza della parola è inarrestabile. Oggi, accostandomi al romanzo come lettrice, colgo ancora di più l’ironia estrema, l’assenza di luoghi comuni, il prendersi gioco di qualsiasi stereotipo e ideologia, attraverso l’immediatezza, che rende viva la scrittura di Serge Gavronsky e fa della nostra lettura una vera e propria esperienza poetica, da cui non è esente l’influenza. La stessa influenza ho potuto riscontrarla nel mio lavoro di traduzione, constatando che molti modi di dire, invenzioni linguistiche, giochi di parole, che a volte insistevano per entrare in un mio testo, fanno parte del dizionario di questo romanzo, in cui s’intrecciano almeno cinque romanzi.
Harold Bloom, nella Mappa della dislettura (Spirali), descrive l’influenza poetica come un flusso, attraverso i testi delle varie epoche, in cui lo scrittore è prima di tutto lettore. E definisce autori forti coloro, come Shakespeare o Freud, i cui testi sono destinati a provocare centinaia di altri testi. Allora, disleggendo Bloom, possiamo dire che gli autori forti non si preoccupano di chi o che cosa venga prima o dopo di loro, non si preoccupano della pagina vuota, non si chiedono come incominciare né come concludere, ma scrivono scrivendo, procedendo dall’apertura originaria, dal proseguimento, non si propongono di padroneggiare l’influenza o di evitarla, per risultare originali, perché procedono dall’originario. L’originario è senza origine, perciò il flusso non ha un inizio e una fine.
Il flusso della scrittura come il flusso della conversazione nella psicanalisi in quanto esperienza della parola originaria, come il flusso delle cose che si fanno nell’impresa. Chi vuole padroneggiare il flusso, cercando di visualizzarne un inizio e una fine, non avrà nessuna chance di riuscita, perché aspetterà il tempo ideale per incominciare e non vedrà l’ora di finire.
In una recente intervista, Gavronsky affermava che egli non stabilisce prima la struttura dei suoi romanzi, è una sorpresa anche per lui quello che accade ai suoi personaggi: semplicemente, diceva, “it comes”, “arriva”, e egli scrive man mano ciò che arriva; poi lo trascrive al computer, poi lo legge sempre al computer e apporta le modifiche necessarie, poi lo stampa e lo rilegge su carta, apportando altre modifiche, ma, prima di scrivere, non sa quale sarà la struttura. “Non mi pongo mai la questione di arrivare alla fine”, diceva, “la conclusione è sempre provvisoria, ma non sono io a spingere le cose verso una conclusione anziché un’altra”.
In breve, Gavronsky non pianifica, non mette in piano, non toglie il rilievo. Ma questo non vuol dire che non ci sia un progetto, anche se nemmeno lui sa quale sia, o un programma; il programma procede dalla decisione e l’autore non attende l’ispirazione per scrivere. C’è una decisione in atto, che non è una scelta o una possibilità: “Scrivo o non scrivo”. E questa assenza di scelta è ciò che qualifica anche l’imprenditore, che non si chiede se fare o non fare impresa. In questa assenza di pianificazione, troviamo uno dei terreni in cui s’incontrano la psicanalisi, l’impresa e la scrittura. Terreno in cui vige quella che Freud chiamava la regola fondamentale, l’associazione libera, libera anche dall’idea che ognuno ha di sé o dell’Altro, che è la forma più diffusa di vittimizzazione, la faccia contemporanea del conformismo. Se c’è associazione libera, c’è parola libera e c’è ascolto. E, mai come nel caso di Serge Gavronsky, la psicanalisi, l’impresa e la scrittura s’incontrano sul terreno dell’Altro.
Ma in virtù di che cosa si dissipa il conformismo che lascia il posto alla novità? “It comes”, diceva Gavronsky. “It” è l’idea che opera, non è l’idea che l’Autore ha di sé o dei personaggi, è l’operatore pragmatico, lo spirito costruttivo, che non insegue la dimostrazione, ma opera al fare, alla riuscita, alla scrittura. Se lo scrittore, l’impresa o lo psicanalista si attenessero al cerimoniale della pianificazione, mancherebbero un aspetto essenziale: il numero come numero della vita, come logica particolare, e mancherebbero quell’incalcolabile che procede dall’estremo calcolo e istaura il tempo infinito, quindi non giungerebbero al valore assoluto e le cose rimarrebbero ancorate a un valore relativo, in base al riferimento al sistema in cui sono presunte trovarsi.
Come lo psicanalista e l’imprenditore, lo scrittore Gavronsky non ha alcun interesse a dimostrare che un’idea sia migliore di un’altra. Nella psicanalisi è questione di parola, non di fare cambiare idea alle persone, come credono alcuni professionisti che invitano a sostituire un’idea negativa con una positiva: “Pensa positivo, così starai meglio”.
Una lezione che possiamo trarre dalla lettura dei libri di Serge Gavronsky è che l’influenza non è delle idee, ma della parola.
Potremmo pensare che le idee, i nomi, le immagini che troviamo nei suoi romanzi siano frutto della sua immensa cultura e che siano tipici di un intellettuale, mentre la maggior parte delle persone vivrebbe una realtà di fatti e non di parole. Eppure, se ciascuno mettesse in discussione il conformismo con se stesso e si disponesse alla lettura dei romanzi di Serge Gavronsky, constaterebbe che non esiste una vita che non sia intellettuale.
***L'articolo di Anna Spadafora è tratto dal dibattito che si è tenuto il 17 luglio 2013 intorno ai libri di Serge Gavronsky editi da Spirali (“Words are my life”. La psicanalisi, la scrittura, l’impresa, Modena, Villa Corte dei Melograni).