LA TECNOLOGIA AL SERVIZIO DELLA STORIA

Qualifiche dell'autore: 
amministratore di Ardea Progetti e Sistemi Srl, Bologna

Finalmente, quest’anno è arrivata la novità che tutti i progettisti aspettavano per il restauro degli edifici storici e l’adeguamento antisismico: le nuove resine a base acqua BETONTEX® IPN per il primo sistema di rinforzo di murature che impiega matrici a base calce e rinforzi in fibra di carbonio. Il frutto di alcuni anni di ricerca che Ardea Progetti e Sistemi ha condotto in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria "Enzo Ferrari" dell’Università di Modena e Reggio Emilia (con il particolare contributo di Elena Fabbri, ricercatrice della stessa Università) è stato illustrato nell’intervento dal titolo Quando la tecnologia si mette al servizio della storia. Betontex IPN, la nuova frontiera dei materiali compositi per il consolidamento strutturale, che lei ha tenuto nell’ambito del seminario Materiali compositi appropriati per la protezione sismica, promosso dall’AICO (Associazione Italiana Compositi), al Salone del Restauro di Ferrara (21, marzo 2013). Può dirci qualcosa di più?

Il sistema BETONTEX® IPN, che utilizza resine a base acqua, è una novità assoluta sul mercato, un sistema che consente di rinforzare le murature con il meglio delle caratteristiche auspicate dal progettista: elevate proprietà meccaniche (comprese tra il 70 e 90 per cento del corrispondente composito prodotto con resine epossidiche), grande leggerezza e spessore ridotto, alta traspirabilità, resistenza termica oltre i 160° C, massima resistenza al fuoco (Classe 1), perfetta conformità alle normative per il rispetto dell’ambiente. Dopo averlo testato nei laboratori delle Università di Modena, di Bologna e di Atene, su travi in calcestruzzo, con ottimi risultati, da diversi mesi abbiamo incominciato a introdurre il sistema nel mercato, riscontrando un crescente interesse da parte degli operatori e delle Sovrintendenze.

A vent’anni dalla sua nascita, possiamo dire che Ardea Progetti e Sistemi, insieme alla FTS (Fibre Tessuti Speciali) di Torino (che oggi ha grandi capacità produttive di tessuti industriali a base di fibre poliestere, nylon, fibre aramidiche e fibre speciali, compresi i tessuti per edilizia in fibre di carbonio nati sulla base di ricerche e brevetti sviluppati da Ardea), ha scritto un capitolo importante della storia dei compositi nel nostro paese, sempre al servizio delle esigenze che emergevano da parte dei costruttori, dei progettisti e degli enti di tutela dei beni culturali, il più delle volte anticipando soluzioni a problemi di cui ancora non c’era neppure la percezione e che si sarebbero presentati in seguito. Questo è stato possibile grazie all’esperienza acquisita dai soci di Ardea e FTS in importanti gruppi internazionali, che già negli anni ottanta sviluppavano applicazioni per diversi settori: navale, aeronautico, automobilistico, sportivo, tessile e altri. Ma anche grazie alla collaborazione costante con le università e la ricerca…

A questo proposito, proprio grazie alla collaborazione con Angelo Di Tommaso, professore dell’Università di Bologna e presidente dell’AICO, siamo stati i primi a introdurre in Italia, nel 1993, le tecnologie dei compositi in edilizia. Successivamente, nel 2004, abbiamo colto l’occasione per il nostro paese di fare un grande passo avanti in questo campo, quando il CNR ha pubblicato la normativa di riferimento per il consolidamento di strutture con queste tecnologie (DT200/2004), coprendo in tempi molto brevi le carenze legislative legate all’introduzione di questi nuovi materiali (normativa che oggi è di riferimento per numerosi paesi europei). Quando nel 1986 il Giappone fu devastato da uno dei più disastrosi terremoti della storia, si scoprì che le fibre di carbonio, cinque volte più resistenti dell’acciaio e in grado di dissipare l’energia di deformazione, potevano utilmente essere impiegate nel recupero delle strutture danneggiate dal sisma.

Invece da che cosa è nata l’idea di sviluppare le nuove resine IPN (Interpenetrated Network), illustrate al seminario del Salone del Restauro di Ferrara, e come funzionano?

L’esigenza è nata dal fatto che le resine epossidiche finora impiegate, per quanto estremamente prestanti, hanno scarsa resistenza al fuoco, sono impermeabili all’aria e all’umidità, con possibili problemi se applicate su murature, in particolare con riferimento a interventi su edifici storici dove la compatibilità tra materiali troppo diversi fra loro è soggetta a diverse obiezioni da parte degli enti di tutela.

Le resine IPN sono sistemi di componenti interpenetrati, costituiti da due o più fasi polimeriche organiche e una fase inorganica cristallina attiva, in cui i componenti s’intrecciano fino a creare un unico materiale. La loro morfologia è stata caratterizzata mediante microscopia elettronica a scansione, che permette di vedere la struttura dei materiali e capire quali sono le prestazioni che possono offrire nel prodotto finito (costituito dalla matrice e dal rinforzo fibroso).

Nelle diverse fasi di sperimentazione, abbiamo constatato che queste resine sono fortemente porose, e questo garantisce una grande traspirabilità, diversamente dalle resine epossidiche che sono estremamente compatte. Per scendere più nel dettaglio, vediamo che il sistema è caratterizzato dalla formazione di cristalli di dimensioni micrometriche, con un rapporto di forma particolarmente importante ai fini strutturali, perfettamente interconnessi, saldati l’uno con l’altro e annegati nella matrice, la resina polimerica IPN, che li circonda e li tiene uniti fra loro.

Considerando che in questi vent’anni avete contribuito alla ristrutturazione statica e architettonica di alcuni dei più importanti monumenti e palazzi storici del nostro paese (fra cui la basilica di San Petronio a Bologna, quella di Sant’Antonio a Padova, quelle di Alba e Vicoforte, in provincia di Cuneo, e la Reggia di Venaria Reale a Torino), non è secondaria la ricerca di materiali con altissime performance capaci di mantenere inalterate le loro caratteristiche nel tempo…

Infatti, osservando un termogramma delle resine IPN, notiamo la loro eccezionale resistenza termica, che è stabile quasi fino a 160 gradi: superata tale temperatura, il materiale incomincia a perdere peso, con cessione di acqua di cristallizzazione attraverso un processo endotermico, quindi con assorbimento di energia, conferendo al materiale una grande resistenza al fuoco.

Lo stesso test, effettuato a distanza di due anni su una resina invecchiata e sottoposta a invecchiamento (weathering: cicli di gelo, disgelo, pioggia, umido, secco, sole, intemperie), ha dimostrato che le caratteristiche rimangono perfettamente inalterate.

Come avete illustrato al convegno La forza della leggerezza (Mirandola, 18 settembre 2012), oltre ad avere messo in sicurezza gran parte del patrimonio artistico danneggiato in seguito al terremoto in Abruzzo, gli interventi effettuati con i vostri sistemi su monumenti dell’Emilia (come il campanile di Ganaceto, per esempio), negli anni precedenti al sisma, hanno dato prova della capacità delle fibre di carbonio di conferire resistenza alle strutture, considerando che sono rimaste intatte, diversamente da quelle che erano state rinforzate con sistemi tradizionali e che hanno riportato gravi danni, se non sono crollate completamente. È stato un collaudo involontario, che ci auguriamo non si ripeta mai più. Mentre, tornando ai test da voi effettuati sul nuovo sistema BETONTEX con le nuove resine IPN, quali sono stati gli altri risultati importanti?

In un campione rotto appositamente per essere analizzato al microscopio elettronico, abbiamo visto che la resina riesce a penetrare bene all’interno del filo formato da migliaia di singoli filamenti molto sottili (7-8 micron di diametro), consentendo a ciascun filamento di contribuire a sostenere i carichi. Non solo, ma la matrice risulta molto bene adesa alla fibra, tant’è che, anche nel cuore del campione visibile in seguito alla rottura, la fibra risulta ancora sporca della matrice utilizzata.

In una prova di applicazione di un laminato su una trave di cemento armato, sottoposta a flessione in quattro punti, fino a completa frattura e delaminazione, abbiamo constatato che il laminato si è staccato dalla trave strappando il calcestruzzo, per rottura a taglio del calcestruzzo, indice di un altissimo grado di adesione.

Nelle prove a cicli umido-secco, con metodi d’invecchiamento accelerato, abbiamo visto che, a distanza di diverse settimane, modificando ogni dodici ore le condizioni di esposizione (40 gradi con 100 per cento di umidità relativa o 60 gradi con 10 per cento di umidità relativa), i compositi ottenuti con le resine IPN hanno dimostrato una grande stabilità da un punto di vista sia estetico sia strutturale; inoltre erano assenti macchie o variazione di colore e non si sono riscontrati fessurazioni o distacchi dal supporto.

Infine, in prove di trazione per verificare l’adesione di tessuti in fibra di carbonio o di vetro in malte cementizie, abbiamo visto che l’utilizzo della resina IPN porta a un notevole aumento del carico di rottura delle fibre rispetto a fibre non trattate con queste resine; per di più, il materiale composito in questo caso non cede tutto in un colpo, ma permette tramite segnali visivi e sonori di programmare l’intervento necessario.

Dopo questi risultati eccellenti, non ci sorprende che il Salone del Restauro abbia dedicato allo stand di Ardea una posizione di prestigio, accanto a quello del Ministero dei Beni culturali, che potrà prendere atto dell’impegno da voi profuso nella ricerca incessante di "tecnologie al servizio della storia".

Sicuramente i nuovi ritrovati di Ardea Progetti e Sistemi daranno una svolta alle tecnologie dei compositi, in particolare alle nuove tecniche che prevedono l’impiego di malte quali matrici al posto delle resine epossidiche, rendendo queste tecnologie più compatibili con le esigenze specifiche dei monumenti storici.