COMPETENZA E QUALIFICAZIONE
Il valore aggiunto di ciò che professionalmente ciascuno di noi sta facendo oggi decade nel tempo, più o meno rapidamente, in funzione di ciò che sappiamo fare, cioè del nostro attuale livello di competenza. Tuttavia, è indubbio che la competenza vada incontro al logoramento.
Al tempo dei miei genitori non erano in tantissimi a potersi vantare di aver conseguito la licenza elementare. Quando ero un bambino (negli anni sessanta), uno dei programmi più seguiti in televisione era Non è mai troppo tardi, dove il maestro Alberto Manzi insegnava a leggere e a scrivere. L’Italia era ancora un paese con un alto tasso di analfabetismo. Grazie a questo programma televisivo, un milione e mezzo di cittadini riuscirono a conseguire la licenza elementare. Sto parlando di cinquant’anni fa, non del Medioevo.
A mezzo secolo di distanza, chi oggi deve confrontarsi con il mondo del lavoro si rende drammaticamente conto di come nemmeno una laurea offra certezze. Nemmeno un dottorato di ricerca. Quello che può fare l’istruzione è darci competenze e le competenze generano opportunità, non certezze. Maggiori competenze assicurano maggiori opportunità. Il concretizzarsi di una o più di queste opportunità dipende in massima parte da noi stessi, dalle nostre scelte o dalle nostre non scelte (anche non scegliere è una scelta).
Non si può dire che non si trova lavoro, quando al World Economic Forum, lo scorso 23 gennaio, si dichiarava che “nel mondo le competenze, specialmente in materie tecniche, sono oggi così scarse da determinare dieci milioni di posti di lavoro vacanti, che non trovano risposta sul mercato”.
Certo, può darsi che il lavoro sia piuttosto scarso nel comune in cui risiediamo e che, anche allargando i confini della ricerca ai comuni direttamente confinanti, le cose non cambino di tanto. Però, a essere onesti, dobbiamo dire che non c’è lavoro relativamente a una certa area geografica e che forse è giunto il momento, o piuttosto la necessità, di allargare i nostri orizzonti.
In molte nazioni, e sempre più anche in Italia, ci sono giovani, e anche meno giovani, che si spostano, lavorano in altre città, in altre nazioni, in altri continenti, fanno nuove conoscenze, imparano e integrano culture e lingue, acquisiscono competenze. Anche loro, come noi, hanno amici, genitori, mogli, figli. A volte li portano con sé, a volte decidono di lavorare in posti che distano una, due, venti ore di aereo dai propri affetti (ore, non mesi).
I cambiamenti legati alla globalizzazione che, di fatto, ha avvicinato territori e culture che fino a pochi anni fa consideravamo lontanissime, determina anche una redistribuzione del lavoro all’interno dell’economia di un territorio. Oggi e sempre più in futuro, a meno di cambiamenti nelle attuali dinamiche di globalizzazione, le possibilità di adattarsi, di sopravvivere e possibilmente di prosperare, all’interno del “proprio territorio”, sono più che mai legate alle competenze, a ciò che sappiamo fare, a come lo sappiamo fare e, si badi bene, a come lo sappiamo comunicare e a come sappiamo essere individui e comunità. Le opportunità per l’individuo sono legate al rapporto tra le sue competenze e le competenze medie (o alla densità di competenze) dell’ambiente (o dell’insieme) che lo circonda. Se l’individuo cambia “insieme” non cambiano certo le sue competenze personali, ma sicuramente cambia il rapporto tra queste e le competenze medie, o la densità di competenze, di quell’insieme. Sostituite al termine “insieme” l’indicazione geografica del luogo dove vivete o vorreste vivere.
Questo determinerà, determina già, delle scelte. Scelte che deve fare il singolo (scelte volontarie) o scelte che altri faranno per lui (scelte obbligate). La storia ci ha già mostrato questo. Quanto più è elevato il tasso di disoccupazione di un territorio e tanto più al singolo servono competenze per avere opportunità di impiego. Chi non ha competenze, una volta finiti i sostegni pubblici o di famiglia o le fortunate vincite al “Gratta e vinci”, non avrà che una possibilità per sopravvivere in modo legale: emigrare, andare in posti dove le sue competenze hanno ancora un valore, si tratti delle competenze di due braccia che sanno smuovere la terra utilizzando una vanga o il sapere cucinare o il saper far di calcolo o il forgiare un oggetto, qualsiasi cosa che altri non sappiano fare (o che probabilmente non vogliono più fare!). In questo modo si diventa “schiavi” della propria incompetenza.
A questo punto la ricetta sarebbe semplice, sarebbe quella del mio buon padre che solo in virtù di notevoli sacrifici ottenne la licenza elementare: “Studia, diventa un dottore, ne va della tua libertà”, mi ripeteva. Purtroppo nel nostro paese, questo non è più sufficiente. Spesso viviamo l’esperienza di un’emigrazione alla rovescia: non sono quelli con minori competenze a doversene andare a cercare luoghi dove mettere a disposizione il poco che sanno fare, sono i laureati a fuggire, sono i cervelli migliori che vanno altrove a cogliere opportunità che le nostre imprese e il nostro paese non sono più in grado di offrire loro. Le ragioni? L’umile pensiero di chi scrive è che siano direttamente legate al declino politico, culturale e quindi sociale dell’ultimo ventennio. La Politica, quella con la P maiuscola, non ha saputo, potuto o voluto e, in ogni caso, non è stata in grado di guidare la nazione attraverso il cambiamento che stava avanzando, e che sta proseguendo, su scala planetaria. Non abbiamo saputo reggere il confronto con un mondo che cambia a una velocità tale che occorre correre molto forte per restare fermi, cioè per non arretrare, per non perdere posizioni, ovvero per mantenere livelli di benessere che forse, a torto, consideravamo raggiunti e acquisiti per sempre. Ma questo è un altro capitolo. Ciò che mi premeva trasmettere in questo articolo è che le competenze, compreso il modo di agirle e comunicarle, sono elemento fondamentale, imprescindibile, nella determinazione numerica e qualitativa delle opportunità che la vita ci offre.