IL CEMENTO PER LA VITA

Qualifiche dell'autore: 
presidente di A.G.E.S. S.p.a., Castenaso, Bologna

In quasi un secolo di storia, la cava A.G.E.S ha contribuito allo sviluppo della città e della provincia di Bologna con la produzione di sabbie, ghiaie e costruzioni stradali e oggi, con A.G.E.S. S.p.a., è fra le maggiori imprese della provincia di Bologna nella fornitura di calcestruzzi preconfezionati, conglomerati bituminosi e costruzioni stradali con particolare attenzione alle esigenze delle amministrazioni e degli enti pubblici locali. Com’è incominciato il vostro viaggio?

L’attività ebbe inizio a Castenaso, fin dagli anni della prima guerra mondiale, quando alcuni barocciai si recavano al vicino fiume Idice per trarre dal greto ghiaia e sabbia, che trasportavano poi con il baroccio nei cantieri edili di Bologna e provincia. Nel 1931, quest’attività confluì nella neocostituita società A.G.E.S., Anonima Ghiaia e Strade, dove, con la guida di un imprenditore capace e lungimirante come Giuseppe Vacchi, raggiunse un rapido e intenso sviluppo. Dopo la seconda guerra mondiale, periodo in cui cessò l’attività a causa del bombardamento degli impianti e della sede, la società riprese la produzione di sabbie e ghiaie, occorrenti in grandi quantità per le esigenze di ricostruzione post bellica. Nel 1955, in seguito alla necessità di costruzioni stradali richieste dal tumultuoso sviluppo della motorizzazione, si costituì la A.G.E.S. Strade S.p.a., specializzata in costruzioni e manutenzioni stradali con utilizzo, in particolare, dei materiali inerti prodotti dalla cava. Al fine di utilizzare ulteriormente la materia prima prodotta dalla A.G.E.S, ovvero ghiaia e sabbia, si decise di costituire una nuova società per la produzione di calcestruzzi preconfezionati. Era il 1972 quando nasceva la Livabeton S.p.a., che oggi ha impianti di lavorazione a Castenaso, a Marzabotto, a Granaglione e a Calderara di Reno, con partecipazioni in altre aziende di calcestruzzo del ferrarese. Quando, alla fine degli anni duemila, la famiglia Vacchi decise di cedere la società, assieme alla società Cave Nord S.r.l. ho rilevato tutte le attività della lavorazione della ghiaia, delle strade e del calcestruzzo, facendo tesoro dell’esperienza maturata, anche perché, quando sono entrato nella A.G.E.S, nel 1951, avevo soltanto diciassette anni.

Nel breve corso di studi che ho seguito, è stato fondamentale l’insegnamento di un bravissimo professore di computisteria, che raccomandava agli studenti di non cercare il cosiddetto posto sicuro perché è essenziale mettersi in gioco nella vita, accettare le sfide e anche i rischi.

Conclusi gli studi, nonostante avessi ricevuto l’offerta del solito parente che poteva raccomandarmi in banca e con l’assoluta incoscienza tipica dell’adolescenza – considerando anche le esigenze economiche che la famiglia aveva in quegli anni –, dissi che non avrei accettato. Oggi dirigo l’azienda con l’apporto prezioso dei miei figli: Davide è consigliere delegato delle attività, Andrea segue gli aspetti commerciali e Giovanni cura gli aspetti legali. Molto importanti sono state le sinergie con il socio Cave Nord che garantisce l’approvvigionamento di materiali sabbio-ghiaiosi e allo stesso tempo rappresenta un rilevante consumatore dei prodotti e servizi forniti dalla Società.

Attualmente, la nostra è una delle aziende private del settore con il maggior numero dei dipendenti della provincia di Bologna. A.G.E.S. S.p.a. ha garantito continuità di lavoro sin dai primissimi anni trenta, contribuendo al benessere di questo territorio e trasmettendo a più generazioni l’esperienza acquisita negli anni, che altrimenti sarebbe andata perduta. Nella nostra epoca, il mestiere del muratore non è molto apprezzato perché è ritenuto umiliante e faticoso, anche se è retribuito probabilmente meglio di altre attività. A me piace ricordare la frase di un anziano ingegnere di cui ho molta stima: “Il muratore è l’ultimo artigiano, l’ultimo artista”. Egli notava: “Quando un muratore costruisce un muro o un manufatto edile, qualunque esso sia, realizza un pezzo unico. Ciascuna opera costruita a regola d’arte è firmata. Anche i muratori, da veri artisti, dovrebbero firmare i loro lavori”.

Quali sono i problemi che sta affrontando il vostro settore?

Nell’ambito della crisi generale di cui soffre la nazione, il settore edile è quello più penalizzato. Buona parte della nostra attività riguarda costruzioni e manutenzioni stradali per enti pubblici. Purtroppo, le pubbliche amministrazioni non pagano i debiti. Oggi, si corre il rischio di fallire per crediti, non per debiti. Contrariamente a quello che si è sempre pensato, cioè che lavorando per il pubblico ci fosse la garanzia di incassi, oggi non è più vero. I provvedimenti presi per svincolare i crediti sono inefficaci, sono ulteriori pastoie burocratiche che impongono spese che nessuno rimborserà mai e che non liquidano i crediti in tempi utili. C’è perfino una resistenza sorda da parte dell’ente pubblico debitore a rilasciare le certificazioni, in quanto prescrivono l’indicazione di date precise entro cui dovrà pagare.

Ma anche lavorando con le imprese private le cose non cambiano, o perché direttamente o indirettamente hanno a che fare con il pubblico oppure perché sono in crisi di liquidità, avendo costruito appartamenti che oggi non vendono. Anche le grandi strutture cooperative ben strutturate soffrono di questa situazione, come spesso si apprende dai media. Sempre più di frequente riceviamo l’avviso di qualche azienda edile che fallisce.

Perché ancora oggi occorre scommettere nell’attività edile?

L’Italia è una nazione dove oltre l’80 per cento degli abitanti gode della proprietà dell’abitazione, caso abbastanza anomalo nel mondo. Pertanto, diventa difficile in termini numerici ipotizzare un ulteriore sviluppo della proprietà edilizia, salva l’esigenza di miglioramento di quello che è stato costruito. L’altro settore dell’attività è quello della costruzione degli edifici industriali. Quando però l’economia non funziona, quando le fabbriche chiudono, non c’è bisogno di costruire nuovi capannoni o di ristrutturare i vecchi.

In passato, inoltre, sono stati fatti anche interventi sbagliati, come le leggi Tremonti, che hanno indotto tante aziende a costruire capannoni industriali, anche oltre le effettive necessità, con la lusinga dei benefici fiscali: quando interviene la mano pubblica per incentivare i consumi, si droga il mercato e i risultati non possono che essere dannosi.

Perché è ancora importante investire nell’impresa?

Io ho lavorato solo in ambito edile, quindi non posso fare paragoni con altre attività. Sono innamorato del mestiere che faccio e la soddisfazione è grande quando si conclude un’opera ben fatta, come può essere un bel giardino o una lottizzazione costruita con tutti i criteri della qualità.

L’istinto di costruire, l’istinto di fare è nato con l’uomo, altrimenti saremmo ancora nelle caverne. Noi dobbiamo andare avanti, nonostante le difficoltà. Nella mia lunga attività lavorativa ho attraversato molti cicli di crisi, ma mai come questo: siamo in guerra, mancano solo le bombe ma il resto c’è tutto. Tuttavia, constato che sono tanti gli imprenditori che lottano per la propria azienda e sono disposti a qualsiasi cosa perché prosegua, perché non sia abbandonata, sarebbe come perdere un pezzo della nostra vita, come annullare tutto il lavoro eseguito da coloro che nell’azienda, ciascuno con la sua mansione, si sono impegnati a fare in molti casi anche per tutta la vita.

Quali sono i progetti futuri di A.G.E.S?

Dal 2001 al 2008 circa abbiamo goduto di un lungo periodo di ritmo lavorativo che non era mai stato così intenso, ma che si è rivelato dannoso perché ha indotto a gonfiare oltremisura la capacità produttiva dell’edilizia e dei settori a essa collegati, anche con l’entrata nel mercato di molti improvvisati. Era nell’ordine delle cose che si dovesse rientrare nella normalità con volumi di lavoro inferiori. È ciò che accade quando si conclude una guerra e improvvisamente viene dichiarata la pace. Quando una guerra è in corso, tutte le industrie producono materiale bellico, ma, quando “scoppia” la pace, l’industria bellica cessa ed è il dramma delle nazioni a causa della necessità di convertire la produzione. La storia ci ricorda che in questi casi occorreva che chi, per esempio, costruiva carri armati improvvisamente doveva costruire trattori. L’industria edile in che cosa si riconverte? Non c’è altra strada per rimettere in sesto il settore se non quella di riposizionarsi sui quantitativi produttivi delle varie specialità con volumi di produzione proporzionati a quello che il mercato richiede oggi. Si potrebbe costruire di più, per esempio, nell’edilizia popolare perché ci sono persone che non possono acquistare la casa. Nel 1949, fu emanata la legge Tupini, che prevedeva l’esenzione venticinquennale delle imposte a chi acquistava un appartamento come prima casa. Allo Stato non costava niente perché dava l’esenzione su qualcosa che prima non esisteva, per cui non c’era né un esborso né un mancato introito. Questa legge contribuì a dare la casa di proprietà a tanta gente.

Ma il futuro dell’edilizia può essere anche quello di recuperare la maggior parte dell’edilizia costruita nel dopoguerra. Si potrebbero riqualificare le periferie costruite con criteri errati e con materiali di qualità discutibile, oltre che non configurati secondo le attuali esigenze, evitando in questo modo di “consumare” territorio, benché questo tema sia diventato un tabù. Il territorio va utilizzato quando occorre, sebbene con giusti criteri. Laddove c’è territorio che potrebbe essere recuperato, per esempio dove si può fare agricoltura, occorre non lasciarlo incolto. Gestire il territorio esige una politica globale priva di tabù.

Per quanto riguarda le costruzioni stradali, i ponti e le infrastrutture in genere, siamo un paese in pesante ritardo rispetto a Francia, Germania e Inghilterra. Avremmo tanto da fare, ma occorrono politiche mirate e fondi pubblici.

L’obiezione che spesso si fa è che il cemento inquina. Cosa ne pensa?

Spesso, negli interventi in ambito politico o culturale, sentiamo parlare dei “cementificatori” con disprezzo e questo favorisce la poca attenzione che c’è in questi ultimi tempi verso l’attività edile. Il cemento viene considerato un elemento negativo che danneggia l’ambiente. L’edilizia soffre di un pregiudizio enorme, come riscontrano anche i rappresentanti sindacali con i quali mi confronto spesso.

Ritengo che il settore non sia esente da colpe e che dagli stessi operatori devono essere inviati i giusti messaggi, partendo da una maggiore qualità delle opere, in modo da fare comprendere all’opinione pubblica che il cemento è indispensabile per la realizzazione di opere essenziali, come scuole, strade, ponti e ospedali. Sono le scelte dell’uomo che determinano il buono o il cattivo utilizzo degli strumenti. L’energia atomica, per esempio, serve per distruggere ma anche per costruire. Occorre salvare lavoro e salari, per una maggiore stabilità e per non perdere anche il motivo per cui esistiamo come impresa.