LA CASA NELLA PAROLA
La casa, l’azienda, la scuola, il municipio, la chiesa: edifici in cui nasce, cresce, vive la città. Dopo il terremoto del 20 e 29 maggio in Emilia, questi edifici non possono più essere considerati punti fermi. Sono in viaggio, come ciascuno di noi, hanno bisogno di essere ascoltati, nelle loro crepe, nelle loro debolezze, nei loro sforzi dovuti all’eccessivo carico, hanno bisogno di attenzione e di cura come mai era avvenuto prima.
La casa: quante volte durante un viaggio ci sorprendiamo a sistemare in una stanza d’albergo gli oggetti, come se fossimo a casa? Per le civiltà stanziali la casa è un corpo che respira, parla, vive, come il nostro. Quando Gesù scaccia i mercanti dal tempio, nel Vangelo di Giovanni, dice: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. Ma egli parla del tempio del suo corpo. Infatti, come ricorda Giovanni: “Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù” (Giovanni 2,13-25). Il tempio come la casa, l’edificio come il corpo, apparentemente mortale eppure immortale, perché la sua struttura è la stessa struttura della parola. La casa che impone le sue pareti, le sue scale, i suoi angoli bui, le sue finestre spalancate, nei nostri sogni non è mai quella che ricordano i nostri fratelli, che pure hanno vissuto nella stessa casa, perché la casa nella parola è differente per ciascuno, dipende dalle gioie e dai dolori, dagli incontri con gli abitanti e gli ospiti di quella casa, dalle cose che si dicono e da quelle che non si dicono, ma si odono, tra gli scricchiolii dei mobili, delle sedie, sotto i soffitti a cassettoni affrescati o fra umili pareti appena imbiancate. La casa è sempre nella parola di chi ci vive. Ne sanno qualcosa i popoli nomadi o gli ebrei, costretti a vagare da un posto all’altro durante le persecuzioni naziste, per i quali a volte la casa è soltanto un grammofono che intona le nove sinfonie di Beethoven (come ricorda il filosofo André Glucksmann, nel suo libro Una rabbia di bambino, edito da Spirali).
Se c’è qualcosa che il terremoto può insegnarci è proprio questo: la casa è nella parola, i bambini lo capiscono, per cui non hanno bisogno di un letto comodo per dormire, ma della mamma o del papà che racconti loro una favola; il loro letto, la loro casa è dove c’è la parola, dove qualcuno parla con loro. E anche la scuola è nella parola degli insegnanti, dei compagni, nella loro stessa parola.
Eppure, che la casa e la scuola sono nella parola non vuol dire che dobbiamo vivere o studiare in una tenda. Anzi, come il testo del cattolicesimo ci ha insegnato, non possiamo disprezzare o trascurare il nostro corpo, anch’esso immortale. Che il corpo e la casa sono nella parola indica che sono materia intellettuale, non materia inerte. Mai come nel periodo seguente al terremoto, in Emilia, gli ingegneri e i progettisti non possono limitarsi a intervenire secondo un approccio tecnico, ma sono chiamati all’ascolto, mai come in questo periodo il disagio è l’introduzione delle cose nella parola. Parla, anche se è inconsolabile, chi rischia di perdere, con la casa, la memoria; quella casa parlava, era parola, come arte e cultura della costruzione, ma anche come arte e cultura dell’ospitalità, dell’accoglienza, della cucina, del cinema e del teatro che in essa avevano il loro palcoscenico quotidiano. Eppure, non è scontato che quella casa possa essere lasciata in piedi. Allora l’ingegnere, il progettista e l’architetto, se intervengono secondo un approccio intellettuale, hanno la chance di riuscire, tentando e provando, a restituire la memoria di ciò che non è mai stato, quando nulla può più essere come prima. Allora la restituzione, anziché in pristinum, diviene restituzione in qualità, avvalendosi delle nuove tecnologie dei materiali compositi per il recupero e il rinforzo strutturale, il consolidamento e l’adeguamento sismico di edifici storici, civili e capannoni industriali, che sono state illustrate nel convegno La forza della leggerezza (Mirandola, 18 settembre 2012), organizzato da Ardea Progetti e Sistemi, con il patrocinio dell’Ordine degli Ingegneri della Provincia di Modena, del Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” dell’Università di Modena e Reggio Emilia, dell’AICO Associazione Italiana Compositi, di Acropoli-Salone del Restauro di Ferrara, dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna e della “Città del secondo rinascimento”, che pubblica gli interventi in questo inserto speciale.
**Il testo di Anna Spadafora è tratto dal suo intervento al convegno La forza della leggerezza (Mirandola, 18 settembre 2012, organizzato da Ardea Progetti e Sistemi, Bologna)