COME TROVARE LA STRADA GIUSTA
Nel libro In direzione della cifra. La scienza della parola, l’impresa, la clinica è condensata un’intera vita di studi, di analisi, di idee e di intuizioni di uno studioso, Sergio Dalla Val, che tanto ha scritto nella sua carriera e che ora ha ritenuto di enunciare organicamente i frutti finora raccolti. La densità dello scritto è tale che, nella lettura, ci si trova di fronte a una specie d’inevitabile moltiplicazione dei contenuti: accanto a quelli annunciati con rigorosità di ragionamento e con grande ricchezza di collegamenti e citazioni, si sviluppano inevitabilmente anche quelli che fioriscono, almeno in abbozzo, nella nostra testa e che dai ragionamenti dell’autore sono sollecitati.
Potremmo cominciare dal titolo di questo incontro, Vivere senza paura (Libreria Feltrinelli, Udine, 5 luglio 2012). Quello della paura è un aspetto della nostra vita che è tornato a essere dominante dopo decenni in cui il suo spettro era diventato sempre più impalpabile davanti alla potenza di un ottimismo che derivava dalla convinzione di avere in mano tutte le chiavi per aprire le casseforti del nostro mondo. Poi abbiamo cominciato ad avere sempre meno certezze, a temere che “le magnifiche sorti e progressive” non fossero poi così magnifiche, e che soprattutto non fossero progressive.
E, come in tutti i momenti in cui l’uomo ha provato paura, abbiamo cominciato a creare realtà virtuali, superstizioni, modi di fare e di dire che potessero regalarci delle pur fallaci illusioni di vivere ancora in un mondo in cui eravamo noi i padroni, in cui ogni uomo poteva ancora considerarsi faber del proprio destino. Abbiamo così perso di vista la realtà effettiva e non ci siamo accorti, se non parzialmente e con eccessivo ritardo, che il mondo stava mutando davanti ai nostri occhi e che, anzi, qualcuno stava approfittando proprio della nostra vista appannata per cambiarlo a suo vantaggio e a detrimento altrui.
La mia idea è che l’inizio della valanga vada ricercato ben prima della crisi economica e degli albori della cosiddetta globalizzazione, nella distruzione della parola, nella scientifica destrutturazione del suo significato, nell’uso criminale delle figure retoriche adoperate non più per ottenere effetti poetici, ma per meglio ingannare gli ascoltatori, con il deliberato scopo di stravolgere i significati di molte parole per piegarne l’essenza ai propri comodi.
Ed ecco l’importanza della cifrematica, la scienza della parola intesa come cifra, con tutti i pregi e i difetti che questo comporta. Grazie all’analisi delle cosiddette “logiche” e “strutture”, ogni parola può essere ricondotta al suo significato reale e originario, rendendola nuovamente viva e quasi inedita dopo tanti anni di finti orpelli che l’hanno travisata; finalmente di nuovo priva di pregiudizi positivi o negativi che siano.
Se tutto questo sarebbe stato utile in qualsiasi momento della storia moderna, nella fase di crisi che stiamo attraversando appare addirittura necessario perché la difficoltà di affrontare una crisi in qualsiasi condizione diventa addirittura un’impossibilità se si viene privati dell’unico strumento che ci può aiutare: il pensiero che, almeno per essere messo in comune in un’opera di scambio e di reciproco arricchimento intellettuale, si basa proprio sulle parole, anzi sulla condivisione del loro significato, sulla comunanza di valutazione del loro valore.
E credo che proprio la corruzione della condivisione del linguaggio sia alla base della paura, perché l’insicurezza di una base comune non può che spingere a tentare di semplificare cose che semplificabili non sono, a non usare l’esperienza come uno strumento utile, bensì a coprire forzosamente con alcuni suoi insegnamenti la realtà, illudendosi che due crisi possano avere cause e svolgimenti comuni soltanto perché le definiamo semplicemente “crisi”, mentre avremmo bisogno di terminologie più dettagliate e, ovviamente, diverse. Ostinarsi a semplificare è una follia, proprio come ipotizzare che due esseri umani possano essere perfettamente uguali e che con loro ci si debba rapportare nella medesima maniera.
Dalla Val spiega ottimamente tutto questo sottolineando anche che “se una relazione funziona, diventa subito un ruolo, per cui il ruolo diventa il posto di una funzione in un sistema”. E anche questo diventa un metodo per cercare di esorcizzare la paura che, in definitiva, non è soltanto il timore di sbagliare e di cadere, ma è soprattutto il timore di far vedere che si sbaglia e che si cade.
Eppure, proprio nell’azione del cadere e in quella del recuperare l’equilibrio si creano le condizioni per capire quello che sta accadendo. Quello che chiamiamo stress, fin quando è accettato, fino a quando può essere ritenuto connaturato alla nostra natura, è l’essenza della tensione degli uomini verso il miglioramento. Un’esplosione può essere distruttiva, ma anche la chiave per realizzare uno dei tanti motori a combustione interna che tutti noi usiamo senza neppure farci caso. E il carburante per questo motore non può essere altro che quello del recupero del valore delle cose e delle parole, oltre che la libertà di pensiero che – come è ben sottolineato nel libro – non significa “pensare quel che si vuole, bensì l’assenza di un padrone del pensiero che lo sostantifichi”. E continua: “Un pensiero libero è libero dal mondo, dal soggetto e dalla testa che lo limitano, lo addomesticano, lo frenano. Ma anche dal brainstorming, accozzaglia di pensieri, senza una logica, senza l’inconscio”.
In questo libro troviamo decine di esempi di come lo stress possa portare a idee innovative – e per ciò destinate a essere messe di fronte alla prova pratica – ma già in partenza molto promettenti anche perché capaci di aprire la mente a nuove prospettive che permettano di vedere il labirinto della vita da un punto di osservazione diverso, che può essere spiazzante, ma anche la chiave necessaria per trovare, tra le tante deviazioni possibili, la strada giusta.