UN PIONIERE DEL TERREMOTO INTELLETTUALE
Il terremoto che ha colpito l’Emilia, in particolare il 20 e il 29 maggio, è stato forte, per l’intensità delle scosse, ma anche per le conseguenze che ha prodotto nella vita di migliaia di persone e imprese, in un’area che contribuisce per l’1,8 per cento al PIL del nostro paese. Ma dobbiamo dire che ancora più forte è stata la risposta e la rapidità di imprenditori come lei, che hanno compiuto sforzi straordinari, insieme ai propri collaboratori, per garantire nuovamente la produzione a partire dal 28 giugno, a solo un mese dall’ultima scossa che aveva danneggiato gravemente gli edifici della Lameplast e della Health and Beauty di COC a Rovereto di Novi. Non a caso, lei è stato uno dei principali proponenti del Manifesto degli imprenditori per il terremoto intellettuale in Emilia Romagna (www.terremotointellettuale.it), che ha chiesto di eliminare i blocchi, prima di tutto burocratici, che ostacolano la ripresa…
Soprattutto i grandi compratori e la grande distribuzione non avrebbero aspettato oltre un mese e mezzo. Per questo ci siamo adoperati per mettere in sicurezza i nostri stabilimenti e ripartire alla fine di giugno: il giorno dopo il terremoto, una squadra altamente qualificata di tecnici, ingegneri e costruttori era già all’opera, solo così abbiamo potuto battere ogni record.
Come ricorda il Manifesto, siamo nella terra dei motori, dove nulla può rimanere fermo. E il riferimento a Enzo Ferrari, che ripeteva spesso lo slogan “Se lo puoi sognare, lo puoi fare”, è fondamentale in un momento in cui non abbiamo neppure un secondo per leccarci le ferite: proprio come un pilota, se cade e si fa male in una gara, deve raccogliere tutti i suoi sforzi per rimettersi in pista e proseguire il campionato, facendo meglio di quanto avrebbe fatto prima della caduta, per recuperare i punti persi.
Il colpo è stato durissimo ed è arrivato in un momento in cui molte aziende del territorio stavano ancora cercando di sollevarsi dagli effetti di una crisi mondiale senza pari. Ma vinceremo anche questa battaglia: non abbandoneremo questa zona che è il motore economico e sociale dell’Emilia. Crediamo nel territorio, nella forza dei nostri collaboratori che sono rimasti in azienda anche nei giorni più difficili e nei clienti che hanno dimostrato di voler continuare a scegliere Lameplast Group come partner strategico.
Dal 1976, il rilancio è stato alla base della riuscita del Gruppo Lameplast: anziché rincorrere il mercato, lo avete sempre anticipato, offrendo prodotti e servizi che i clienti a volte neppure immaginavano. Il risultato è che oggi il Gruppo fattura 41 milioni di euro, con 310 addetti e uno stabilimento a Miami, la prova che il talento italiano, unito a un’organizzazione snella e al rigore con cui seguite le procedure in direzione della qualità, è vincente. Oggi, i giovani che incominciano un’avventura imprenditoriale spesso si chiedono come possano individuare il business per il loro avvenire, come capire che cosa chiede il mercato. In che modo lei è riuscito a capirlo nel 1976 e, negli anni successivi, ciascuna volta in cui proponeva un nuovo prodotto?
All’inizio i miei soci, Evro Fabbri e Antonio Fontana, e io producevamo formati per macchine blisteratrici e stampi per la produzione di contenitori plastici per conto terzi. Quando decidemmo di realizzare prodotti a marchio Lameplast, dovevamo capire quali fossero le esigenze dei potenziali clienti. Seguendo il consiglio di un amico che aveva esperienza in diverse realtà industriali, una volta stabilito che il settore farmaceutico sarebbe stato quello a cui rivolgerci per mettere a frutto le competenze acquisite fino a quel momento, abbiamo fatto quello che tuttora, dopo oltre trentacinque anni, continuiamo a fare: andare a trovare i clienti e ascoltarli.
Questo anche quando non avevate nessuna referenza e nessun prodotto da proporre?
Certo. Nonostante, allora come ora, le aziende abbiano la tendenza ad affidarsi a rispettabili ricerche di mercato, banche dati, siti internet e altri strumenti, che possono avere una qualche utilità, nulla però può sostituire l’incontro. Ricorderò sempre quella settimana trascorsa a Milano, con la mia valigetta, per parlare con i responsabili di produzione e degli uffici acquisti delle più grandi case farmaceutiche. E la ricordano anche gli stessi clienti, che sono rimasti fedeli in tutti questi anni e naturalmente sono diventati veri e propri amici. Tra parentesi, la solidarietà espressa in seguito al terremoto – fino al punto in cui addirittura alcuni clienti hanno anticipato il pagamento per ordini che evaderemo nei prossimi mesi – è stata un’ulteriore prova di quanto la stima e l’amicizia siano cresciute sempre di più. È stato emblematico il gesto della Molteni Farmaceutici di proprietà della famiglia Seghi, che, oltre ad anticipare tutti i pagamenti degli ordini in portafoglio, ci ha donato un container, a riconoscimento della stima e dell’amicizia coltivate in vent’anni di partnership e collaborazione, in particolare con il direttore Roberto Angeli.
Tornando alle mie prime esperienze, durante gli incontri, mentre ascoltavo, raccoglievo le idee che poi avrei portato in produzione. Chiaramente, quando arrivavo in azienda, dovevo affrontare le resistenze dei tecnici che tendono a essere conservatori: la novità è accolta spesso con fastidio, soprattutto da chi ha consolidato un modello e spera di poterlo sfruttare il più a lungo possibile…
Anche in questo senso, si può dire che lei è stato un pioniere del terremoto intellettuale…
Sì, perché più che un modello, nel nostro Gruppo c’è un metodo: quello dell’elasticità, dell’assenza di schemi e di rigidità, che sono fatti apposta per rallentare il cammino dell’impresa e per negare le novità che ascoltiamo. Se nell’incontro con un cliente sorge un’idea per un nuovo prodotto, dobbiamo assolutamente renderla operativa, non aspettare che i tempi siano maturi, ma anticiparli, preparando il terreno perché l’innovazione venga recepita anche dal resto dei clienti. Naturalmente, nel corso di questi anni all’interno del nostro staff ci siamo dotati di un team di persone con grande volontà di crescita e in grado di collaborare lungo tutte le fasi produttive per lanciare soluzioni di imballaggio innovative. Tant’è che abbiamo vinto ben sette Oscar dell’Imballaggio (di cui tre mondiali) e depositato numerosi brevetti in tutto il mondo. Ecco perché il mercato ci percepisce capaci di progettare soluzioni inedite, distintive e di grande contenuto estetico. Ma, ribadisco, il know-how acquisito in tanti anni è frutto di un percorso di collaborazione con clienti che avevano esigenze e standard qualitativi elevatissimi, ai quali è stato molto impegnativo rispondere adeguatamente.
La stessa svolta per il Gruppo, che arrivò negli anni ottanta in seguito ai primi contatti in America, è frutto dell’ascolto di un suggerimento di un cliente, che c’indicò la strada per lavorare secondo una logica industriale: ci consigliò di non limitarci a essere semplici trasformatori di plastica, producendo contenitori, ma di dare un servizio completo al cliente, quello del riempimento. Questo nuovo approccio ci permise di lavorare con quelle multinazionali di cui oggi siamo veri e propri partner.
A proposito dell’America, sul nostro giornale lei ha messo a confronto il rapporto con le istituzioni che gli imprenditori sperimentano nei due paesi…
Un’area ad alta densità imprenditoriale come la nostra, mai come in un momento in cui è stata gravemente colpita dal sisma, è il banco di prova per capire fino a che punto si spinga la volontà delle istituzioni a far crescere le imprese o a farle soccombere.
Lo scenario che purtroppo nel nostro paese è riscontrabile da tutte le imprese in tutte le regioni non è confortante: la maggior parte delle volte in cui gli imprenditori si avvicinano alle istituzioni, trovano bastoni fra le ruote che frenano, anziché accelerare, il processo di sviluppo a cui essi stanno dando impulso, con sforzi a volte impensabili. Il paragone con gli Stati Uniti è improponibile: quando abbiamo costruito il nuovo stabilimento a Miami, per esempio, abbiamo incontrato in un giorno tutti i rappresentanti delle istituzioni – dal sindaco ai vigili del fuoco alle autorità sanitarie – i quali, in una sola mattinata, hanno deciso e concordato la certificazione e l’approvazione del nuovo progetto. A Novi di Modena quando ci siamo rivolti alle istituzioni locali per richiedere le autorizzazioni per lavori di ampliamento o nuove costruzioni dei nostri stabilimenti abbiamo trovato collaborazione e capacità di risolvere i problemi. Purtroppo, non è sempre così facile avere dalle istituzioni tanta partecipazione e molto più spesso si viene ostacolati dalle lungaggini burocratiche.
Questo è uno dei problemi principali delle imprese nel nostro paese: la mortificazione dell’iniziativa imprenditoriale, che si aggiunge allo scarsissimo sostegno alla ricerca e all’innovazione.
Mi auguro che chiunque andrà al governo dopo le elezioni del prossimo anno possa dare all’Italia quella credibilità che merita. Siamo uno dei paesi più invidiati al mondo per l’inventiva, le tecnologie e la capacità di adattarsi e reagire non solo ai drammatici eventi della natura ma anche ai problemi causati da anni di governi poco lungimiranti. Questa Italia è una risorsa meravigliosa che i nostri politici non possono distruggere.
La speranza di imprenditori che, come me, continuano a scommettere nel proprio territorio è che, dopo il terremoto, nulla sia più come prima, soprattutto i tempi della burocrazia, e che si vada al più presto verso la semplificazione delle leggi.