IL MANIFATTURIERO, RICCHEZZA DELLA NOSTRA REGIONE
Sefa Holding Group SpA, leader nella fornitura e nella lavorazione di acciai speciali, titanio e leghe nei settori costruzione stampi, packaging, aeronautico, racing e biomedicale – con un fatturato complessivo di 23,8 milioni fra le tre società Sefa Acciai Srl, Tig Titanium International Group Srl e Sefa Acciai Lavorazioni Meccaniche Srl –, in oltre quarant’anni di attività, ha registrato un trend di crescita costante, contribuendo alla valorizzazione di vari distretti manifatturieri del paese…
L’avventura del Gruppo Sefa è nata dal desiderio di mettere a frutto la formazione tecnica maturata in quella che fu un’eccezionale fucina di talenti, l’Istituto Aldini Valeriani di Bologna, dove imparai quanto è importante la manualità e le infinite combinazioni che si possono ottenere dalla conoscenza dei materiali e del loro impiego. Questi strumenti costituirono il mio biglietto da visita quando, alla fine degli anni sessanta, fui assunto alla Mazzoni Acciai, importante realtà nel settore della commercializzazione degli acciai, che da subito mi sollecitò a investire il mio entusiasmo alla conquista di un’estesa area geografica come la Toscana. I risultati arrivarono copiosi e le soddisfazioni non mancarono. Negli anni settanta, l’acciaieria austriaca Boehler, fino ad allora rappresentata in Emilia Romagna dalla Mazzoni, apriva la sede bolognese e cercava un responsabile vendite. Colsi l’opportunità, mettendo a frutto l’esperienza maturata negli anni precedenti e fu per me una scuola assolutamente stimolante, indispensabile per operare nel settore degli acciai speciali. Ma, alla fine degli anni settanta, avvenne l’incontro che cambiò gli esiti del mio itinerario. La Uddeholm, multinazionale svedese e leader mondiale nella produzione di acciai da stampi, voleva incrementare la sua presenza in Emilia Romagna. Anch’io avevo l’esigenza di raggiungere nuovi obiettivi nel settore e, quando il direttore commerciale della sede milanese mi fece l’offerta, accettai la sfida. Non dimentichiamo che la maggior parte degli oggetti di uso quotidiano nasce da una forma, che spesso si ottiene modellando un acciaio da stampo. L’entusiasmo non mi mancava e in breve tempo registrammo un forte incremento di fatturato, tanto che divenne necessario strutturare l’attività e pensare all’acquisto di un magazzino per rispondere alle crescenti esigenze del mercato. L’occasione si presentò nei primi anni ottanta con una piccola società di Zola Predosa, la Sefa Acciai, che aveva bisogno di un rilancio nel settore. Fu allora che entrai in società con l’acquisto di una parte delle quote di Sefa Acciai, che in pochi anni registrò un aumento dei volumi in maniera esponenziale, divenendo riferimento nella commercializzazione degli acciai da stampi. Nella seconda metà degli anni settanta in Emilia Romagna era molto forte la cultura della costruzione degli stampi. Così, rilevata l’intera quota della società, mi lanciai nell’avventura di investire in nuovi magazzini, in linea con lo sviluppo industriale del territorio emiliano-romagnolo e toscano. Soprattutto per la lungimiranza di un banchiere, interessato a quello che facevamo e che, nonostante la crisi degli anni novanta, si fece carico della mia richiesta, nel 1992, acquistammo l’attuale capannone di Sala Bolognese, ampliando la struttura e la nostra presenza sul mercato, con investimenti in macchine e magazzini automatici.
Nel 1998, c’era l’esigenza di trasformare alcune materie prime, in particolare per passare da prodotti ferrosi ad altri più nobili, leggeri e asettici, e cogliemmo l’idea lanciata da un primario produttore di macchine automatiche di modificare alcuni prodotti di acciaio inossidabile passando all’uso del titanio.
Constatammo presto che occorreva un’azienda specializzata nelle nuove tendenze, che consentisse di diversificare i prodotti e di approdare a nuovi mercati emergenti. Grazie a un incontro in una fiera del settore, trovammo la soluzione a questo progetto rilevando le quote di una giovane e ancora non delineata società, quella che oggi è la Tig, Titanium International Group Srl.
Subito, grazie alla stima e all’amicizia di ex colleghi, riuscii a presentare la qualità delle nostre lavorazioni a uno dei più importanti produttori mondiali di titanio e leghe nikel, come Thyssenkrupp Titanium GmbH, con il quale sottoscrissi un accordo di agenzia in esclusiva come distributore e stockista aeronautico. Nel 2000 contavamo venti clienti, oggi sono più di trecento nella divisione Tig, fra Italia e estero, e tutti di altissimo spessore tecnologico.
L’altro fiore all’occhiello del Gruppo Sefa è la Sefa Acciai Lavorazioni Meccaniche Srl, che, nata alla fine degli anni novanta, vanta un’alta specializzazione nella lavorazione degli acciai da stampo su disegno del cliente e offre così valore aggiunto al prodotto che vende.
La prospettiva oggi sembra essere quella di delocalizzare, investendo nei paesi in via di sviluppo, oppure cedere la propria azienda a multinazionali straniere. C’è una terza via?
Sicuramente occorre incentivare lo sviluppo delle nostre eccellenze oltre i confini nazionali, secondo criteri di globalizzazione, ma simultaneamente è necessario promuovere e sostenere il tessuto delle attività storiche del paese che hanno, per vocazione, una grande percentuale di fatturato nel mercato interno, lo strumento dell’accesso al credito ne è un esempio. Inoltre, è importante che le aziende abbiano la possibilità d’investire in macchinari avanzati per essere competitive nel mercato globale. Negli ultimi anni, soprattutto dal 2008, chi ci amministra ha dimenticato l’esistenza del comparto manifatturiero, che invece è importantissimo perché ha sempre costituito la ricchezza della nostra regione incentivando l’apertura di tante piccole attività, spesso da parte del capo officina o dei tecnici che, con la loro manualità e capacità d’imparare un mestiere hanno arricchito il territorio. L’altro settore in cui occorre investire è quello delle materie prime. Questo paese non ha materie prime, per cui oggi assistiamo a sintomi di collassamento, che vuol dire magazzini sottoscorta, e anche questo incide nello sviluppo del manifatturiero. Non è un caso che, attualmente, nel nostro settore registriamo la tendenza a diventare meri prestatori d’opera, con l’acquisto di ore di manodopera italiana qualificata ad esempio da parte di aziende tedesche, che così stabiliscono le regole del gioco. Tanto più perché la nostra specializzazione è il risultato di una formazione culturale tecnica maturata in anni di ricerca e di esperienza, che ha quindi un valore economico difficilmente quantificabile.
Dobbiamo chiederci cosa ci guadagniamo, se in questo modo diventiamo sudditi o se siamo ancora liberi. È un dato incontrovertibile che alle aziende tedesche vendiamo pochissima materia prima rispetto a quella che potremmo vendere se non subissimo l’imposizione dei loro capitolati. Il pericolo è di ritrovarci ancora più poveri, senza un prodotto nostro, che valorizzi la nostra cultura, che, invece, rischiamo di perdere per sempre. Non è così che si favorisce lo sviluppo delle nostre imprese. Occorre una politica industriale a sostegno del manifatturiero, un rispetto di chi produce e mette al servizio della collettività capacità che creano ricchezza. È chiaro che altrimenti non c’è futuro per il sistema paese. Accesso al credito, innovazione di macchine e investimento nelle materie prime: questa è la politica che può sostenere e rilanciare le nostre imprese. Non è con le attività stagionali o con i mega centri commerciali che si crea ricchezza.
Qualche volta potrebbe essere mortificante fare l’imprenditore oggi perché, nelle condizioni attuali, è impossibile premiare la professionalità e la dedizione di collaboratori validi, così come investire in macchinari e attrezzature d’avanguardia che, insieme alla capacità tecnica, permettono di essere competitivi e innovativi nel mercato.
Il manifatturiero langue anche perché la burocrazia è contro le aziende quando scoraggia l’assunzione di giovani da avviare al “mestiere”.
Ma per capire l’importanza che attribuiamo alle persone, basti pensare alle decine di nostri clienti che hanno prosciugato i loro risparmi pur di salvare i dipendenti e il patrimonio intellettuale della propria azienda.
Così abbiamo fatto anche noi, nel periodo buio del 2009, raccogliendo risorse economiche e presentandoci al sistema bancario con un programma che nell’arco di due o tre anni avrebbe fatto tornare in equilibrio il fatturato. Abbiamo fatto ricorso addirittura a un mutuo chirografario fra dipendenti e amici e i risultati del bilancio 2011 ci hanno dato soddisfazioni nel raggiungimento degli obiettivi, peraltro confermati positivamente nel primo semestre 2012.
Nella città del secondo rinascimento la cultura e la cultura tecnica non sono alternative…
Le nostre aziende manifatturiere hanno un patrimonio culturale che, se non è tenacemente difeso, si disperde per sempre e anche le grandi industrie (quelle nazionali che si mettono ai posti di comando), senza l’apporto di un florido e vivace settore manifatturiero, non vanno lontano.
Pertanto, anche gli industriali devono rimettersi in discussione e non perdere occasione per investire nel rilancio della cultura tecnica, individuando filoni di attività di eccellenza e valorizzando le scuole tecniche, che restituiscono questi investimenti con gli interessi, offrendo un beneficio che apparentemente non è quantificabile ma che è destinato a restare come patrimonio delle prossime generazioni.