LA RESPONSABILITÀ, LA CAPACITÀ, L’EFFICACIA

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Qualifiche dell'autore: 
psicanalista, cifrematico, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Responsabilità, capacità, efficacia sono significanti che sembrano completamente spariti dallo scenario civile, culturale, economico e finanziario. Nell’irresponsabilità e nell’incapacità di ognuno, a dettare legge e a stabilire l’etica sembrano rimasti la crisi, i mercati, la speculazione, come se fossero personificazioni, soggetti agenti, forze oscure, quasi divinità ineluttabili. Gli stessi fenomeni meteorologici vengono nominati e personificati: l’aumento della temperatura è chiamato Caronte, poi Minosse. Siamo tornati ai tempi dell’antica Roma, in cui, anziché “piove”, si diceva “Zeus piove”… Animazione, personificazione, paganesimo e, dunque, idolatria. Questa individuazione e questa rappresentazione del soggetto agente comportano in realtà l’irresponsabilità, l’incapacità, l’inefficacia di ognuno. Pertanto, “ciascuno” non esiste più, esiste solo “ognuno”. Ognuno subisce questi animali fantastici, queste fatalità, queste divinità dell’economia, del mercato, della natura. Eppure, Freud, già nell’anno 1925, nelle note aggiunte all’Interpretazione dei sogni, intitolava un breve saggio La responsabilità morale per il contenuto del sogno. In tale scritto, egli afferma che, innanzi al contenuto di sogni violenti o erotici, per esempio, siamo portati a pensare che essi non dipendano da noi, ma in effetti non è così: Freud dice che noi siamo responsabili di questi sogni. Perché – sostiene – certamente vengono dall’Es, ma “sarebbe un’impresa vana, per qualsiasi intento vitale, cercare di separare l’Io dall’Es”. Stabilendo una responsabilità rispetto al sogno, Freud avanza un concetto di responsabilità inconscia. E non riscontra nessuna responsabilità della coscienza nel sogno, anzi sembra che la coscienza sia proprio ciò che fugge dalla responsabilità. In buona coscienza, infatti, “Non spetta a me fare questo”, “Lui, non io, è responsabile di tutto ciò”, “È tutta colpa della crisi”. Ed ecco, allora, il soggetto irresponsabile che delega all’Altro immaginario la responsabilità delle cose, dei pagamenti, della vendita, della scrittura. Oppure, “Io più di così non riesco a fare”, “Questo va oltre le mie possibilità”. Ecco il soggetto incapace, che non è capace di fare, non può fare, non riesce a fare, non sa fare. E se fa, è solo perché è costretto, secondo la credenza nel plagio, nella costrizione intersoggettiva. Con questi presupposti, per chi si crede soggetto irresponsabile o incapace, impossibile giungere all’efficacia o alla qualità. Nella parola originaria, di cui l’inconscio è la logica particolare, la responsabilità, la capacità e l’efficacia sono assolute, imprescindibili. Già Freud scriveva: “L’esperienza dimostra che io mi assumo questa responsabilità comunque; che, in un modo o nell’altro, vi sono costretto”. In altri termini, anche cercando di evitare questa responsabilità, occorre affrontarla: quel che è eluso non può essere evitato, è impossibile non fare i conti con quel che resta inanalizzato. Come indica ciò che sta accadendo nello scenario economico e politico. Come divenire caso di qualità? Nessuna riuscita senza la responsabilità, la capacità e l’efficacia. Ma di quale responsabilità si tratta? Non la responsabilità soggettiva, personificata, individuale o collettiva. La cifrematica sottolinea che la responsabilità è della legge, la capacità è dell’etica e l’efficacia è della clinica. Nessuna deresponsabilizzazione o giustificazione, ma un modo per evidenziare che legge, etica e clinica sono strutturali, istanze della parola originaria, non sono virtù del soggetto, non sono a nostra disposizione. Se fossero del soggetto, noi potremmo sottrarci, metterci in condizione di evitarle: il soggetto sarebbe capace o non capace di fare, responsabile o non responsabile di fare, libero di decidere cosa fare e cosa non fare. Dire che la responsabilità non è del soggetto, ma della legge, non ci esime dalla responsabilità: l’unico modo per esimerci sarebbe poter dire che essa è del soggetto. Così l’etica e la clinica: se fossero nostre facoltà, noi potremmo limitarle, sceglierle, preferirle, eluderle, evitarle. La legge della parola è il compimento della sintassi e della sua scrittura, della funzione di nome, della funzione di padre. La legge s’instaura perché la funzione di padre, la funzione di nome, si scrive, e questa scrittura si compie. Nessuna responsabilità senza la funzione di padre, senza la funzione di nome, idealmente aboliti da chi si dimette, delega o abdica. La capacità della parola è il compimento della frase e della sua scrittura, della funzione di significante, della funzione di figlio. L’etica sancisce che la funzione di figlio, la funzione del significante si scrive, e questa scrittura giunge a compiersi. Nessuna capacità senza la funzione di figlio, per cui la personificazione del figlio, l’essere figlio, comporterebbe l’incapacità, e l’etica si volgerebbe in morale. “Io ho questa morale”, “Ognuno ha la sua morale”: così ognuno potrebbe limitarsi alle proprie capacità, come si limita alla propria moralità. Chi insegue una propria moralità è incapace, ovvero indifferente all’etica, all’istanza della differenza pragmatica nella parola, all’istanza di conclusione della scrittura frastica. Allora non intende nulla, non fa nulla, vive nell’impasse. Si fa soggetto della mancanza, così come chi non assume la responsabilità si fa soggetto della castrazione. La legge è il compimento della scrittura sintattica e l’etica è il compimento della scrittura frastica: se non intervengono la legge e l’etica, non si compie nulla di ciò che, lavorando e trovando, facciamo. Sottolineare che la responsabilità è della legge e la capacità è dell’etica comporta che nulla si compie se non s’instaurano la responsabilità e la capacità. Non si conclude nulla. Non si combina niente. Il caso di qualità esige anche il terzo compimento, la clinica (dal greco klino, piega), la piega della parola, il compimento della scrittura del fare, sulla via della qualità. Per questo il caso clinico è caso di qualità, non è caso patologico, come prova l’articolo di Uwe Henrik Peters a proposito di Robert Schumann in questo numero della rivista. Il soggetto patologico è senza la clinica, non giunge al fare, resta nell’indaffaramento, in assenza di efficacia. Il soggetto che non giunge all’efficacia è il soggetto debole, la creatura del cortocircuito filosofico-giudiziario. Il soggetto debole va rafforzato, bisogna dargli gli psicofarmaci, bisogna rinvigorirlo, bisogna animarlo. Il soggetto debole è il soggetto moribondo che va animato. L’incapacità, l’irresponsabilità, l’inefficacia sono deleghe al potere dell’Altro. Per chi si professa irresponsabile o incapace l’Altro immaginario è presunto avere il potere di fare. Per cui è inteso totalmente come sacrale, quindi diabolico o divino. Sacrale è chi può affossare l’impresa con le sue decisioni malsane, oppure salvarla perché fa il gesto titanico. Altra cosa dal sacro, dall’atto di parola, dalla parola in atto. Il sacro è la parola che diviene qualità. Con il dire, il fare, lo scrivere, in assenza di soggettività, si giunge al caso di qualità. Quando non ci si attiene ai propri limiti o a quelli dell’Altro, ma alle istanze di responsabilità, di capacità e di efficacia dell’esperienza.