LA FIDUCIA, BASE PER LA RIUSCITA
La via della cifra, la via della qualità, è preclusa a chi si abbatte. Come notava l’economista Roberto Ruozi già al convegno La riuscita (Borsa Merci di Modena, 29 marzo 2009), quella che da settembre 2008 chiamano crisi è soprattutto una crisi di fiducia, frutto della volontà politica di mettere in ginocchio le piccole e medie aziende che rappresentano il 95 per cento della nostra economia, per fare incetta del patrimonio di cultura e tecnologia che esse hanno costituito dal dopoguerra a oggi e imporre standard che puntano all’omologazione, funzionale all’ideale dell’impero.
Quale proposta si può avanzare in questo momento per la valorizzazione del capitale intellettuale sia all’interno sia all’esterno delle piccole e medie imprese?
Nonostante le condizioni economiche generali del mercato e le difficoltà di accedere al credito e di ottenere pagamenti puntuali – non soltanto dallo stato, ma anche dallo stesso mondo industriale –, non bisogna scoraggiarsi, anzi, servono massicce dosi di fiducia, in noi stessi e nei nostri uomini, nella nostra capacità, insieme a loro, di navigare l’onda di questo tsunami finanziario e globalizzante. Proprio perché è in corso una battaglia cruenta per demolire il nostro tessuto economico, dobbiamo avere fiducia gli uni negli altri e non possiamo permetterci di operare per compartimenti stagni, né all’interno né all’esterno delle aziende. È inaccettabile e non ha alcun senso la diffidenza in cui c’imbattiamo talvolta quando avanziamo proposte per la costituzione di reti d’impresa, come se fossimo tutti in concorrenza: nel nostro settore, per esempio, se confrontiamo le nostre competenze con quelle dell’azienda che viene considerata la nostra maggiore concorrente, notiamo che solo il 40 per cento sono sovrapponibili. Questo vuol dire che, per sviluppare il mercato di quel 60 per cento di competenze non sovrapponibili, potremmo addirittura programmare azioni di co-marketing. Mentre per il restante 40 per cento di competenze sovrapponibili, potremmo competere lealmente. A meno che non ci sia l’assurda presunzione di servire la totalità del mercato in esclusiva, ciascuno ha molteplici opportunità, mantenendo una propria specificità.
Circa due anni fa, a Praga, ho partecipato, come rappresentante dell’Italia, alla riunione dell’Eurolab, la federazione delle associazioni dei laboratori dei paesi europei, dove si discuteva delle normative da introdurre. Quando intervenni per rilevare che, se fossero state approvate integralmente tutte le normative relative all’European Accreditation, i piccoli laboratori italiani, spesso formati da cinque o sei persone, non sarebbero mai riusciti a rispettarle e sarebbero morti, mi risposero che i piccoli laboratori dovevano morire, anzi erano già morti, perché non avevano sufficiente massa intellettuale. Cercai di far capire che la realtà italiana è completamente differente ma, allora come ora, ci vuole ben altro per contrastare una volontà politica.
A distanza di due anni, abbiamo pensato di sviluppare una strategia di partnership, incontrando i titolari di piccoli laboratori che fanno uno dei nostri mestieri – centri di taratura, prove non distruttive o analisi dei materiali – e che, avendo dimensioni e quindi strutture inferiori alla nostra, non hanno il tempo di cercare collaborazioni. Verifichiamo le rispettive mappe delle competenze, oltre che il loro impatto sul territorio di residenza e poi stabiliamo accordi che consentono a ciascuno di crescere e di fare gruppo in modo da arginare l’ingresso di competitors dall’estero. Se, per esempio, un laboratorio si trova a Napoli, per alcuni servizi noi non abbiamo la convenienza economica a servire quel territorio, ma per la parte di competenze non sovrapponibili, se il laboratorio di Napoli riceve commesse non strettamente vincolate territorialmente, anziché rifiutarle, può acquisirle per affidarle a noi. E lo stesso possiamo fare noi per le commesse che partono dal nostro territorio, riguardanti servizi in cui non abbiamo una competenza specifica. Abbiamo già incontrato dodici piccoli imprenditori e stiamo definendo le condizioni economiche alla base di ciascun accordo.
In effetti, la cifra si raggiunge procedendo per integrazione, non per omologazione o per unificazione…
Ma per questo è molto importante l’incontro, anche per renderci conto della ricchezza intellettuale, oltre che economica e finanziaria, insita nella differenza e nella varietà del nostro patrimonio imprenditoriale, una ricchezza che non possiamo permetterci di eliminare. Mai come oggi siamo connessi con media di tutti i tipi, eppure, mai come oggi le connessioni tra le persone sono così difficili da stabilire e c’è una forte tendenza a mettersi sulla difensiva. Il rischio, a lungo andare, è di provocare una demotivazione generalizzata, che può portare l’imprenditore anche alla considerazione di avere già raggiunto obiettivi soddisfacenti e, pertanto, alla decisione di abbandonare.
D’altra parte, sappiamo che la politica non aiuta a motivare chi lavora e chi intraprende. Se prendiamo la riforma del lavoro, per esempio, per quanto fosse necessaria, non è l’introduzione o la soppressione di una norma a creare o a salvare un posto di lavoro, è piuttosto il sostegno agli investimenti e all’innovazione e l’iniezione di fiducia nel sistema, per fare in modo che gli imprenditori possano inserirsi immediatamente nei varchi che si aprono, in un mercato globale in cui le previsioni stanno diventando pressoché impossibili. Se c’è ancora chi non si rende conto a che punto siamo arrivati, la partita è persa o, peggio, siamo costretti a condurre una battaglia con un esercito che non ha capito di trovarsi su un campo di battaglia. Siamo distantissimi dai tempi in cui i nostri imprenditori combattevano insieme e arrivavano persino a costituire banche o forme di credito parallelo per sostenere lo sviluppo delle proprie imprese.