COSTITUIAMO ALLEANZE PER UN SECONDO RINASCIMENTO
Quest’anno ricorre il trentesimo della sua attività di imprenditore in Emilia Romagna, dove, nel 1990, ha fondato la società di servizi Global Service Commerciale, attualmente concessionaria ufficiale di Cat Lift Truks in alcune province della regione (come si può leggere nelle interviste pubblicate nei numeri precedenti del nostro giornale e sul sito www.lacittaonline.com). Considerando che lei ha continuato a investire, nonostante il momento di grandi cambiamenti nell’economia globale, ampliando i servizi di logistica offerti dall’azienda, quale testimonianza può dare per il proseguimento dell’impresa italiana?
Quando decisi di mettermi in proprio, non avevo scelta: avevo l’esigenza di pensare in modo nuovo e libero. E, oggi più che mai, chi ha un’azienda in Italia non ha alternative: non può fermarsi, deve inventare nuove combinazioni e fare investimenti mirati a favorire nuove strategie. Gli imprenditori italiani sanno meglio di altri che l’impresa ha dimostrato grande capacità d’invenzione proprio nei momenti più difficili. Certo si dovrebbe attuare una politica di rilancio delle imprese nel nostro paese, anziché incentivare il ruolo della burocrazia, che asfissia sempre di più il privato. Per non parlare degli enormi crediti che le aziende vantano nei confronti dello Stato, con la conseguenza che sono costrette a sottoscrivere un’autorizzazione allo sconto sul dovuto generale, pur di non perdere il loro incasso. Questo per dire che le aziende che lavorano per enti pubblici hanno un problema d’insolvenza che si aggiunge alla già difficile congiuntura economica.
Ancora una volta, è evidente che i problemi non sono all’interno delle aziende, ma al loro esterno, con il risultato che, come non era mai accaduto prima, quasi tutte le settimane ci sono imprese che sono in liquidazione o chiudono. In alcuni casi falliscono pur di non licenziare, o sono imprenditori che hanno messo in gioco i risparmi di una vita per evitare il peggio.
Sarebbe il caso che i media smettessero di diffondere le loro dosi di terrorismo quotidiano, facendo passare per informazione quella che sarebbe più giusto chiamare disinformazione, e che incominciassero a dare notizia delle aziende che producono eccellenze e devono condurre in solitudine una battaglia incessante per affermare i loro prodotti sul mercato nazionale e internazionale.
Quali sono gli aspetti che, secondo la sua esperienza, occorre cambiare in modo radicale?
La burocrazia italiana è molto rigida, ne sono un esempio gli studi di settore che descrivono la situazione delle imprese spesso in modo assolutamente divergente rispetto alla realtà. In alcuni casi, ho l’impressione che la crisi sia divenuta il pretesto per nuove forme di statalismo, anziché essere l’occasione per attuare nuove politiche di sostegno al tessuto produttivo del nostro paese, attraverso una serie di incentivi e misure che consentano di realizzare le infrastrutture di cui ormai si parla da decenni e che potrebbero comportare anche un rilancio del turismo, oltre che favorire il trasporto su rotaie. L’Italia è ancora un paese ricco di risorse e non si dovrebbe permettere che lo sviluppo del nostro meridione rimanga bloccato quando ci sono tante persone che hanno voglia di lavorare. Si continua a vendere le imprese più rappresentative del nostro made in Italy senza chiedersi quali saranno gli effetti per il nostro paese quando la loro direzione sarà all’estero. Nel campo della meccanica, oltre alla Ducati, che è stata venduta di recente all’Audi, chissà a quante altre realtà è toccata la stessa sorte. Perché devono accadere cose di questo genere, nonostante la meccanica italiana sia all’avanguardia a livello mondiale?
Penso che in questo momento sia essenziale dare più fiducia alle persone. In fondo, questa è la lezione dei paesi dell’Europa meridionale, come Spagna, Grecia e Italia, in particolare, che da sempre hanno scritto la storia con le imprese di pochi uomini.
Cosa possono fare gli imprenditori?
Dovrebbero fare lobby e costituire alleanze per un secondo rinascimento italiano, prima che le nostre imprese siano costrette a lasciare il territorio per consegnarlo, di fatto, a un destino di sussidi da parte della germanizzata UE. L’unica esperienza che ha attuato una vera logica di sostegno è quella cooperativa, mentre i singoli imprenditori si trovano in un rischio assoluto. Se un imprenditore chiude l’azienda, non ha la cassa integrazione che lo sostiene e, se fallisce, perde persino il diritto di essere titolare di un conto corrente bancario. Il fallimento di un’impresa in Italia è ancora considerato un atto criminale, mentre in altri paesi può dare il via all’apertura di una nuova attività che metterà a frutto quello che si è imparato nell’esperienza precedente. Questo è un aspetto importante da considerare. Stiamo tornando indietro di cinquant’anni, favorendo il divario tra il ricco e il povero e quindi annientando la classe media, che è sempre stata quella che ha prodotto ricchezza.