MACHIAVELLI, LA PAROLA, L’IMPRESA
Ho letto con piacere il libro di Sergio Dalla Val In direzione della cifra. La scienza della parola, l’impresa, la clinica (Spirali), soffermandomi in particolare su due capitoli che hanno qualche attinenza con le mie esperienze di manager, di consulente e di imprenditore, seppure in aziende di piccole dimensioni: un capitolo riguarda l’economia e la finanza e l’altro la figura di Niccolò Machiavelli, presentato nel libro come un brainworker, un capitano d’impresa secondo la cifrematica.
In particolare nel periodo in cui ero consulente, facevo spesso riferimento a Machiavelli, ovviamente adattando i suoi insegnamenti alla nostra epoca. La figura del principe trova il suo riscontro oggi in quelle del manager e dell’imprenditore: in molte occasioni, di fronte a problemi pratici che si presentano nell’azienda, è molto importante ispirarsi al Principe, come fa il libro di Dalla Val. Per esempio, se ci chiediamo come deve comportarsi l’imprenditore rispetto a una decisione che va contro una sua idea personale in campo etico o politico, il riferimento al Principe è immediato. Io sono ancora convinto che il compito primario di chi guida l’azienda sia quello di assicurare la riuscita, non solo in termini di profitto, ma anche rispetto a un insieme di istanze collegate all’impresa, e non solo per i dipendenti e gli azionisti, perché la definizione di stakeholder si estende a tutto l’ambiente in cui l’azienda opera: l’amministrazione comunale, i sindacati, i fornitori, i professionisti con cui collabora. L’impresa deve essere condotta in modo tale da ottimizzare tutti questi elementi, ma non deve venir meno il profitto, altrimenti questa combinazione non si realizza e si crea solo lo scontento collettivo.
Nell’ambito dell’Unione Cristiana Imprenditori Dirigenti, si vuole fare coincidere l’etica dell’imprenditore, intesa soprattutto in senso cristiano, con la convenienza e il bene dell’azienda, ma fra questi termini talora si produce un contrasto, per questo le indicazioni di Machiavelli sono preziose. Se per motivi etici interviene una ribellione interna incompatibile con le decisioni dell’imprenditore, egli deve farsi da parte, perché la responsabilità nei confronti di tutti gli stakeholder, che dipendono dalla sua decisione, ha un peso maggiore della sua idea personale, anche politica. Il manager, l’imprenditore deve spersonalizzarsi completamente, prendere le distanze dalle proprie idee politiche e perseguire gli interessi dell’azienda.
Ma leggiamo ciò che scrive Machiavelli a proposito del cambiamento, in un brano del Principe che avevo pubblicato sul depliant di presentazione della società di organizzazione che dirigevo anni fa: “E debbiasi considerare come non è cosa più difficile a trattare, né più dubbia a riuscire, né più periculosa a maneggiare, che farsi capo a introdurre nuovi ordini. Perché lo introdurre ha per nimici tutti quelli che delli ordini vecchi fanno bene, e ha trepidi difensori tutti quelli che degli ordini nuovi farebbono bene”. Questo è un insegnamento moderno, se pensiamo che la riforma delle pensioni che si trascinava da anni è stata fatta in dieci giorni, in un momento di grande emergenza: se non si crea l’ambiente adatto per cambiare, non si riesce a farlo. Ma allora è essenziale la parola, bisogna dirlo che occorre cambiare, diffondere con la parola questa esigenza nei corridoi, nella mensa dell’impresa, al bar, perché è importante preparare il terreno per attuare il cambiamento.
Per sottolineare l’importanza della parola, pensiamo al termine spread: perché, nonostante sia una parola come tante, è diventata così popolare? Per cambiare occorre introdurre sempre parole nuove, creare l’ambiente del cambiamento attraverso la sfida, talora facendo ricorso a termini dell’ambito sportivo: quando è stata fatta la riforma delle pensioni oppure la battaglia degli spread, sembrava quasi che fossimo alla scadenza di una finale di Coppa Europa, magari con l’arbitro tedesco. Se non si fosse creata questa atmosfera, non saremmo riusciti nell’intento, anche se c’è stata la spinta non indifferente di un’altra parola nuova, “bancata”: la bancata di miliardi – 1000 miliardi, la metà del debito pubblico italiano –, che Draghi, dalla sera alla mattina, ha reso disponibile per le banche all’1 per cento d’interessi, è stata veramente determinante.
Ecco la potenza, ma anche l’equivoco, delle parole. La bozza presentata in Parlamento per la riforma del lavoro, per esempio, distingue la flessibilità buona da quella cattiva. Ma qual è la differenza tra precarietà e flessibilità? Se la precarietà nasce dalla flessibilità, che pure è necessaria, se c’è una flessibilità buona e una cattiva, deve esserci anche una precarietà buona e una cattiva. Eppure, secondo la bozza, la precarietà buona non esiste, esiste solo quella cattiva, che impedisce ai giovani di ottenere un’assunzione a tempo indeterminato e quindi va contro il concetto di flessibilità buona.
Ecco un esempio di quella magia delle parole in cui la politica è maestra. Io cerco di sfuggire a queste contrapposizioni, ma ritengo che a un certo punto debbano essere individuate seriamente, magari anche grazie alla cifrematica.