SCOMMETTIAMO SULLA PROPENSIONE AL RISCHIO DEI GIOVANI
Nell’ambito del convegno I giovani modenesi tra istruzione, formazione professionale e lavoro: linee di tendenza e politiche di intervento (Provincia di Modena, 28 febbraio 2012), lei ha sottolineato l’esigenza di ascoltare i giovani, per poter programmare proposte mirate al contesto socio-economico e culturale in cui vivono…
In vent’anni di militanza politica, il mio interesse per la questione giovanile è rimasto costante e sono giunto alla conclusione che il vero problema sia capire quali sono gli strumenti attraverso i quali una generazione riesce ad analizzare se stessa. Per questo penso che il sistema educativo dovrebbe avere un approccio interrogante nei confronti dei giovani. Il fatto che le nuove generazioni abbiano valori diversi non significa che siano senza valori, la questione è come favorirne la consapevolezza, per questo è importante semplicemente interrogarli, non limitarsi a formare le competenze tecniche – per quanto importanti siano oggi nel mercato del lavoro –, ma favorire la capacità delle persone di rispondere prontamente alla trasformazione, attraverso la conoscenza delle proprie abilità e la possibilità d’intervenire per sostenerle e rinforzarle. Penso che le due domande principali da porre a un giovane siano: “Cosa vuoi fare da grande?” e “Quali sono per te le cose più importanti della vita?”.
Spesso, i giovani non riescono a dare una risposta concreta alla prima domanda, nonostante alcuni genitori la pretendano molto presto. Gli stessi giovani, cimentandosi invece in qualche attività, se trovano dispositivi pragmatici che li accolgono, mettendosi in gioco, si rivelano in grado di fare cose straordinarie…
Infatti, durante i colloqui con giovani alla ricerca di lavoro, notiamo un’insicurezza di base che li porta a considerare il lavoro come un mero posto da occupare, anziché come un’opportunità di crescita professionale e di realizzazione personale, coerentemente con il proprio corso di studi e la formazione acquisita o da acquisire. Questo approccio rende molto difficile capire quali siano i talenti specifici di ciascuno che potrebbero essere valorizzati e quali aziende potrebbero valorizzarli. Quindi, sicuramente è importante favorire attività, anche di volontariato, in cui i giovani possano esplorare le loro propensioni, i loro interessi e le loro abilità.
Nella Silicon Valley non cercano i giovani secondo i bisogni dell’azienda, ma durante il colloquio chiedono a ciascun giovane cosa sa fare, quali sono le sue idee e, se le trovano interessanti, sviluppano nuovi rami di attività a partire proprio dal contributo che il giovane può dare per aumentare la produttività, l’innovazione e la qualità…
Sono nato nel ‘76 da padre artigiano e per me il lavoro è l’elemento fondamentale della persona, ma non è più così per le nuove generazioni. Dobbiamo ammetterlo, se vogliamo attivare politiche per l’orientamento efficaci. Uno dei problemi con cui dobbiamo confrontarci è quello di organizzare l’orientamento a partire dalla propensione individuale a interrogarsi sul proprio futuro, anziché dalla media del rendimento scolastico come principale indicatore dell’indirizzo da seguire dopo le scuole medie inferiori, come avviene attualmente. E i risultati di questo approccio si vedono, sono terrificanti: basta prendere un dato come la presenza di figli di coppie straniere nelle nostre scuole. La differenza tra le percentuali nei licei, negli istituti tecnici e nei professionali è tale che si passa da percentuali bassissime, intorno al 2 per cento, nei licei al 60 per cento nei professionali. Stiamo legittimando una logica tipica di una società razzista, che permette che il censo e la mancanza di coesione sociale limitino la valorizzazione dell’individuo e mettano in secondo piano le capacità e l’intelligenza delle persone. Dobbiamo trovare un modo diverso, sarà complicato e lungo, ma possiamo imparare dal fatto che nella nostra storia territoriale abbiamo portato scuole come il Professionale “Corni” e il Tecnico Industriale “Fermi” a un livello talmente alto da attrarre figli della classe dirigente della nostra provincia. La scuola può svolgere un ruolo importante per la società, perché la conoscenza è un fattore straordinario per creare mobilità sociale, se usata nel modo esattamente opposto a quello attuale.
Al convegno che citavamo all’inizio, si è parlato anche di propensione al rischio da parte dei giovani…
Certamente è necessario sostenere chi dimostra propensione al rischio progettuale, aiutandolo a giocare un ruolo diverso nel mercato del lavoro, come imprenditore o libero professionista. Purtroppo, uno studio recente che chiedeva ai giovani quale fosse la loro proiezione nel mercato del lavoro ha sottolineato una forte polarizzazione tra i molti, più dell’80 per cento dei ragazzi, che preferiscono un posto di lavoro sicuro con un basso salario, e i pochi che prediligono condizioni economiche più interessanti a fronte di una maggiore esposizione al rischio. Ma, se non fa proiezioni per il proprio futuro, se non scommette sull’avvenire, quale può essere il destino di una generazione? Che cosa è subentrato al posto del valore del lavoro, che aveva consentito a questo territorio di passare dalle tremila aziende dell’inizio degli anni quaranta ai sedicimila insediamenti artigianali venti anni dopo? Il miracolo economico degli anni sessanta è stato la prova che un’intera generazione può prendere decisioni determinanti per il cambiamento grazie alla sua propensione al rischio e alla sua capacità di proiezione nel futuro. Oggi non è più così, ma chi ha un ruolo attivo e direttivo sul territorio deve fare da sentinella per verificare dove ci sia voglia di costruire e dare adeguato sostegno, evitando l’assistenzialismo, che ha sempre creato danni. Non basta una delibera o una legge, occorre provocare un dibattito culturale, perché Modena è una città benestante che di fronte alle difficoltà tende a privilegiare la conservazione dello status quo.