ARTIGIANI E COMMERCIANTI: LA RICCHEZZA DELLA CITTÀ
Consigliere nazionale dell’Accademia dei Sartori in Roma e presidente del Circolo dei Sarti di Bologna, Norberto Cremonini, da oltre mezzo secolo diffonde in Emilia Romagna eleganza e stile italiani attraverso l’antica arte del sartore, che si celebra a Bologna da oltre settant’anni in occasione della ricorrenza di Sant’Omobono, santo protettore di sarti e mercanti. L’artigiano e il commercio. Lei ha incominciato con l’attività artigianale, una risorsa per le città…
Ho inaugurato la sartoria a Bologna, il 20 agosto 1952, al numero 17 di via Cesare Battisti, e oggi, dopo sessant’anni, il laboratorio è ancora attivo nello stesso indirizzo. Io faccio l’artigiano, mentre i miei figli, Marco e Massimo, hanno sviluppato l’esperienza nel settore dell’abbigliamento con l’attività commerciale.
Oggi c’è bisogno di ritornare all’artigianato, che è stato messo in crisi dall’ideologia del “tutto e subito”. Ma la differenza si coglie immediatamente nei capi sartoriali perché, diversamente da quelli confezionati, sono fatti per vestire e non si limitano a coprire. La confezione è nata solo cinquant’anni fa, prima tutti andavano dal sarto per vestirsi. Quando sono arrivato a Bologna, c’erano circa duecento sartorie, attualmente invece sono pochissime. Nonostante si registri una diminuzione delle vendite nel settore dell’abbigliamento industriale, l’artigianato sartoriale continua a rispondere alle esigenze del cliente perché, a differenza dell’industria, può riparare e rielaborare. Ma la mentalità corrente non incentiva i giovani a intraprendere quest’arte, perché vige l’ideologia del lavoro che si conclude al pomeriggio. Invece, fare l’abito su misura comporta che non sia mai finito, perché, quando il cliente viene a ritirarlo, il maestro sarto o il suo assistente devono definirne i dettagli finché non diventa veramente su misura per lui.
Come ha incominciato a fare il sarto?
Negli anni quaranta, per l’ammissione alle scuole medie occorreva sostenere un esame, ma l’esito non fu soddisfacente. Mio padre, allora, disse che potevo fare il mestiere che mi piaceva, così scelsi di imparare a fare il sarto.
Incominciai a lavorare a dodici anni e a diciassette dirigevo il mio laboratorio a Cento di Ferrara con dipendenti più anziani che erano sotto la mia direzione. Non sapevo tagliare e mio fratello, che leggeva molto, m’insegnò a fare i primi tagli prendendo spunto da un libro. A ventun’anni fui chiamato a prestare il servizio militare ad Arezzo e, avendo già una certa esperienza nella sartoria, fui impiegato nella confezione delle divise degli ufficiali. Era un lavoro lungo e difficile, perché dovevano essere fatte su misura, ma quando avvia la sartoria a Bologna i miei primi clienti furono gli stessi ufficiali.
Come si svolgeva la giornata in sartoria?
Quando incominciai l’apprendistato, lavoravo anche la domenica e andavo a casa alle 14.00, solo quando e se me lo diceva il maestro. C’era rigore e obbedienza nei confronti del maestro, che t’insegnava il mestiere. La mia sartoria aveva sei dipendenti che volevano imparare l’arte e non c’era orario di chiusura se occorreva consegnare un abito. Si lavorava molte ore, anche di notte, mentre i dipendenti delle industrie erano liberi dalle 17.00 del pomeriggio. Il personale non si lamentava, anche perché era ricompensato in base alle ore di lavoro. Tanti artigiani che hanno lavorato con questi ritmi hanno costruito così l’Italia. Attualmente, invece, purtroppo i dipendenti sono considerati tutti uguali in base all’anzianità di lavoro, non tenendo conto dell’apporto di qualità di ciascuno.
Perché l’artigianato è ancora un valore?
Perché valorizza la differenza. Ancora oggi, c’è qualcuno che arriva da noi e ordina un abito su misura anche se costa di più. Sa che acquisterà un prodotto unico, che durerà anni, perché l’abito su misura non perde mai tono e mantiene i colori. Quando qualcuno chiede ai nostri clienti dove si vestono, fanno vedere la targhetta che indica il loro nome con la data di nascita dell’abito. Adesso ho ottantadue anni, ma quando entra un cliente gli dico che, se non ha fretta, il suo abito lo faccio io.
La sua sartoria quest’anno compie sessant’anni di attività nel centro della città. Cosa pensa della chiusura del centro storico ai mezzi di trasporto?
Bologna era un centro di artigiani qualificati e accoglieva clienti che venivano da altre città come Ravenna, Modena e Parma. Adesso non vengono più perché è proibitivo entrare in centro in auto. Se una persona che non è di Bologna prende una multa o si vede ritirare l’auto, non torna più. Occorrerebbero ulteriori parcheggi, anche se i tempi di realizzazione non sono immediati. Certo è che i negozi sono danneggiati da questa situazione, si salvano appena quelli delle vie principali. Gli artigiani e i commercianti portano ricchezza alla città, senza di loro non ci sarebbe il centro storico, che di fatto è curato da chi, con la sua attività, accende una luce su una strada e ne tutela il decoro. Fino a non molti anni fa, era un valore aggiunto abitare o lavorare in centro, per questo gli affitti erano maggiorati e il sarto che lì aveva il laboratorio era comunque considerato il maestro, anche se quello che era in periferia era ugualmente bravo. Le amministrazioni devono salvaguardare questa cultura e questa economia che ha la propria specificità.