IL CONTRIBUTO CULTURALE DELL’IMPRESA
Dei trentadue concessionari ufficiali di Cat Lift Trucks, che coprono il 92 per cento del territorio nazionale, Global Service Commerciale, società operante nel settore della logistica in Emilia Romagna, ha investito nei talenti delle donne anche con la recente ristrutturazione del Gruppo (si vedano i numeri precedenti). Una scelta controcorrente, considerando che la maternità, per esempio, in alcune aziende è ancora considerata un limite…
Io credo molto nella famiglia, quindi è giusto che la donna abbia la possibilità di investire in essa e di avere figli, perché non sono un limite. Non si può discriminare una collaboratrice solo a partire dal fatto che in futuro potrebbe formare una famiglia. In azienda, le donne sono più affidabili, vogliono riuscire e sono più disponibili a mettersi in gioco. Nel nostro settore, le competenze della meccanica sono ancora prevalentemente maschili, tuttavia, non è così negli ambiti commerciale e amministrativo, dove il cliente è seguito con più attenzione dalle donne, che trasmettono maggior fiducia.
Nel 2011, il mercato delle macchine per il material handling in Italia ha registrato una diminuzione notevole nel fatturato, a differenza degli altri paesi europei. Eppure, la logistica è strategica per l’azienda. Quali sono le problematiche più diffuse in questo momento?
Anche se noi siamo fortunati perché abbiamo una clientela solida, da gennaio il settore ha risentito di un’insolvenza esponenziale da parte di aziende importanti, mentre i tempi di pagamento continuano ad allungarsi. Inoltre, le nuove tassazioni non aiutano e, se a ottobre l’Iva subirà un ulteriore aumento, questo avrà effetti devastanti per le imprese. Se i corrieri non hanno lavoro, non investono nella logistica. In questo momento è invece maggiore la richiesta da parte di aziende che esportano all’estero. È importante che si continui a investire e che ci siano nuovi appalti pubblici. Se non riparte il settore dell’edilizia in Italia, tutto resta bloccato.
L’attuale politica economica non è favorevole alla crescita delle imprese. Eppure, il Governo potrebbe emanare, per esempio, un provvedimento per congelare la quota capitale dei mutui e dei piccoli finanziamenti per due anni e fare rimborsare solo la quota interessi. Sarebbe un’immissione di denaro rilevante sul mercato, che però potrebbe non trovare la collaborazione del sistema bancario, che comunque incasserebbe le quote di interessi.
Si sta diffondendo un’ideologia che distrugge lo spirito d’investimento e paralizza la nazione. Siamo folli noi imprenditori che continuiamo a rischiare e offriamo posti di lavoro. Oggi abbiamo una responsabilità morale, oltre che economica, sulle famiglie dei collaboratori che in passato non avremmo mai immaginato di dovere assumere. Se succede qualcosa all’azienda, mi chiedo cosa faranno i miei dipendenti. Solo nella sede di Bologna sono quarantasei. Questa è una responsabilità morale molto forte.
Ciò nonostante, in azienda c’è un clima bellissimo, anche se qualche preoccupazione non manca. Gli imprenditori sono visti come criminali ed evasori a priori, invece senza di loro non ci sarebbero posti di lavoro e non ci sarebbe produzione. Basti solo considerare il messaggio oggi più diffuso, secondo cui l’imprenditore non può acquistare un’auto di grossa cilindrata perché rischia l’accertamento. Se un imprenditore crea benessere e paga le tasse, non deve temere di fare investimenti. Adesso, invece, ci mettono in condizione di vergognarci di quello che abbiamo costruito. La crisi finanziaria è stata gestita dalle istituzioni per creare l’ideologia del ridimensionamento, è quindi contro chi investe.
L’attuale fase storica può essere anche l’occasione per ripensare a un nuovo ruolo dell’impresa?
Non stiamo dando un bel messaggio. Il giovane che apre un’impresa in Italia lavora dieci mesi all’anno per lo Stato e due per l’azienda. La dimostrazione è che le imprese estere e le multinazionali non vengono più a investire da noi. È un segnale forte. Perché una multinazionale deve investire in Italia, con la burocrazia che c’è e con un contesto ideologico che paragona l’imprenditore a un delinquente? Dimenticando che chi avvia un’impresa dà un contributo culturale, non solo economico, al paese, perché continua a investire nel futuro. In questi anni è passato il messaggio secondo cui conviene lavorare nell’ente statale perché c’è lo stipendio, le ferie, non si va in cassa integrazione e la giornata lavorativa si conclude un po’ prima di quella dell’operaio in fonderia.
L’impresa dimostra, nonostante tutto, che è ancora un valore scommettere sul futuro e continuare a investire e innovare. Tuttavia, quando un imprenditore pensa che il massimo degli obiettivi per la sua azienda sia quello di rimanere nel mercato, cercando di non avere problemi economici, come può occuparsi dello sviluppo? Forse, chi amministra la cosa pubblica dovrebbe pensare anche all’impresa come bene pubblico.