LO STRESS PER RIUSCIRE
La parola è originaria, con la sua difficoltà e la sua semplicità. La parola è originaria, quindi, non c’è chi possa padroneggiarla. La parola facile non esiste, non è mai esistita, né mai esisterà. Chi non parla oggi, chi accetta un compromesso oggi, in vista di un posto garantito da cui parlare sia facile domani, si fa suddito, soggetto della mortificazione, della pena come minimo comune ultimo male necessario.
Quanti, per vincere la paura, nel lavoro, nella famiglia, nella scuola, nella società, instaurano dispositivi di parola, di vendita e di scrittura? Purtroppo, sono molto più numerosi coloro che di vendita non vogliono sentir parlare e preferiscono comprare sul mercato della morte qualche grammo di facile felicità. Sono molto più numerosi di quanto si possa immaginare e si contano fra gli studenti, i professionisti, i dirigenti, i manager (Le dopa des managers, intitolava un servizio “Le Monde” sul finire degli anni ‘90), non più soltanto nel mondo dello spettacolo e dello sport, o fra i giovani che, fino agli anni ‘80, ne facevano quasi una causa, una seppur lisa bandiera da sventolare contro il fantasma della normalizzazione. Dinanzi alla difficoltà della parola, poiché è intoglibile il dubbio da cui essa procede, è proprio necessario cercare la via presunta facile, la calma, da ottenere in qualsiasi modo? Relax è diventata la parola d’ordine diffusa in tutto il pianeta, da quando ne esiste un’altra che non ha bisogno di traduzione: stress. Rilassarsi. Non importa come: per avere successo occorrerebbe essere rilassati. Quindi, per rilassarsi quando serve, meglio e subito, prendere qualcosa che faccia allo scopo. E per chi non osa sconfinare nel proibito? Niente paura: persino il medico di famiglia può prescrivere il rimedio a ogni tipo di stress.
Non è raro incontrare oggi chi, prima di parlare in pubblico, o prima di un incontro importante, di una prova impegnativa, assume la sua dose, la sua riserva ricostituente di relax, per compensare gli effetti debilitanti dello stress. Con gli immancabili contraccolpi, però. Come non distinguere, infatti, chi parla senza eludere la difficoltà da chi invece è carico di euforia o dell’altra sua faccia, la disforia, che a essa segue inevitabilmente, una volta che il pallone si è sgonfiato?
Come notava Armando Verdiglione in una recente conferenza in preparazione del congresso internazionale “Stress. La clinica della vita” (Villa San Carlo Borromeo, Senago, Milano, 10-12 maggio 2002), “lo stress è la forza in atto nel viaggio della vita, la pulsione, la domanda che trae ciascuno nella ricerca e nel fare fino all’approdo alla qualità della vita”. Negato lo stress – visto come il male da superare, come qualcosa che dovrebbe finire –, nessuna riuscita, ma il regno della morte bianca, la necropoli, i cui abitanti restano in perenne attesa del radioso avvenire in cui finalmente ognuno sarà sistemato una volta per tutte nel posto che, per diritto naturale o divino, gli spetta per entrare in possesso delle sue facoltà e diventare padrone di sé o degli altri.
All’insegna della vendetta, l’istituto del riscatto discende dall’istituto della pena che, credendo di poter rimandare il viaggio, chi si fa suddito si dà, come minimo comune ultimo male necessario. Allora, i brainworkers sarebbero coloro che, usando il cervello, finalmente un giorno riuscirebbero ad avere successo e a impugnare lo scettro del comando? Chi è oggi il cervello dell’impresa, della vendita e della comunicazione è chiamato a compiere una battaglia per la salute, come istanza della qualità, e per la riuscita, senza indugiare nel fantasma di padronanza che da oltre duemila anni tenta il dominio sulla parola. La battaglia per la salute è ancora da compiersi, ma il secondo rinascimento è in atto, e la psicanalisi del secondo rinascimento, esperienza della parola originaria, non è una psicoterapia, un altro rimedio contro la difficoltà della parola, ma un dispositivo in cui ciascuno esiste parlando, narrando, facendo e scrivendo, e trova così la via della qualità, dove le parole, le cose, gli uomini e le donne non significano, non hanno un prezzo, né un’origine, né un posto, perché sono in viaggio, come noi. Per questo, risulta impossibile ogni contabilità della vita.
La parola è originaria. Senza origine. La vita è l’atto di parola e l’altro tempo non attende. Il viaggio dell’avvenire, dove i conti non tornano mai, senza circolarità né animazione, incomincia ciascun giorno ed è sempre incalcolabile lo stress che occorre per riuscire.