LA SALUTE INTELLETTUALE
Il discorso occidentale insiste molto sulla salute con grandi investimenti per l’assistenza e la prevenzione, coadiuvati da campagne pubblicitarie e trasmissioni televisive per informare sul pericolo di malattia. La salute oggi, nelle società occidentali, è tra i problemi più importanti in assoluto, ma questi media e l’apparato sanitario stesso procedono veramente da una questione di vita o di morte, o pongono la questione nei termini della sopravvivenza? La salute è sopravvivenza alla malattia, o è istanza di qualità della vita?
Il discorso occidentale volge il suo interesse al benessere, allo stare bene, al bene sopra il male, alla vita sopra la morte, tanto da giungere a estremizzare la questione, come sta accadendo in Olanda, legalizzando l'eutanasia: anche la morte deve essere buona. Poiché “Tutti gli uomini sono mortali”, come ci spiega il noto sillogismo, è bene che la morte sia buona, sia dolce, così come la vita – sostiene il discorso occidentale – deve volgere al benessere. Ecco allora che una schiera di psicopompi corre in soccorso con le proprie ricette per indicare qual è il male minore per sopravvivere, per ripristinare il benessere, in nome di una salute ideale. I professionisti della morte accompagnano alla buona morte e sulla base del minimo male possibile, economizzano la morte per scamparla, per la sopravvivenza appunto.
Ma stare bene è salute? Il benessere è salute? La sopravvivenza, ovvero la vita sopra la morte, è salute? La salute è istanza di qualità delle cose che si dicono e dicendosi si fanno e facendosi si scrivono fino a giungere alla loro qualità. Qualità non personale, qualità che non è identificabile perché non è uno scopo o un fine da raggiungere, la qualità è l’approdo, l’approdo alla qualità. È un’esigenza innegabile che sottolinea il diritto alla salute. La salute esige il fare. Facendo c’è la salute, la salute non è prima del fare. Facendo le cose si dispongono all’invenzione e all’arte e s’instaura il tempo; tempo che nel ben-essere è espunto. L’essere è la negativa del tempo, proprio di quel tempo la cui tentata localizzazione o espunzione rilascia la malattia: contrappasso o contropiede.
La salute non ha bisogno di psicofarmaci perché non deve derimere tra il bene e il male, ma esige il tempo e i suoi dispositivi di comunicazione cioè pragmatici, finanziari, scritturali. In questi dispositivi il ritmo trae alla qualità. Niente salute senza il brainworker come dispositivo intellettuale. Chi oggi pone l’istanza non dello stare bene o male, ma di un progetto e di un programma di vita? Il brainworker esige che le cose procedano dalla questione di vita o di morte, che abbiamo come condizione l’assoluto e che l’Altro non sia il nemico da eliminare perché creduto rappresentante della differenza e pertanto ostile.
Se c’è il fare c’è l’Altro, da cui procede la riuscita per ciascuno, quando interviene il tempo come ritmo nell’impresa. A ciascuno la sua impresa, lungo la logica che gli è propria.