PANIZZA: UN “INDIGNADO” DEL SUO TEMPO

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psichiatra, professore ordinario di Psichiatria all’Università di Bologna, già presidente della Società Italiana di Psicoterapia Medica

Il libro di Oskar Panizza Psychopathia criminalis mi ha molto incuriosito per vari motivi e, pur essendo un libro serio, dice cose divertenti che si possono riferire anche a quanto sta succedendo in Italia in questo periodo.

Oskar Panizza potrebbe infatti essere definito un “indignado” del suo tempo, che poi si scopre “indignado” con tutti. Anche un suo libro, come L’immacolata concezione dei Papi, oggi potrebbe essere scritto da autori come Michele Serra o Antonio Ricci, che fanno una satira corrosiva della politica. 

Occorre considerare che Panizza è stato uno psichiatra, allievo di Bernhard Von Gudden, che a suo tempo dichiarò pazzo re Ludwig di Baviera, che aveva tra l’altro costruito il castello di Neuschwanstein, reso famoso dal film Ludwig di Luchino Visconti (Von Gudden morì insieme con re Ludwig, durante una gita in barca su un lago della Baviera vicino al castello). Essendo un uomo irrequieto, Panizza si allontanò da Von Gudden, i cui metodi non gli piacevano, e cominciò a viaggiare per l’Europa, affrontando situazioni particolari che lo avrebbero reso inviso a molti, come il suo modo di parlare per paradossi. Per esempio, sosteneva che esistono uomini dotati di poteri abnormi, chiamati dai fanatici seguaci “illuminati”, o eroi, o innovatori, o creativi, mentre invece si sarebbe trattato di persone affette da una forma virulenta di “psychopathia criminalis”. Questa era congenita in certe persone, come i cosiddetti “democratici inveterati”, alcuni con origine familiare. Tale malattia era anche contagiosa, per cui i pensatori, gli ideologi, i filosofi, gli artisti erano facilmente contagiabili da questa forma morbosa, descritta anche come “compulsione corticale”. 

A questo punto, secondo il suo libro, i rimedi per costoro non potevano essere il carcere o il patibolo, ma quei luoghi che descrive come bellissimi, anche se erano più o meno nelle condizioni di quelli italiani, o talvolta peggiori, vale a dire i manicomi. Annota il fatto che dietro le sbarre venivano tenuti uccellini cinguettanti e vasche con acqua tiepida, che allora costituivano rimedi diffusi. Per lui, dunque, questi manicomi dovevano essere ampliati per ospitare questi “illuminati”. Infatti, secondo il suo libro Psychopathia criminalis, queste persone potevano essere dichiarate malate di mente. Esse erano quelli che oggi spesso vengono definiti “non omologati”: quelli che non si prostravano al potere, e che non erano servili. 

Un altro aspetto interessante e preconizzante di questo libro riguarda l’uso politico e strumentale della psichiatria, aspetto che poi ha caratterizzato, per esempio, tutto il periodo comunista dell’Unione Sovietica, dove “l’individualità”, in quanto opposta al potere dei capi, diventa un elemento inaccettabile, deviante rispetto al pensiero dominante e pertanto sanzionabile con il manicomio. 

L’uso da parte di Panizza del paradosso non era facilmente compreso, anzi suscitava reazioni di rabbia e di ostilità, irritando i potenti. Quando egli afferma che le persone che hanno successo, che fanno carriera, sono quelle che si prostrano, portando esempi di quanto dice, rimanda a quanto sta accadendo anche oggi in Italia, per cui chi si mostra servile ha molte più probabilità di successo nell’ambito di un certo tipo di politica.

Nel libro, Panizza scende nei dettagli della malattia, non si limita a parlare di una “psychopathia criminalis” indifferenziata, ma descrive anche una forma di “paralisi cerebrale”, di cui allora era di moda discutere, in riferimento alla paralisi progressiva causata dalla lue, oggi difficile da riscontrare nella sua forma terziaria ma ai suoi tempi estremamente diffusa. E, in modo paradossale ed ironico, partendo dall’abitudine di allora di chiamarla “mal francese” (comunque i francesi la chiamavano “mal napoletano”), attribuisce alla rivoluzione francese e al fatto di non avere avuto rispetto di re e nobili la causa della sua diffusione a partire da questo Paese. L’autore parla poi di “delirio furioso della mania” e di “furor antigovernamentalis” di chi non rispetta l’autorità e il potere (la mania viene d’altronde tuttora considerata una forma di eccitamento). E, riguardo alle lamentele continue delle persone nei confronti dei governanti, evoca la questione della “melancholia”, altro argomento allora molto trattato. 

Nell’ultimo capitolo del libro, Panizza si occupa anche di “paranoia”. In questo caso esplora la questione della sovranità: per lui è assurda la nozione di sovranità del popolo – ironizza –, in quanto deve esistere il sovrano, mentre il popolo deve “stare sotto” e onorarlo. E porta l’esempio di un personaggio storicamente esistito, un musicista, già etilista e luetico, che a un certo punto era divenuto una specie di rivoluzionario contro l’imperatore. Imprigionato, dopo essere stato curato, una volta tornato in libertà, fondava un giornale elogiativo nei confronti dell’imperatore e ritornava nelle sue grazie tanto da divenire, anche per le sue virtù musicali, organista di corte. Cose che accadono anche oggi, in cui, invece che incarichi da organista, si danno ai lacchè quelli di sottosegretario o di viceministro. Insomma, anche in questo caso Panizza è stato un precursore. 

Ma il suo prendersela con tutti lo portò a una triste nemesi. Il povero Panizza che, pur nella satira, aveva parlato dei manicomi come luoghi belli e benedetti, ci finì dentro e vi fu rinchiuso dal 1905 al 1921, anno della sua morte. Tuttora, purtroppo non sappiamo quanto fosse un malato o quanto, piuttosto, un dissidente, che disturbava i potenti, i religiosi o i politici di turno.