IL CASO OSKAR PANIZZA
Oskar Panizza nacque a Bad Kissingen, un paese termale della Baviera, dove il padre e la madre possedevano un grande e florido albergo. Il padre morì quando Oskar aveva appena tre anni. Secondo un formale contratto firmato dai due coniugi prima del matrimonio, i figli nati dall’unione dovevano essere allevati secondo i principi della religione del padre, quella cattolica, la confessione prevalente in Baviera. Invece la madre, protestante e di estrazione ugonotta, volle educarlo secondo la religione protestante, particolarmente rigida e severa, entrando presto in conflitto con le autorità bavaresi. Fu persino costretta a nascondere il figlio in alcune occasioni, finché riuscì a iscriverlo a un collegio di una comunità pietista d’ispirazione ugonotta, dove il piccolo veniva costretto ogni notte ad alzarsi alle tre per recitare le preghiere in ginocchio. Possiamo immaginare quale impatto abbia avuto la religione sull’animo del ragazzo: Oskar prima odiò quella cattolica, poi, in età matura, si distaccò anche dal protestantesimo e da Lutero, coltivando fin da piccolo un’avversione verso tutto ciò che avesse sapore d’imposizione. Ovviamente l’istruzione scolastica fu la prima a subire le conseguenze della sorda ribellione a ogni forma d’autorità. S’iscrisse al ginnasio, ma non lo terminò, avviò studi di musica – i suoi inizi furono wagneriani, nonostante nel tempo abbia assunto posizioni sempre più critiche nei confronti di Wagner e del wagnerismo imperante in Germania –, quindi passò alla pittura, poi allo studio delle lingue. A ventitre anni tornò a iscriversi al ginnasio, e questa volta lo terminò, s’iscrisse alla Facoltà di Medicina dell’Università di Monaco e si laureò brillantemente in tempi rapidissimi; ottenne la pubblicazione della tesi e gli si aprirono grandi opportunità di carriera accademica. Infatti venne chiamato come assistente di prima classe all’Istituto di psichiatria, diretto dal noto psichiatra Bernhard von Gudden, che lo obbligava a trapanare il cervello dei cosiddetti malati di mente. Nutrendo una profonda avversione verso tali terapie nei confronti di malati psichici, Panizza fu molto critico con il proprio maestro e, approfittando di una borsa di studio, si fece mandare a Parigi all’Istituto diretto da Charcot. Durante la sua permanenza in Francia, di giorno frequentava l’Istituto mentre di notte, quasi in segreto, si dedicava alla lettura degli scrittori francesi. Al ritorno a Monaco, lasciò l’Istituto di von Gudden e partì per Londra per studiare al British Museum.
Tornato in Germania, s’iscrisse alla società letteraria Gesellschaft für modernes Leben, una società letteraria di scrittori e artisti “scapigliati”, tenuta d’occhio fin dalla sua fondazione dalle autorità di polizia e da quelle religiose. Fin dalle prime serate della Gesellschaft, nelle quali leggeva i suoi contributi, Panizza attirò su di sé le ire dell’esercito, dove militava come medico psichiatra, al punto che fu posto di fronte a un’alternativa piuttosto radicale: ritirarsi dalla Gesellschaft für modernes Leben o dimettersi dal suo incarico nelle forze armate. In assenza di una sua risposta, l’esercito lo congedò coattivamente, cosa di cui egli andò sempre orgoglioso.
Confidando nella sua meravigliosa e ininterrotta vis fabulandi, alternò l’attività saggistica con quella più propriamente letteraria: scrisse poesie e racconti, ma furono le satire a suscitare maggiore interesse specialmente fra gli intellettuali del tempo. Nel 1892 dette alle stampe la prima satira, Aus dem Tagebuch eines Hundes (Dal diario di un cane), annotazioni solo apparentemente innocue di un piccolo bassotto sulla vita nella grande città; nel 1893 seguì Die unbefleckte Empfängnis der Päpste (L’immacolata concezione dei Papi), una satira che Otto Julius Bierbaum, scrittore e critico letterario suo contemporaneo, definì “sanguinosa”, perché nell’opera l’attacco alla Chiesa e al Papato è così violento, impietoso e graffiante da rasentare la blasfemia e, addirittura, il sacrilegio. Quando, nel 1894, Panizza fuse sperimentalmente satira e teatro, una pratica non molto frequente all’epoca, il cortocircuito diventò “fulminante”: nacque Das Liebeskonzil (Il concilio d’amore). Qui la satira investe la Chiesa cattolica a tutti i livelli; per le descrizioni dissacranti del Papato, della Madonna, di Cristo e, addirittura, di Dio Padre, Panizza fu processato con l’accusa di blasfemia e condannato ad un anno di fortezza. Nell’opera le figure divine sono rappresentate nella totale incapacità di opporre un valido argine all’indifferenza umana verso la religione, solo il diavolo riesce a salvare il Cielo dalla bancarotta inventando un morbo che certamente riporterà gli uomini sulla retta via e alla fede: la sifilide. Per evitare la condanna, che apparve subito inevitabile, gli amici consigliarono a Panizza di lasciare di notte la Baviera e rifugiarsi nella vicina Austria. Panizza non ne volle sapere: riteneva che uno scrittore con la coscienza pulita, autore di un’opera con indiscutibile valore letterario, non avesse bisogno di darsi alla fuga. Invece fu arrestato al termine dell’udienza e mandato non in una prigione ma nella fortezza di Amberg, fra le montagne della Baviera, dove, come descrive nel diario di prigionia, le condizioni di detenzione erano disumane; fra criminali e alla mercé di secondini di una rudezza senza pari, il prigioniero dopo un anno uscì fiaccato nel corpo e nello spirito. L’unico rifugio di quegli interminabili mesi fu la scrittura; nacquero così in prigione i Dialoge im Geiste Huttens (Dialoghi nello spirito di Hutten), dialoghi satirici contro la religione, la giustizia tedesca e i Procuratori di Stato. Quando venne liberato, lasciò Monaco di Baviera rinunciando alla cittadinanza tedesca per recarsi a Zurigo dove fondò una propria casa editrice e una propria rivista. Fu a Zurigo che dette alle stampe un’altra satira dal forte connotato politico antitedesco: Psychopatia criminalis. Forse per intercessione della Germania venne espulso dalla Svizzera con motivazioni inconsistenti, per cui si trasferì a Parigi, ma, quando le autorità bavaresi gli sequestrarono gli ingenti beni che costituivano la sua unica fonte di reddito, fu costretto a tornare. All’arrivo a Monaco, fu di nuovo messo in prigione per quattro mesi, con l’accusa di lesa maestà nei confronti dell’Imperatore Guglielmo II. Fu poi liberato senza alcuna spiegazione e lo scrittore ripartì per Parigi, dove però la sua salute, già minata dalla prigionia e ormai compromessa per le numerose privazioni, si andò aggravando. Fece così ritorno in Baviera dove tentò invano di farsi curare. Per costringere le autorità a interessarsi al suo caso, ebbe un lampo di genio: si spogliò quasi completamente e uscì di corsa per le strade di Schwabing, uno dei quartieri più affollati di Monaco, con l’intenzione di arrivare alla Leopoldstrasse. Naturalmente, dopo appena cento metri, fu fermato e nuovamente arrestato. “Il colpo era riuscito”, scrisse poi nella sua ultima autobiografia. Questa volta fu però dichiarato malato di mente con la conseguente interdizione. Venne ricoverato in una casa di cura lussuosa, a Bayreuth, una clinica per cardiopatici e patologie circolatorie, senza che lo scrittore avesse mai sofferto di tali disturbi. Su Oskar Panizza calò il silenzio, anche se il grande drammaturgo Frank Wedekind, quando gli fece visita nel 1911, lo trovò in ottima salute, rinfrancato nello spirito e dedito al suo lavoro.
Dal 1905 al 1921, Oskar Panizza continuò a scrivere, ma non è rimasto più nulla della produzione di quel periodo: le biografie affermano che le condizioni in cui vennero conservati l’enorme biblioteca e i manoscritti lasciati dallo scrittore abbiano prodotto il loro deterioramento irreversibile; l’umidità e i topi hanno poi fatto il resto.
Ma leggiamo che cosa scriveva di lui Hannes Ruch, il celebre compositore degli Elf Scharfrichter, il più famoso cabaret di Monaco e della Germania: “Quest’uomo dall’intelligenza straordinaria, con un intelletto vitale, lo sguardo acuto proprio della superiorità spirituale e della grande esperienza […], esercitava su di noi lo stesso fascino di una lettura proibita […]. In modo sconcertante, ci colpiva il suo stupendo sapere. Era una grande opera di consultazione, che mai veniva aperta senza ricevere l’informazione desiderata. Condiva i suoi colloqui con innumerevoli esempi dalle letterature di tutti i paesi e di tutti i tempi […]. La capacità di Panizza di citare sempre in lingua originale […] lasciava stupefatti e riscuoteva ovunque ammirazione”.