AUTOMAZIONE E FORMAZIONE
“50 years of passion” è lo slogan che quest’anno ha accompagnato le celebrazioni del cinquantenario dalla fondazione della storica industria di Ozzano dell’Emilia, che attualmente opera in settanta paesi nel mondo. Fondata nel 1961, IMA Spa, Industria Macchine Automatiche, è leader mondiale nella progettazione e produzione di macchine automatiche per il processo e il confezionamento di prodotti farmaceutici e di tè in sacchetti filtro. Lo scorso ottobre ha aperto le porte delle sette filiali fra l’Emilia Romagna e la Toscana per accogliere quattromila collaboratori con le loro famiglie, autorità e concittadini in una festa che rilancia il valore dell’industria che, oltre alla ricchezza economica, costruisce nella città valori che sono anche culturali…
Un’azienda come la nostra, che ha bisogno del contributo intellettuale del singolo per analizzare ciascuna volta in modo nuovo le diverse esigenze dei nostri clienti, deve assolutamente valorizzare l’individuo, pertanto, abbiamo deciso che il nostro cinquantennale avrebbe celebrato i collaboratori. Ho telefonato personalmente a ciascun ex dipendente chiedendogli di partecipare, come faccio con le autorità istituzionali, ed è stato sorprendente quando alcuni hanno risposto all’invito pensando che fosse uno scherzo. Durante l’inaugurazione della nuova facciata del vecchio stabilimento di Ozzano, alla presenza del presidente onorario Marco Vacchi e di altre autorità, i primi due collaboratori assunti in azienda hanno tenuto un discorso in un contesto di unità e partecipazione. In tale occasione il presidente, Alberto Vacchi, ha ricordato il forte radicamento dell’azienda nel territorio, benché abbia sedi in tutto il mondo.
Quali sono le acquisizioni lungo la sua trentennale esperienza all’interno dell’Ima?
Non è facile raccontare questo. Mi sono accorto di una circostanza forse ovvia per qualcuno, ma difficile da percepire. Ciascuno assume una seconda identità riconoscendosi nel proprio lavoro, è importante quindi dargli anche l’opportunità d’imparare cose nuove. Solitamente, l’azienda non è il posto ideale per esprimere la propria personalità perché vige quella regola secondo cui non viene chiesto di pensare, ma di eseguire. L’impresa che riesce a dare stimoli al lavoratore, consentendogli di acquisire nuove informazioni e di esprimere le proprie attitudini, si svilupperà e ci sarà anche domani. L’impresa che invece si chiude in norme rigide, pensando che i collaboratori abbiamo come obiettivo di lavorare il meno possibile o di sfruttarla per i propri scopi, non crescerà e non si svilupperà. Occorre dare fiducia alle persone che lavorano con noi.
L’attuale congiuntura economica pone l’esigenza di fare proposte che mettano in gioco nuovi valori. Tuttavia, è latente il rischio delle istituzioni nazionali e delle parti sociali di uniformare questi valori…
È sempre molto complicato fare interventi che rappresentino imprese e lavoratori.
Questo può avere una funzione in certi contesti, in cui si consolida intorno all’impresa l’idea che essa sia un valore in sé. Non si sono mai viste, però, due imprese uguali. L’impresa è la conseguenza del proprio passato e del proprio mercato. Non è possibile sancire che cos’è l’impresa ideale in assoluto. Se opero nella Ima, ho la fortuna di poter dire che valorizzo i singoli perché il mio mercato ha bisogno di questo. Generalizzando, si rischia di lanciare mode come quella della cultura d’impresa. Negli anni ottanta era di moda la qualità, mentre attualmente la responsabilità sociale, ma servono nella fase della maturazione del sistema complessivo d’impresa per stabilire parametri minimi. Tuttavia, non bisogna prendere troppo sul serio questi criteri perché, se operassi in un’azienda che è in difficoltà, non potrei investire nella qualità oltre a quella indispensabile, né nella responsabilità sociale perché il mio lavoro subirebbe la concorrenza dei mercati asiatici.
Il progetto della “Città del secondo rinascimento” è nato dalla constatazione che ciascuna impresa ha la chance di andare in direzione della cifra lungo la sua particolarità. Pertanto, constatiamo che la cultura ha effetti anche sul modo di produrre di ciascuna azienda. Può fare qualche esempio in merito?
Costruire automazione industriale comporta di considerare diversi fattori, da quello geografico a quello climatico, a quello quantitativo e culturale dei prodotti che si confezioneranno, ad esempio le lampadine in Cina o il burro in Messico. Ciascuna macchina risulta quindi differente perché risponde alle esigenze più varie e mette in gioco l’intelligenza di ciascuno.
Non si può pensare che le cose si facciano in modo automaticistico. Il lavoratore dà un apporto intellettuale sia nella fase della progettazione delle componenti speciali, che in quella della messa a punto sul prodotto originale del cliente, quando si trova ad esempio in India o in Australia. Questo esercizio amplia gli orizzonti delle persone ed è la fortuna di chi lavora nel settore dell’automazione industriale.