LA BANCA E IL VALORE DELLE IMPRESE
La vicinanza al territorio, per una banca come la Cassa di Risparmio di Cento, nata nel 1859, si esprime anche nella capacità di analizzare, spesso in anticipo rispetto ad altri, le trasformazioni che investono gli scenari economici e finanziari locali e internazionali, grazie alla comunicazione attenta con le imprese clienti. Allora, chi meglio di voi può indicare quali sono i valori delle imprese del Ducato Estense, che vanno al di là del business, quei valori che restano e consentono loro di redigere la propria Carta intellettuale?
Certamente, esistono imprese che, oltre a perseguire il profitto, sono permeate nell’aspetto qualitativo da un sistema di valori diffusi nel territorio, che comprende l’approccio verso il personale dipendente, una diversa sensibilità nei confronti dello sviluppo del territorio di origine, rispetto ad altri più attraenti e convenienti tout court, ma anche la sensibilità verso iniziative locali che sono appoggiate e sponsorizzate in quanto frutto dell’associazionismo privato, piuttosto che dell’intervento pubblico. Ma potremmo inoltrarci in vere e proprie valutazioni macroeconomiche sul fatto che i distretti, piuttosto che le aree di forte specializzazione, si fondano su sistemi valoriali non di tipo manifatturiero, ma di carattere etico sociale. Nel solo distretto del centese, sono nate la Lamborghini Auto, la Lamborghini Motori e la VM Motori e, nel raggio di trenta chilometri, la Moto Ducati, la Moto Morini, la Moto Minarelli, la Maserati e la Ferrari. Una tale concentrazione è dovuta alla presenza del settore della meccanica o al fatto che c’è un sistema di valori superiore che ha influenzato anche lo sviluppo della meccanica? E sarebbe interessante capire anche se questo sistema di valori abbia influenzato la dimensione relativa delle imprese, che spesso sono rimaste più piccole, ma non per questo meno agguerrite, rispetto alle grandi. Evidentemente, le piccole e medie dimensioni consentono di conservare logiche e attenzioni impensabili in quelle più elevate.
Nel numero precedente del nostro giornale, lei riportava gli echi di conversazioni con i vostri clienti, che devono far fronte alla forte discontinuità fra quello che succedeva fino a qualche anno fa e quello che sta succedendo e succederà sempre più in futuro: “Il mondo A è finito, io devo mettere la mia impresa in grado di stare sul mercato nei prossimi vent’anni nel mondo B”, diceva un cliente. In quali settori operano principalmente le aziende che hanno queste esigenze perché, per esempio, non si limitano più a lavorare per conto terzi, ma incominciano a lanciare prodotti a marchio proprio, per incominciare a costruire il loro “mondo B”?
Sicuramente tutto il settore della meccanica, dalle macchine utensili al packaging e alle varie ramificazioni che attengono alla meccanica di base e s’intrecciano con l’elettronica, come la domotica e la meccatronica. Le imprese che costruiscono macchine o parti di macchine oggi stanno andando forte. L’Italia in questo settore è, a pari livello con la Germania, fra le prime non solo in Europa, ma nel mondo. Questo è il motivo per cui sono ottimista. Penso che, prima o poi, trainata dalle persone giuste, l’Italia riemergerà.
È molto importante che ci sia la percezione dell’avvenire, perché questo incoraggia le imprese che puntano al valore assoluto, a ciò che resta, e non possono essere spazzate via da un colpo di vento, mantengono la rotta e riescono a combattere anche nella tempesta. Una banca come la vostra, vocata al territorio nel senso più vero del termine, è in grado di dare un apporto a queste aziende. Ma lei ritiene che dovrebbero farlo anche altre banche in Italia?
Gli attuali problemi delle banche in Italia non si sono prodotti internamente, li abbiamo filtrati prima dagli Stati Uniti e poi dall’Europa. Il sistema bancario italiano negli ultimi anni ha prodotto alcuni campioni internazionali, di cui c’era bisogno – perché altrimenti le nostre imprese non sarebbero cresciute –, e ha una pletora di banche nazionali e regionali, tra cui la Cassa di Risparmio di Cento. A differenza di quanto accade in tutti i paesi europei e anglosassoni, le imprese italiane sono completamente dipendenti dal sistema bancario. Quindi è inevitabile che, se le banche importano problematiche dai mercati finanziari, si trasmettono inevitabilmente al mondo delle imprese, troppo dipendenti dal sistema bancario. Alcuni numeri ufficiali lo dimostrano: se ogni 100 euro che entrano come provvista le banche italiane ne destinano alle imprese 60-70, le banche europee soltanto 30. Dunque, le banche europee fanno soprattutto finanza in senso stretto, mentre le italiane finanziano le imprese e, se ci sono problemi nel sistema finanziario, anche il mondo delle imprese è molto più toccato di quanto non lo sia all’estero. Eppure, nonostante la crisi, in questi anni il credito bancario alle imprese italiane è cresciuto circa del 4-5 per cento, mentre in Europa dello 0 per cento. Quindi, non possiamo dire che le imprese italiane oggi soffrano di scarsità di credito se confrontate con le imprese europee. Anche se il paragone è molto difficile perché il sistema delle piccole e medie imprese all’estero è pressoché sconosciuto. È un sistema che ha funzionato per cinquant’anni, ma non è detto che possa funzionare per i prossimi cinquanta. Una delle grandi sfide per il futuro del nostro paese è quella d’individuare un nuovo sistema industriale e produttivo che possa reintegrare le parti che lo compongono: dal sistema del welfare a quello finanziario e dei mercati borsistici, fino a un inevitabile mutamento del sistema imprenditoriale.
Quindi ritiene auspicabile un aumento delle reti d’impresa?
Questo sarebbe il primo passo rispetto alle cose da fare, ma è inevitabile che la dimensione delle aziende aumenti in misura considerevole e costante nei prossimi anni. Una piccola azienda, può fare innovazione e ricerca soltanto collaborando con un’azienda più grande, magari con un contratto di rete, ma deve darsi gli stessi parametri e standard, non può mantenere i propri.
Per quanto riguarda invece la situazione finanziaria del nostro paese, oggi c’è chi pensa che gli spread non siano reali, ma frutto di interessi legati a gruppi di pressione o di potere, oppure che occorra sottoscrivere i Titoli di Stato per dare una mano all’Italia. Purtroppo, dobbiamo prendere atto che gli spread sono effettivi e che, dirottando i fondi sui Titoli di Stato, i cittadini privano le banche di quella materia prima con cui esse finanziano le imprese e possono concedere mutui ipotecari a privati, che oggi stanno registrando un crollo del 30 per cento.