I BRAINWORKERS DI INTERNET

Qualifiche dell'autore: 
responsabile comunicazione di Melazeta

Intervista di Anna Spadafora

Cosa differenzia questo nuovo mestiere, il brainworker della comunicazione in Internet, da quello di altri addetti alla comunicazione?

In effetti, questo è un nuovo mestiere. Da una parte è una professione, dall’altra è un mestiere, cioè qualcosa che s’impara con la tecnica del laboratorio artigianale. Nei nostri progetti il creativo e il tecnico lavorano a fianco a fianco, per far sì che le esigenze del creativo non vadano a scontrarsi con i limiti tecnici; ma il loro non è un puro affiancarsi, perché entrambi man mano assorbono come per osmosi l’uno le competenze dell’altro e quindi si trovano in sintonia. Questo credo che sia il valore aggiunto di società o di gruppi di lavoro nati facendo comunicazione in Internet, che non sono il risultato di una trasformazione della vecchia agenzia pubblicitaria, o della video produzione, o della software house. Quello che viene richiesto qui è la flessibilità a pensare in modo diverso, anche se flessibilità non vuol dire fare cose d’avanguardia e buttare via il passato, ma capire in che modo vanno riutilizzate le esperienze precedenti.

Per questo lavoro è richiesta una formazione che dia basi di cultura generale, di ragionamento, di elasticità mentale, che dia quegli strumenti per riuscire a interfacciarsi e a relazionarsi con tanti tipi d’interlocutore. Per esempio, proprio qualche giorno fa, mi sono trovata ad affrontare, nell’arco della stessa giornata, quattro progetti completamente differenti l’uno dall’altro: in prima mattinata un progetto web sull’antica Roma, in seconda mattinata il sito web di un Comune, nella prima parte del pomeriggio un sito che parla di chirurgia plastica e a fine giornata il sito di un’azienda del settore ceramico. Clienti diversi con tante esigenze diverse: per riuscire a capirle bisogna almeno essere in grado di relazionarsi con loro.

Come sottolinea Emilio Fontela nel suo libro Come divenire imprenditore nel ventunesimo secolo, oggi si tratta in ciascun caso, anche nel lavoro di segreteria, di lavoro di cervello, di brainworking. Lei sta dicendo che ciascuno, in questo scambio continuo con il cliente o all’interno dell’equipe di lavoro, è chiamato al ragionamento e la sua formazione intellettuale contribuisce a questo ragionamento che occorre intraprendere in ciascun momento della giornata per dare un contributo al cervello della comunicazione?

La comunicazione in senso ampio viene spesso etichettata in vari modi e viene ridotta alla comunicazione esterna massmediatica, allo spot televisivo, ecc. In effetti, quello che ha fornito in più la comunicazione con gli strumenti digitali è la possibilità di veicolare enormi quantità di informazioni. Ma queste non devono sommergere l’utente, devono essere organizzate e dette in un certo modo. Se ne possono però fornire tante, non ci sono più i limiti del cartaceo o dei venti secondi dello spot televisivo. Ecco perché subentra un’interpretazione della comunicazione molto più strumentale. Poi è chiaro che il sito può essere un portale B2B, e allora lo studio non si focalizza sulla grafica, quanto sull’usabilità, l’organizzazione e la sicurezza dei contenuti; oppure può essere un sito vetrina, così condannato ma che ha il suo fine e il suo scopo, può essere utilizzato per promuovere un evento, un nuovo prodotto, ecc. In più, rispetto alla pagina pubblicitaria di un nuovo prodotto che possiamo fare su una rivista, può dare approfondimenti a livello informativo sul prodotto: può far vedere come funziona, allegare il manuale e altro ancora.

In questo senso, il lavoro del brainworker della comunicazione in Internet è poco collocabile secondo i vecchi schemi del mondo della comunicazione. Siamo in una via di mezzo, ci troviamo a fare quello che faceva l’agenzia di comunicazione, quello che faceva il service specializzato nella produzione dei manuali, quello che faceva la video produzione e quello che faceva la software house. A volte ci troviamo a fare prodotti che di per sé sono ibridi, ma che hanno uno scopo nel preciso punto dove stanno. E le persone che ci lavorano devono formarsi “a bottega”, perché le problematiche sono talmente tante e talmente nuove che non esistono scuole in grado di stare al passo coi tempi. Ma se portano con sé esperienze precedenti e cultura e hanno la sensibilità di capire che cosa mettere da parte in un momento – che poi potrebbe servire in un momento successivo –, allora riescono a integrarsi bene in questo tipo di produzione. E come in ogni altra professione, riuscire a prevedere verosimilmente l’impegno ed assumersene la responsabilità in modo consapevole è sicuramente la dote personale più apprezzata.