DALLO SCAMBIO LA RICCHEZZA: L’ESEMPIO DI SPILAMBERTO
Con oltre undicimila visitatori provenienti da tutta Italia, si è conclusa il 26 giugno la bellissima mostra Il tesoro di Spilamberto. Signori Longobardi alla frontiera, un’ulteriore prova del fatto che la città non può essere definita a partire dalla sua dimensione spaziale, ma dalla sua dimensione intellettuale: la città è dove avvengono le cose, grazie all’incontro e al confronto, da cui nasce un fertile scambio portatore di quella ricchezza sconosciuta alle comunità chiuse. Non a caso a Spilamberto, oltre alle eccellenze enogastronomiche, frutto di tradizioni secolari (“Le sette perle dell’enogastronomia modenese”), come l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, hanno le loro radici uomini che si sono distinti in vari ambiti e settori della scienza, dell’arte, della cultura e dell’impresa, uomini che hanno valorizzato e valorizzano la memoria dei loro antenati…
Certamente, non è un caso se questo paese, che sulla carta non è diverso da altri comuni di diecimila abitanti, ha un fermento culturale particolare, soprattutto se pensiamo che, da una parte, a differenza di altri comuni che si sono costituiti nel 1861, ha alle spalle ottocento anni di storia, dall’altra, proprio lungo la sua storia, sono intervenuti tre fattori fondamentali che ne hanno fatto un territorio di confronto e di scambio costanti nel corso dei secoli.
Prima di tutto dobbiamo pensare all’importanza strategica del fiume Panaro, sulle cui rive vissero e morirono quindici secoli fa i Longobardi appartenenti al clan gentilizio – posto a controllo dell’incerta frontiera con i domini bizantini – di cui abbiamo potuto ammirare i reperti proprio nella mostra appena conclusa. Terra di confine per secoli ha voluto dire terra di confronto fra due regioni, ma anche fra due culture, la bizantina (la Romagna, con Bologna) e la longobarda (l’Emilia, con Modena). Lo stesso castello, di cui abbiamo appena celebrato gli ottocento anni, è frutto della volontà del comune di Modena, che nel 1210 intese porre sulla sponda sinistra del Panaro un caposaldo nei confronti dei bolognesi, che a loro volta avevano costruito una roccaforte in località Piumazzo, a pochi chilometri dalla riva opposta.
Ma, accanto alla divisione amministrativa, c’è quella ecclesiastica a fare di Spilamberto un luogo di confronto anche all’interno delle mura, dove il Vescovo di Modena nel 1210 volle erigere una chiesa dedicata a san Giovanni: naturalmente la potente Abbazia di Nonantola, alla cui giurisdizione era soggetto il territorio, rispose edificandovi, di fronte, un’altra chiesa intitolandola al Papa ivi defunto nell’885, sant’Adriano III, sepolto a Nonantola. Una rivalità fra due diocesi e due parrocchie che è andata avanti per secoli e, anche quando l’Abbazia di Nonantola è passata sotto la giurisdizione della diocesi di Modena, le due parrocchie sono rimaste separate, producendo una competizione interna molto forte in tutti i campi, da quelli goliardici a quelli culturali, che ha provocato di generazione in generazione una sorta di emulazione verso la qualità.
E la qualità non poteva mancare in una città che – e veniamo al terzo degli elementi che hanno nutrito le radici dei grandi uomini che qui sono nati e vissuti – è stata governata fin dalla metà del XIV secolo dalla nobile famiglia Rangoni. Il fatto di essere la sede di una signoria importante a livello locale come i Rangoni non è stato secondario per il fermento che a Spilamberto non si è mai assopito. Un’azione storica può produrre effetti anche a distanza di secoli, tant’è che, a cavallo tra l’ottocento e il novecento, il movimento socialista ha prodotto qui un importantissimo rinnovamento dei quadri: essere sindaco a Spilamberto evidentemente voleva dire confrontarsi con una cultura forte e una storia amministrativa dalle antiche radici.
Insieme a Castelnuovo Rangone, Castelvetro, Guiglia, Marano sul Panaro, Savignano sul Panaro, Vignola e Zocca, Spilamberto fa parte dell’Unione Terre di Castelli, di cui lei è presidente. Come giova questa organizzazione alla valorizzazione del patrimonio culturale e artistico, oltre che dei prodotti tipici e delle attività industriali del territorio su cui si estendono gli otto comuni?
Abbiamo avuto la fortuna che nei decenni si è stratificata in ciascun comune, e non in competizione, una vocazione differente: il Lambrusco Grasparossa a Castelvetro, l’industria degli insaccati a Castelnuovo, la ciliegia a Vignola, l’aceto balsamico e il nocino a Spilamberto, funghi, castagne e borlenghi nei comuni della montagna, una serie di specializzazioni che hanno prodotto un menù molto articolato, da proporre al visitatore sulla base comune dei castelli. Siamo un territorio di castelli, un territorio cerniera fra la pianura e la montagna, fra Bologna e Modena, con prodotti particolari e uno sviluppo industriale notevole, ma che non ha mai avuto quell’impatto ambientale che ha deturpato altri territori: chi si dirige verso Spilamberto dall’uscita del casello autostradale di Modena Sud per tre chilometri vede soltanto campi e case coloniche. Anche questo ha la sua importanza per la connotazione culturale dei comuni dell’Unione: come tutti i territori di confine, hanno lo scopo di separare ma anche di unire, da qui il loro sviluppo, dalla ricchezza che, come dicevamo all’inizio, procede dallo scambio, che nelle zone di passaggio è sempre più intenso.
Oltre a gestire servizi di tipo amministrativo, poi, l’Unione ha voluto confermare la sua attenzione per la cultura con il Poesia Festival, che convoca alcuni fra i più importanti autori italiani e non solo, nell’ambito di una rassegna con oltre quaranta appuntamenti ai quali i cittadini partecipano con entusiasmo, spostandosi da un comune all’altro per seguirne il maggior numero possibile. Il fatto che due comuni importanti che non fanno parte dell’Unione, come Maranello e Castelfranco Emilia, abbiano voluto partecipare è una prova lampante della riuscita della manifestazione, che quest’anno è alla settima edizione.
È importante la valorizzazione della poesia oggi, soprattutto per evitare la cancellazione della memoria, che esige invece la scrittura…
A questo proposito vorrei aggiungere che negli ultimi sette anni abbiamo investito anche sulla produzione letteraria, con la pubblicazione di una decina di libri che testimoniano, in vario modo, delle nostre radici dalla preistoria al secolo scorso. Libri che documentano non solo la storia di Spilamberto, ma anche quella delle aziende protagoniste dello sviluppo economico nel dopoguerra, fra cui un libro sulla Resistenza, uno sulla mostra dei Longobardi e l’ultimo, di quest’anno, sugli edifici sacri del territorio. In un momento in cui cresce sempre più il numero di coloro che si allontanano dal paese per viaggi di lavoro o di piacere e c’è il rischio che non si sappia neanche chi è il proprio vicino di casa, raccontare diventa essenziale per far capire che le cose che ci uniscono sono più numerose di quelle che ci dividono, mentre di solito si fa il contrario, con la conseguenza di una dispersione e, come diceva lei, di una cancellazione della memoria.