L’ATTO ORIGINARIO
Per l’antropologia la scena è primaria, non originaria, è illuministica e illuminata: nel deserto, o nella foresta, un viandante, magari un guerriero, ne incontra un altro. Nel silenzio, una smorfia, poi un gesto, forse un dono: ecco lo scambio, l’alleanza, poi la parola. Più tardi, per la linguistica, la parola stessa diventa un elemento che un emittente sceglie di scambiare con un ricevente. Baratto, dono, vendita che sia, in questo modo lo scambio è sottoposto al soggetto, diventa il rapporto sociale. Quando scambiare? Con chi scambiare? In nome della parità sociale, il principio di selezione e quello di elezione sono la base dell’alleanza sociale, che fonda il ricatto e il riscatto, modi della vendetta. Occhio per occhio, un occhio per un occhio: nel momento in cui deve pareggiare e parificare, lo scambio rientra nel principio della vendetta, principio di padronanza per antonomasia. Questo accade nelle relazioni sociali, nella burocrazia, nella politica comunemente intesa. Cosa avviene nel dialogo tra servo e padrone del Menone di Platone? Uno scambio sociale. E bisogna dialogare per scambiarci le idee, per confermarle meglio. Non si discosta da questa ideologia la sociologia degli anni settanta quando inneggia a uno scambio definito simbolico contro quello presunto finalizzato alla produzione e all’accumulazione, uno scambio naturalistico, gratuito, principio della solidarietà. E così si fa presto a dire che ci vuole lo scambio tra i popoli, che occorre favorire lo scambio internazionale. Ma in tale scambio trova posto anche la morte, che sarebbe l’improduttivo, l’ingovernabile, il gratuito per eccellenza. Come sorprendersi se il discorso paranoico si ritrae dallo scambio, se esso deve celare un’economia della morte?
Quale scambio, allora, che non sia l’idealità dello scambio, ovvero scambiarsi la parola, inserire la parola in una relazione, come nella scena del buon selvaggio? Occorre una constatazione: l’atto di scambio è l’atto di parola, non preesiste a essa. Lo scambio è tra pari solo se è inserito nella relazione sociale, nel sistema presunto fondante la parola. Ma se lo scambio è l’atto di parola stesso, se lo scambio esige il dispositivo in cui ciascuno esiste nella parola, il sistema degli scambi sociali ovvero il sistema del conformismo e degli standard non tiene più. Lo scambio interviene proprio nella logica e nella struttura della parola, nella combinazione e nella simultaneità delle cose, dunque non è relazionale, non consente l’erotismo. L’erotismo è scambiarsi delle cose, per esempio affetti, ricordi, doni, è lo scambio transitivo, in cui tutto si scambia con tutto, tranne l’equivalente generale del valore.
L’atto di parola avanza invece uno scambio intransitivo, è un atto non erotico, in cui nulla è da scambiare. Le cose nella parola non sono a portata di mano, la parola non può essere presa: l’etimo di scambio rimanda al latino campsare, da cui anche scansare, allontanare. Scambio libero, libertà della parola, non del soggetto. Qui l’equivalente non è il garante, è l’equivoco, non fonda il sistema generale degli scambi, la confusione totale. L’atto di scambio esige il mito di Babele e il mito della Pentecoste, esige che nessuno parli la propria lingua e che ciascuno intenda nella propria. Nel malinteso, non nell’armonia sociale. Senza la reciprocità richiesta dalla linguistica. Nella lontananza. Solo così s’instaura lo scambio internazionale, che ha trovato in Alessandro Valignano, come notano alcuni interventi pubblicati in questo numero, un primo paradigma. Combinazione fra Oriente e Occidente, fra macchina e tecnica, fra cultura e arte. In assenza dell’equivalente generale del valore, non c’è il segno delle cose, con cui tutto equivale a tutto e tutto può essere scambiato con tutto.
Il valore esige un atto di scambio che prescinda dal rapporto sociale inteso come messa in forma del sociale, della sessualità, della vita. Lo scambio è costituito dalla ricerca e dal fare, dalla memoria e dall’invenzione. La restituzione non pareggia, è restituzione di quel che non si è mai avuto, è restituzione in qualità. La sintassi dello scambio poggia sul non dell’avere, chi crede di avere non scambia. Se ci atteniamo allo scambio, ci atteniamo all’atto di parola, non alla convenzione sociale, alla gratuità, al culto della morte.
L’idealità dello scambio è così cara al senso comune perché lo scambio starebbe alla base della comunità e servirebbe proprio a fornire il luogo comune. Ma lo scambio senza idealità è scambio imprenditoriale, è scambio produttivo, è scambio scritturale. Il profitto e la vendita non sono conseguenze dello scambio. Il profitto sta nello scambio, la vendita sta nello scambio, la scrittura sta nello scambio.
Ciò che noi pensiamo di sapere, di conoscere, di rappresentarci, di condividere, di avere già attuato nega lo scambio. Quando la crisi non consente d’immaginare una soluzione o una via d’uscita, vengono sospese le idee che stanno alla base della negazione dello scambio come atto originario. Nell’atto di scambio le cose procedono dall’apertura e giungono alla riuscita con uno spirito costruttivo, con idee che nessuno ha mai avuto.