CHI HA PAURA DI VIVERE? E CHI NON L'HA PIÙ?
Molte volte, per la paura solamente, sanza altra esperienza di forze, le città si perdono”. Questo dice Machiavelli nell’Arte della guerra: è bastata la paura, perché la battaglia sia andata persa. La paura giustificherebbe l’assenza di battaglia in direzione della qualità. In breve, la paura viene associata all’idea di un’alternativa alla riuscita: noi abbiamo l’idea di potere scegliere tra combattere e non combattere, e a questa idea viene associata la paura, che giustificherebbe la scelta obbligata, la scelta di non combattere.
La paura è la paura di perdere la battaglia? Senza la battaglia, la città, che è da conquistare, viene persa, dice Niccolò Machiavelli. Oppure, la paura è la paura della differenza, che viene acquisita con la battaglia? In effetti, ciascuno, facendo secondo l’occorrenza e riuscendo, si ritrova differente, non si ritrova come prima. Non ritrova più i propri ricordi, le proprie abitudini, la credenza in se stesso e nella propria origine. Ciascuno si ritrova differente. È questo che temiamo? È per questo che preferiamo evitare il cimento?
“Molte volte, per la paura solamente, sanza altra esperienza di forze”. Chi non è convinto di conoscere le proprie forze? Chi non sta a ribadire il luogo comune: questo è il mio forte e questo è il mio debole, questo è il mio punto debole, questo è il mio tallone di Achille? Chi non si pensa, non s’immagina, non si crede forte per un verso e predestinato al naufragio per l’altro? Chi, come soggetto, non si ritrova preso in un’anfibologia circolare? Niccolò Machiavelli dice altro, non ritiene che ciascuno conosca già le proprie forze. Dice dell’“esperienza”. Nota come ognuno, “per la paura solamente”, eviti l’esperienza. Quindi, il soggetto, che, per definizione, evita l’esperienza, crede di possedere le proprie forze, queste forze che, guarda caso, non intervengono mai per concludere alla soddisfazione. Ognuno crede nelle forze, che poi rimangono sempre inutilizzate. Ognuno ha il concetto di forza come potenzialità. Ovvero: “Io non sto facendo, non mi trovo nel fare, ma, quando lo volessi, potrei fare, potrei combattere e di certo vincerei”. Le proprie forze, che ognuno si attribuisce, sarebbero la potenzialità della vittoria. Ognuno si ritiene portatore di forze e di debolezze naturali, ereditarie, di cui, però, nota Niccolò Machiavelli, non avviene esperienza. Le proprie forze sono sempre in potenza e mai in esperienza. Non sono le forze a cui allude Machiavelli, le forze intellettuali, i mezzi e gli strumenti della parola.
La battaglia intellettuale è la battaglia della parola, la battaglia in direzione della qualità. I mezzi e gli strumenti appartengono alla parola e non già a un soggetto.
Nessuno mette alla prova le proprie forze, se non in un discorso che si pone come causa, al posto della parola nella sua logica e nella sua struttura. Fare secondo l’occorrenza non è mettere alla prova le proprie forze. Sarebbe sempre un esperimento, per verificare qual è la propria potenza e quali sono i limiti. L’esperienza, a cui accenna Niccolò Machiavelli, non è un esperimento. E la prova di vita è la prova assoluta. Non è fare qualche prova qua e là. Provarsi. Cimentarsi. Procedere per tentativi. Insomma, brancolare nelle tenebre.
La paura dunque. “Per la paura solamente”, associando la paura all’idea di alternativa, ognuno evita la battaglia, ognuno abdica, rinuncia, sparisce o dà le dimissioni. Niente esperienza. Però, nulla di più comune che la battaglia venga rappresentata, nulla di più comune che ognuno s’immagini come un eroe, impegnato a combattere contro nemici immani, giganteschi, mostruosi, micidiali: questo, sì! Questo è il videogame. La battaglia intesa come battaglia per divertimento rappresenta costantemente il nemico dinanzi, terrificante, spaventoso, ciclopico. Questo, sì! Divertirsi. Ma mai fare secondo l’occorrenza. Se la battaglia è contro un nemico, che sta dinanzi, allora la paura incombe, è il terrore, è l’orrore, è lo spavento, è il panico. La paura incombente: la paura associata all’idea di alternativa diventa la paura di vivere. E ognuno sta a immaginarsi, a pensarsi, a credersi, invece di vivere. Ognuno ha paura di vivere.
La battaglia per conquistare le città, che stanno dinanzi a noi, è una battaglia intellettuale, senza nessuna ostilità, senza nessun nemico. Il fare procede dall’alleanza, ovvero dall’inconciliabile tra amico e nemico, per cui amico-nemico non può più rappresentare l’Altro. Soltanto facendo, interviene la razionalità, il ragionamento. È il fare secondo l’occorrenza, il fare che si scrive. La struttura dell’Altro: è questo il fare. Nella parola. Le cose, facendosi, si scrivono. La parola si scrive. Le cose si scrivono attraverso la differenza e la varietà che seguono all’intervento del tempo nel fare.