LA FIBRA DI CARBONIO DALLE CORSE ALLA MODA

Immagine: 
Qualifiche dell'autore: 
presidente della Picasso Racing Components

Miguel Indurain con la sua famosa bicicletta, Max Biaggi con la sua 250 e altri piloti di Moto GP e Formula 1 hanno ottenuto i loro successi anche grazie ai componenti in fibra di carbonio studiati su misura dalla Picasso Racing Components, che compirà vent’anni in giugno. Non è un caso se lei da Bruxelles ha costituito proprio a Modena questa attività. Ma com’è incominciata la sua avventura?

Nel 1978, durante il servizio militare, conobbi il famoso pilota Didier de Radiguès. Seguendo la mia passione per il motociclismo, nel 1986, mentre lavoravo a Bruxelles in un laboratorio di biochimica, decisi di andare a vedere Didier che correva al Gran Premio del Belgio. Nonostante fosse passato tanto tempo, si ricordava di me e fu tanto entusiasta del nostro incontro che, nel Gran Premio successivo, io lavoravo per la sua squadra, con la mansione di verniciare le moto e i caschi. Lo seguii in tutte le squadre che cambiò negli anni seguenti, finché, a metà del 1990, tramite un amico comune, fui chiamato a Modena da Mauro Forghieri per lavorare sul progetto Lamborghini Formula 1. Accolsi subito la richiesta perché all’epoca il divario tecnico fra il Moto GP e la Formula 1 era ancora enorme. Com’è risaputo, a metà del 1991, purtroppo, il progetto naufragò. Ma io ormai ero a Modena e decisi di fermarmi per costituire un’azienda per la produzione di fibra di carbonio, che si sarebbe avvalsa di tutte le conoscenze che avevo acquisito in campo motoristico: in pochissimo tempo, lavoravo per tutti quelli che mi stimavano perché mi avevano visto all’opera.

Oggi, però, buona parte del vostro fatturato è realizzato in un nuovo settore, quello della moda…

Nel 1999, abbiamo depositato il brevetto del tessuto di carbonio morbido e il marchio CarbonWear. Ma la linea che abbiamo provato a lanciare non è riuscita a decollare: è risaputo che il mondo della moda vive di comunicazione e le risorse di una piccola azienda non sono sufficienti. Abbiamo continuato a sfruttare il brevetto in ambito tecnico: abbiamo realizzato la borraccia di Schumacher, i guanti di Capirossi e per tanti anni circa quindici piloti hanno usato le nostre protezioni. Poi, in marzo 2009, nel pieno della crisi che ha colpito anche il Motomondiale, perché le aziende non avevano disponibilità economiche per proseguire le sponsorizzazioni ai livelli di qualche anno prima, abbiamo deciso di esporre alla JEC Composite Show di Parigi, una delle più importanti manifestazioni sui materiali compositi, dove siamo stati contattati da una delle più grandi case produttrici di pelletteria al mondo (venti miliardi di fatturato), di cui siamo divenuti fornitori per le borse e le cinture realizzate con il nostro tessuto di carbonio morbido. Oggi questa casa di moda rappresenta il quaranta per cento del nostro fatturato, che aumenterà nei prossimi anni. Non solo, non avendoci chiesto l’esclusiva, siamo liberi di fornire il tessuto ad altre case di moda.

Da dicembre 2006, nel suo lavoro è stato affiancato da Natalja Domalega. Qual è il suo contributo nell’azienda?

La precisione, l’ascolto, la disponibilità a mettere in questione le cose, senza mai dare nulla per scontato sono tutte sue caratteristiche che si combinano con le mie conoscenze di chimica del materiale composito e con la mia propensione all’invenzione. Ma è interessante lavorare con Natalie anche perché io faccio questo lavoro da quasi trent’anni, mentre lei è nuova, non ha pregiudizi, non è “specializzata”. Chiarisco con un esempio: quando nel 1999 fummo interpellati dalla Yamaha per realizzare componenti aerodinamici e di conseguenza le carrozzerie delle loro moto 250, chiesi perché si rivolgessero proprio a noi. Hayasakisan, allora responsabile del progetto 250 e attuale general manager della Yamaha Racing, mi rispose: “We want new blood”, serve nuova linfa. È importante la nuova linfa per l’innovazione.

A questo proposito, vorrei aggiungere che noi, come tutte le imprese del vecchio continente che vogliono giungere alla riuscita, dobbiamo produrre solo altissima qualità, non ciò che può essere prodotto nei paesi emergenti a basso costo. Ma, l’altissima qualità richiede persone estremamente formate e materie prime eccellenti, frutto di una ricerca che purtroppo in Italia rimane scarsissima, nonostante la presenza di cervelli di grandissimo livello. Per questo faccio un appello affinché s’instauri la massima collaborazione fra istituzioni, scuola e aziende, perché è diventato d’importanza vitale inventare nuovi prodotti e non è più possibile che il costo del mancato sviluppo ricada sempre sulla piccola e media impresa. Se partiamo dal nostro esempio, è chiaro come in Italia l’impresa è costretta a fare nello stesso tempo da scuola, banca e impresa: noi abbiamo insegnato per due anni alla scuola della Ferrari perché non c’era un corso che formasse i tecnici sui materiali compositi, nonostante le auto avessero già componenti in fibra di carbonio; continuiamo a finanziare i nostri clienti che vendono il nostro prodotto, ma lo pagano dopo mesi di dilazioni; finanziamo la nostra ricerca e le nostre invenzioni, con costi altissimi per il deposito di brevetti e altri oneri burocratici. Senza essere polemici, ma, se vogliamo valorizzare anziché disperdere il nostro patrimonio, dobbiamo cambiare rotta.