IL CERVELLO ARTIFICIALE

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psicanalista, brainworker, presidente dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Il termine Brainworker viene ufficialmente divulgato per la prima volta nel rapporto preparato per il programma FAST della Comunità Europea elaborato da R. von Gizycki e W. Ulrich The Brain-Workers (Oldenburg Verlag, Monaco, 1988) e giunge in Italia con la pubblicazione del libro di Emilio Fontela Sfide per giovani economisti (Spirali, 1997). In questo saggio, l’economista del Club di Lisbona di cui in questo numero pubblichiamo un testo inedito, tra le caratteristiche di questo “lavoratore di cervello”, tipico della nostra era, evidenzia la creatività, l’innovazione, l’astrazione, la capacità di rischio, l’attitudine al ragionamento estetico e intellettuale. La questione è stata ripresa nel primo corso in Italia di brainworker, da me progettato, tenutosi per il Fondo Sociale Europeo nella Villa San Carlo Borromeo di Senago nell’anno 1998, corso che ha formato i primi brainworkers e ha costituito le basi per l’Associazione Europea di Brainworkers Onlus, cui partecipa Elisabetta Costa, presidente della sezione milanese, che ci ha inviato un contributo per questo numero.

Già in quel corso constatammo che, pur concernendo essenzialmente la direzione dell’impresa, in particolare del terziario avanzato, lo statuto di brainworker non può non riguardare ciascun lavoratore, ricercatore, professionista, perché nell’era della comunicazione nessuno può esimersi, nella sua pratica, da una responsabilità non settoriale, da un intendimento globale, dall’invenzione, dalla lucidità intellettuale. In altri termini, il lavoro di cervello non si oppone (come accade invece nella filosofia greca, oggi divenuta luogo comune) al lavoro manuale, almeno da quando con il Rinascimento, la mano stessa è intellettuale: mano non inerte, mano che è la parola stessa in quanto non manipolabile – constata la cifrematica –, mano operazionale (la “manuale operazione” di Leonardo), mano pulsionale, che progetta, che divide, che piega.

Brainworking. Con la cifrematica il cervello del brainworker è nella logica della parola, non del dialogo e della dialettica filosofica; è intellettuale, non è naturale perciò non è mentale. Brainworking: nessuna padronanza, nessun passaggio all’azione nella parola. Nel discorso occidentale il primato del cervello è primato del sistema, come luogo per padroneggiare la parola, l’intendimento, il tempo: rapporto maestro-allievo, scatola cranica, scatola nera sono cervelli naturali, ossia luoghi dell’organizzazione, della direzione dell’organismo come sistema; il cervello stesso diventa sistema, nervoso prima, relazionale poi, ma sempre unificante, monopolistico, globalizzante. Cos’altro potrebbe essere il lavoratore con questo cervello, se non l’esperto nelle coperture, nel compromesso sociale, nell’aggiustamento, nell’adattamento, per riportare l’impresa, l’arte, la ricerca, la finanza, la salute a una gestione della sopravvivenza, partendo cioè dal fallimento, dalla fine, dalla morte delle cose?

Non è questo ciò che l’Associazione Europea di Brainworker offre alle imprese, alle banche, alle assicurazioni, alle società e alle istituzioni impegnate nella trasformazione planetaria. Il cervello che giunga all’intendimento non è unitario, sistematico, organico, mentale, è cervello artificiale, industriale, intellettuale. Solo per questa via lo stesso Internet, con i suoi nodi e la sua rete, può risultare relazione e sintassi, contesto e testo, come nota nel suo intervento Marco Maiocchi, non sistema unificante e uniformante. La cifrematica esige che nell’impresa, nella finanza, nel commercio, nella famiglia ci sia cervello non per riportarli a una metafora organicista, ovvero perché si organizzino partendo dall’idea di competenza, di consapevolezza, di finitezza: importano il ragionamento, che segue al fare, l’intendimento, che si dà al colmo del malinteso, la lucidità, che, come nota Armando Verdiglione in questo numero, comporta che le cose che s’intendono giungano a compimento.

Con la cifrematica il brainworker non è il custode platonico senza parola e senza sessualità, come nota Carlo Sini in questo numero, ma uno statuto nella parola. Intellettuale perché non procede dal sistema, dalla chiusura, dall’unità e non mira a ritornarvi, con l’esclusione del terzo, dell’Altro: procede dal due originario, dall’apertura, in direzione della qualità, lungo la logica particolare, secondo l’occorrenza e per la via del malinteso. Qui il cervello non è spaziale, dunque contenitore, ma temporale, inordinale, pragmatico: è dispositivo, dal latino dispositio, con cui Quintiliano traduce il greco rythmos, ritmo. Questione di ritmo, d’aritmetica nel dispositivo d’intendimento. Dispositivo: mai stabilito prima, s’instaura dicendo e s’instaura facendo, cioè le cose che esistono nel tempo dicendo e facendo divengono infinite, giungono a qualità.

Con la cifrematica, quando la psicanalisi è esperienza originaria, ciascuno esiste nel dispositivo, non nell’ontologia, e ha da divenire dispositivo, non soggetto, quindi cifra, qualità: dispositivo di vendita, commerciale, artistico, d’impresa, finanziario, di produzione, di scrittura, politico, di direzione, di solidarietà. In ciascun caso dispositivo di conclusione al piacere, intellettuale, mai ordinale, mai alternativo, cioè sempre senza abito da cambiare o divisa da servire.

E al cervello non importa più la conoscenza, che è sempre di sé o dell’Altro, del bene e del male, che procede per scelte, senza mai decisione: brainworking s’instaura il cervello dell’intendimento, che esige per ciascuno il progetto e il programma, la ricerca e la scrittura, il labirinto e il piacere.