IL METODO LORENZ PER LA CURA DI ARTROSI E DI DANNI ALLA CARTILAGINE
Nato nel 1994, il Centro Biomedico Lorenz 2 è stato pioniere nell’applicazione dell’elettroterapia a biofeedback, che nel corso degli anni ha ottenuto non solo risultati impensabili in gravi patologie di natura ortopedica, reumatologica e vascolare, ma anche importanti riconoscimenti accademici che confermano l’efficacia del sistema e la sua tollerabilità per l’organismo trattato. Tra i più recenti, citiamo i risultati ottenuti nel 2008 con l’apparecchiatura PBK-2C presso la Cattedra di Anestesia e Rianimazione dell’Università degli Studi dell’Aquila e dell’Azienda Ospedaliera Universitaria, Policlinico Tor Vergata, e quelli ottenuti nel 2009 presso l’Istituto di Anestesiologia, Terapia Intensiva e Medicina del Dolore, Università Tor Vergata, Roma.
Può darci qualche informazione sul metodo, in qualità di specialista in Ortopedia presso il Centro?
In oltre quindici anni, abbiamo ottenuto risultati positivi nell’applicazione del metodo Lorenz a patologie afferenti l’apparato osteoarticolare, che risultavano particolarmente difficili da risolvere in maniera conservativa, evitando così ai pazienti di ricorrere all’intervento chirurgico. L’elettroterapia a biofeedback si diversifica dalle altre elettroterapie per l’elevata frequenza e per l’alto coefficiente di penetrazione degli impulsi inviati da una macchina gestita attraverso un computer. Fondamentale per il buon funzionamento è una diagnosi clinica corretta, in quanto viene inviato lo stesso treno di impulsi per tutte le patologie, mentre la diversificazione avviene in un secondo momento, attraverso la gestione unitaria del computer e la collaborazione del paziente, che dosa la quantità di impulsi. Si tratta, quindi, di una terapia modulare mai uguale fra i diversi pazienti e fra una seduta e l’altra. Il sistema di funzionamento è piuttosto complesso da descrivere mentre è maggiormente interessante parlare delle principali caratteristiche dimostrate scientificamente: nella pratica avviene una stimolazione attraverso un meccanismo ormonale che dilata e amplia il letto microcircolatorio e moltiplica la creazione di nuovi piccoli vasi, che consentono un aumento della circolazione sanguigna. Il corpo umano è maggiormente nutrito quanto maggiore è l’afflusso di sangue e, in particolare nel sistema scheletrico, l’afflusso di sangue favorisce la rimozione delle sostanze dannose che provocano il dolore, i mediatori biochimici dell’infiammazione. Successivamente all’applicazione diretta della terapia, con un’azione dilatata nel tempo, la moltiplicazione dei capillari in profondità mantiene una maggiore irrorazione della zona e consente l’abolizione alla radice dello stimolo doloroso.
Un luogo comune molto diffuso è che la degenerazione della cartilagine sia irreversibile. Con il metodo Lorenz è possibile invece introdurre una svolta nel processo degenerativo?
Le patologie degenerative del tipo osteoartrosico sono fra le più frequenti a essere trattate in questo centro: osserviamo il danno fondamentale a carico della cartilagine articolare che, evolvendosi, coinvolge il tessuto osseo sotto la cartilagine, fino a giungere alle altre strutture cosiddette molli che circondano un’articolazione.
Abbiamo un’ampia casistica a questo riguardo e riceviamo spesso pazienti già in lista d’attesa per interventi chirurgici di sostituzione protesica del segmento interessato: anche nei pochi casi in cui non abbiamo provocato la guarigione completa del processo artrosico, gli esami strumentali eseguiti dopo il trattamento attestano che ne abbiamo arrestato l’evoluzione. Inoltre, esistono patologie più rare – come l’osteocondrite, che può colpire vari distretti – in cui la cartilagine presenta un danno visivo, mentre, in realtà, il problema è di origine sottocondrale, cioè sotto la cartilagine. Non esistono cause che comprovano il meccanismo di formazione di questa lesione, ma solo ipotesi più o meno probabili. Ad esempio, negli sportivi, si può verificare un’associazione di microtraumi ripetuti con un disturbo vascolare profondo nel tessuto osseo che provoca una necrosi, cioè la morte di un cono di osso che non dà più appoggio alla cartilagine che, a sua volta, comincia a perdere tono, si evolve nel crollo delle trabecole ossee in profondità e, quindi, come in un vulcano a scudo rovesciato, anch’essa crolla e muore in mezzo al tessuto osseo. Arrivati a questo punto l’unica soluzione è quella chirurgica. Questa patologia non è molto frequente, pertanto, nemmeno la sua evoluzione è esattamente nota. I pochi casi giunti alla nostra osservazione non hanno, finora, necessitato di interventi chirurgici perché non si è verificato il danneggiamento della cartilagine. Aggiungo, inoltre, che non sempre l’intervento porta i risultati sperati – si ricordi, in proposito, l’esempio del famoso calciatore olandese Van Basten che fu operato numerose volte presso i migliori centri europei senza ottenere altro risultato che quello di abbandonare il gioco del calcio proprio per una patologia di osteocondrite dell’astragalo.
Fra i casi giunti alla vostra osservazione di recente, ce n’è qualcuno di particolare interesse?
Il caso più recente è proprio analogo a quello di Van Basten, rispetto al quale vari specialisti del settore si erano già pronunciati sulla probabile necessità di ricorrere a intervento chirurgico. Il paziente è stato sottoposto a un trattamento di elettroterapia a biofeedback, dopo il quale la risonanza magnetica ha evidenziato una modifica favorevole della situazione: una parte di osso sofferente non era più circondata dall’alone edematoso e, quindi, non era più imbibito di liquidi funzionalmente non validi, che testimoniano la tendenza del processo patologico all’allargamento che, in breve tempo, porta al crollo della cartilagine. L’ultima risonanza magnetica effettuata ha mostrato una cartilagine perfettamente sana: obiettivo massimo che si possa raggiungere in una patologia di questo tipo.